Calcio
Dopo la vittoria con la Bosnia il CT della Nazionale predica: “La fortuna non basta!”
Il Ct della Nazionale di calcio Luciano Spalletti ha lanciato un appello per una maggiore apertura e coraggio nel dare ai giovani calciatori italiani l’opportunità di crescere, anche all’estero, per elevare il livello complessivo del calcio italiano.

Luciano Spalletti, allenatore della Nazionale Italiana di calcio, è sempre stato un uomo schietto. Non le manda a dire. Come tutti i toscani le cose le dice senza tanti giri di parole. Durante il ritiro della Nazionale in vista dell’inizio del Campionato Europeo di calcio ha lanciato un messaggio chiaro e deciso sulla situazione attuale del calcio giovanile italiano. Il commissario tecnico ha messo in evidenza che con gli attuali giocatori della nazionale non si possono fare miracoli agli Europei. Ma non solo. Ha caricato la dose sottolineando come i giovani calciatori preferiscano fare panchina in Italia piuttosto che andare a giocare in campionati stranieri di secondo livello. Ovvero?
La critica di Spalletti
“Il calcio italiano è miope o manca di coraggio sui giovani“, ha detto il Ct. “Il problema è che fanno poche esperienze. I primavera preferiscono fare panchina nelle nostre squadre al posto di andare a giocare in campionati stranieri di secondo livello. Quando si gioca fuori del proprio Paese ti viene la voglia di tornare per mettere in pratica la crescita caratteriale e qualitativa maturata, che ti permette di metterti in mostra. Non va più molto di moda farsi il culetto… Decidere di “farselo” è una cosa che dà sempre merito a chi sceglie di andare a confrontarsi con altri mondi calcistici e umani”.
L’Italia del calcio scarseggia di talenti per mancanza di coraggio
Il commissario tecnico sottolinea che questa mancanza di esperienza è il motivo per cui in Italia si producono pochi calciatori ‘di livello’. E rincalza. “Se si preferisce stare in panchina, non giocare mai, il procuratore del giocatore preferirà sempre tenere qui il giocatore per poi attaccare le società per la poca esperienza fatta“. In sintesi Spalletti denuncia che in Italia abbiamo pochi ragazzini che scelgono di andare all’estero a fare esperienza. A discapito della qualità degli stessi.
Le esperienza oltre confine maturano sotto il profilo calcistico e umano
Spalletti suggerisce che i giovani calciatori italiani dovrebbero cercare più opportunità nei campionati europei, e non solo, soprattutto se non trovano spazio in Italia. “Le Nazionali giovanili sono tutte di buon livello, ma poi c’è un gap. Non riescono a salire sopra quel livello.” In pratica se non si trova spazio, bisogna andare a cercarlo dove c’è. Il rammarico di Spalletti è che forse i giovani giocatori italiani non abbiano voglia di cimentarsi e fare fatica. Preferiscono maturare lentamente. Tanto prima o poi una chances la si trova. Eppure se avessero più coraggio e più nerbo potrebbero farsi le ossa in situazioni difficili ma molto più formativi. E intanto ci si accontenta del vivaio che c’è. Un vivaio che anno dopo anno diventa sempre più scarno.
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Calcio
Di Livio e il segreto su Byron Moreno: “Lo insultai di brutto. E lo rifarei”
Ventitré anni dopo Italia-Corea del Sud, l’ex “Soldatino” confessa le parole dette all’arbitro dello scandalo: un mix esplosivo di rabbia, insulti e consapevolezza. Perché in campo, quel giorno, nessuno aveva dubbi.

Certe ingiustizie non invecchiano. Restano lì, in agguato dietro ogni replay, ogni “se”, ogni birra davanti a una partita dei Mondiali. E per Angelo Di Livio, 58 anni, ex motorino instancabile della nazionale azzurra, il 18 giugno 2002 non è mai davvero finito. Quel giorno, a Daejeon, in Corea del Sud, l’Italia venne eliminata ai supplementari da un arbitraggio che aveva più buchi di un colapasta, firmato Byron Moreno. Ora, passati più di vent’anni, Di Livio si toglie un sassolino grande come un macigno: “Lo insultai di brutto. Figlio di putt*, cogli***, mer**. E lo rifarei”.**
L’occasione per la confessione è un’intervista alla Gazzetta dello Sport, dove l’ex juventino torna su uno dei momenti più amari della storia recente del calcio italiano. “Tanto sapevo che non poteva cacciarmi, aveva appena espulso Totti. Vennero anche Gattuso, Vieri, Maldini. Eravamo fuori di noi, e a ragione”.
Quel giorno è entrato nell’album nero della nostra memoria collettiva. Un fuorigioco inesistente fischiato a Tommasi che stava per segnare il golden gol. Un’espulsione grottesca a Francesco Totti per una simulazione immaginaria. Falli ignorati, cartellini usati come coltelli. Una gestione dell’incontro che sembrava scritta da una penna cinica e truccata. E alla fine il colpo di grazia: il gol decisivo di Ahn Jung-hwan, attaccante coreano in forza al Perugia, poi subito licenziato dal patron Gaucci per “lesa maestà”.
“Doveva andare avanti la Corea, era tutto programmato”, dice Di Livio. E in effetti, dopo di noi, toccò alla Spagna. Sempre loro, sempre lo stesso copione: gol annullati, arbitri bendati, sudore e sangue buttati.
Ma il calcio, ogni tanto, sa essere giusto con ritardo. Il tempo ha restituito a Moreno la fama che meritava, ma non quella che cercava: espulso dalla federazione del suo Paese, accusato di combine, evasore fiscale. E, soprattutto, arrestato a New York con chili di cocaina addosso. Un narcotrafficante con il fischietto in tasca. Una carriera da arbitro finita come una sceneggiatura tarantiniana. “Quando l’hanno arrestato? Nessuna sorpresa. L’avevo capito subito che non era un professionista”.
O forse lo era. Solo in un altro senso. Di Livio cita Regalo di Natale, capolavoro di Pupi Avati, per spiegare quella sensazione: “Era un professionista, vero?”, chiede Abatantuono dopo esser stato fregato al tavolo da poker. Sì, risponde Cavina con lo sguardo. Era uno bravo. Solo che lavorava per gli altri.
Ecco: Byron Moreno era così. Un arbitro bravo a fare quello che doveva fare. Peccato che quello che doveva fare fosse sbagliato. Maledettamente, scandalosamente sbagliato.
Calcio
Francesco Totti, la Procura chiede l’archiviazione per l’Iva non dichiarata
La Procura di Roma ha chiesto l’archiviazione del procedimento che vedeva Francesco Totti indagato per non aver dichiarato l’Iva su alcune attività pubblicitarie. Il “debito”, inizialmente di poche migliaia di euro, era lievitato fino a 900 mila euro con sanzioni e interessi. Ora l’ex calciatore ha saldato tutto.

Francesco Totti non dovrà affrontare un processo per omessa dichiarazione dell’Iva. La Procura di Roma ha chiesto l’archiviazione dell’indagine che coinvolgeva l’ex numero 10 della Roma, dopo che lo stesso ha provveduto a saldare il suo debito con il Fisco. Il procedimento, coordinato dai pm Stefano Pesci e Vincenzo Barba, si basava su una verifica effettuata dalla Guardia di Finanza, che aveva analizzato i movimenti economici legati ad alcune apparizioni pubblicitarie dell’ex calciatore.
Secondo quanto emerso, Totti avrebbe svolto attività promozionali non occasionali, ma senza aprire una partita Iva dedicata. Un’irregolarità che, pur partendo da un importo iniziale piuttosto contenuto, è andata crescendo nel tempo: tra sanzioni e interessi, il debito con l’Erario è arrivato a sfiorare i 900 mila euro. Una cifra importante, maturata nel corso di circa cinque anni.
Nonostante l’importo lievitato, la decisione della Procura di avanzare la richiesta di archiviazione è legata alla condotta dell’ex capitano giallorosso, che ha scelto di regolarizzare la propria posizione fiscale. Il pagamento del debito ha avuto un peso determinante, dimostrando la volontà di Totti di chiudere la vicenda con il Fisco.
L’accusa era quella di omessa dichiarazione dell’Iva, un reato tributario che scatta quando un soggetto con obbligo fiscale non presenta le dichiarazioni annuali. In questo caso, però, i magistrati hanno ritenuto che l’interesse punitivo dello Stato fosse venuto meno, viste le somme integralmente versate.
Nessuna battaglia legale, dunque, per Totti. Una vicenda che si chiude con un conto saldato, ma anche con l’ennesimo riflettore acceso sulla gestione fiscale dei personaggi pubblici. Un tema sempre delicato, soprattutto quando coinvolge volti tanto noti e amati dal grande pubblico. Anche perché, nel bene o nel male, il Pupone fa sempre notizia.
Calcio
Noel, il raccattapalle eroe: “Ho battuto Donnarumma e l’Italia”. La Germania celebra il 15enne che ha beffato gli Azzurri
Il raccattapalle della sfida tra Germania e Italia diventa protagonista con un assist a Kimmich. Nagelsmann lo ringrazia in conferenza, Kimmich gli regala la maglia. La Bild ironizza: “Anche un raccattapalle segna contro l’Italia”

A Dortmund si è scritto un capitolo surreale e beffardo della sfida tra Germania e Italia. A rubare la scena non è stato né un bomber da copertina né un fuoriclasse d’altri tempi, ma un ragazzo di 15 anni, alla sua prima volta come raccattapalle. Il suo nome è Noel Urbaniak e in poche ore è diventato l’idolo di un’intera nazione, ma l’incubo sportivo degli Azzurri.
Minuto 36 del primo tempo, Nations League: l’Italia pasticcia, Donnarumma discute con l’arbitro Marciniak e i compagni, ignaro di ciò che sta accadendo alle sue spalle. E dietro la porta, c’è proprio Noel, che si coordina con un guizzo degno di un veterano e spara il pallone verso Joshua Kimmich, pronto a battere velocemente l’angolo. Da lì all’assist per Jamal Musiala il passo è breve: gol della Germania a porta praticamente sguarnita e Italia colta di sorpresa.
“Anche un raccattapalle fa gol alla nazionale italiana”, ha titolato senza pietà la Bild, riassumendo l’umore tedesco e la valanga mediatica che si è abbattuta sul ragazzo. Noel, tesserato nelle giovanili dell’Hombrucher e tifoso sfegatato del Borussia Dortmund, da spettatore privilegiato si è ritrovato protagonista inatteso di uno degli episodi più discussi del match, terminato poi sul 3-3.
A fine partita l’incredulità di Noel si è trasformata in festa: Kimmich lo ha raggiunto a bordo campo, gli ha regalato la maglia e il pallone della partita e si è prestato per una foto ricordo. “Non dimenticherò mai questa serata”, ha dichiarato il giovane ai media tedeschi. Poco prima, sul cellulare, i messaggi commossi dei genitori: “Sei in tv, sei un eroe!”.
Il ct Julian Nagelsmann non ha perso l’occasione per celebrare il piccolo “alleato”: “Il nostro secondo gol è stato di livello mondiale da parte di tutti e tre: Kimmich, Musiala e il raccattapalle. Era lì, pronto sulla palla, bravissimo”. Da quel momento, selfie e applausi hanno travolto il ragazzo che, nel frattempo, ha già conquistato un posto speciale nella memoria collettiva dei tifosi tedeschi.
E mentre l’Italia si lecca le ferite e cerca spiegazioni per l’ennesima distrazione difensiva, in Germania il nome di Noel Urbaniak è diventato sinonimo di furbizia e sangue freddo. Lui, con la spensieratezza dei suoi 15 anni, si gode la gloria: “È stato tutto così irreale, pazzesco”. E chissà se da grande non diventerà lui stesso uno di quei calciatori a cui i raccattapalle serviranno palloni decisivi.
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