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Sic transit gloria mundi

Ebbene sì, l’avventura di LaCity parte da qui!

Cosa prova un giornalista di carta a navigare nel mare periglioso del web? E si può affrontare la costruzione di un sito come se si trattasse di una rivista cartacea restituendo alle news online un po’ di calore e colore? Ai posteri l’ardua sentenza

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    Se mi avessero detto che avrei cambiato tutti i parametri del mio lavoro a quasi sessant’anni, probabilmente mi sarei fatto una grossa risata. Come giornalista prima e come autore poi, mi sono sempre confrontato con la carta stampata. Quando ho iniziato al Secolo XIX, il quotidiano della mia città, ero appena uscito dal liceo e sapevo fare solo due cose, suonare rock e, appunto, scrivere. Ho provato con la musica, ma ho scoperto che era molto difficile andare avanti. E così a diciannove anni appena compiuti mi sono presentato al giornale chiedendo di poter provare a buttare giù un articolo. Non deve essere stato troppo malvagio se poi me ne hanno dato altri da fare. E poi altri, altri, altri…

    Per dirla parafrasando un celebre film, “adoro l’odore della carta stampata il mattino”. Quando ho cominciato io non c’erano neppure i computer, niente internet, se volevi mandare un pezzo al giornale dalla cima di un monte dovevi trovare un bar, portarti dietro i gettoni e dettare i pezzi al dimafono. Ho diretto decine di riviste, alcune famose come Epoca, Tutto, Top Salute, In Famiglia, Eva 3000, Bella e Vip. Ma poi è cambiato il mondo… la cara e vecchia carta è finita in un angolo. E con lei tutto un mondo di giornalisti, tipografi, fotografi. Oggi chiunque può scattare una foto col telefonino (anche se, lasciatemelo dire, la mano di fotografo professionista si vede, eccome), può aprire un blog (ma che tristezza quell’italiano un po’ così fatto di sparate acchiappa-click e fake news), può improvvisarsi cameraman.

    Per quello, già da qualche anno, mi sono dedicato alle news online. Ho diretto siti importanti come Bella.it. Tuomagazine, Dillingernews. Ma è la prima volta che trovo un editore illuminato come Domenico Maduli, il presidente di LaC Network, che mi appoggia nel tentare un ardito esperimento: cercare di trasferire nel web, con tutte le potenzialità che ha internet tra video, intelligenza artificiale e realtà aumentata, un vero e proprio settimanale, con i suoi articoli, le rubriche, le pagine di servizio… Portare la mentalità di una redazione di carta in un mondo di algoritmi!

    Insomma per un vecchio direttore come me una sfida nuova di zecca. Conto di vincerla… e a decretarlo sarete voi. Siete pronti?

      Sic transit gloria mundi

      La Talpa 2024: un mistero che nessuno vuole risolvere (e nemmeno guardare)

      Un cast che non buca lo schermo, prove insipide e un mistero che non intriga nessuno: La Talpa è l’ennesimo esempio di un programma che scava nella memoria per riportare in vita il peggio della tv.

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        C’è qualcosa di poetico nel titolo La Talpa. È come se il programma stesso, a colpi di share in picchiata e di misteri inesistenti, stesse diligentemente scavandosi la propria tomba televisiva. Sarebbe bello sperare che questa volta la scavino davvero profonda, così da evitare resurrezioni imbarazzanti fra vent’anni. E sì, stiamo guardando te, Mediaset, e la tua ossessione per riportare in vita format che, se mai hanno funzionato, era perché non c’era di meglio in tv.

        Il lunedì sera: terra di nessuno

        Ah, il lunedì sera! Quella strana zona grigia del palinsesto, dove gli spettatori vagano senza una direzione, intrappolati tra riflessioni pseudo-filosofiche su Lenuccia (L’Amica Geniale, per chi vive su Marte) e il vuoto cosmico di La Talpa. Gli ascolti de L’Amica Geniale sono in caduta libera? Colpa di Alba Rohrwacher, diranno gli esperti. E se per caso si finisce su La Talpa, be’, è solo per sbaglio o per punizione divina. Una scelta tra il morboso e il masochistico, insomma.

        Nostalgia canaglia (ma anche no)

        Un tempo, La Talpa aveva un suo perché. O forse è solo la nostalgia a farci credere che fosse così. Nel 2024, però, il programma è un contenitore vuoto: una serie di prove insipide e personaggi di cui non ricordi il nome nemmeno il tempo di cambiare canale. Il format, sulla carta, dovrebbe essere intrigante: un gruppo di pseudo-vip (leggasi: chiunque abbia fatto un cameo in una fiction di terza categoria o abbia litigato con la Ventura) deve scoprire chi tra loro è la famigerata Talpa. Peccato che l’unica cosa che questi concorrenti riescono a scoprire è quanto siano inutili i loro profili social nel generare hype.

        La location? Un’esotica provincia di Viterbo. E qui parte la riflessione: è più intrigante cercare la Talpa o chiedersi quale santo abbia mai convinto Mariano Catanzaro a lasciare Instagram per partecipare a questa farsa?

        Sabotaggio: un fallimento su tutta la linea

        Nel 2024, La Talpa non riesce nemmeno a sabotare i suoi concorrenti, figurarsi il pubblico. L’unico vero sabotaggio è quello che il programma infligge a Mediaset, ormai in caduta libera con ascolti da incubo: dal 14% di share della prima puntata al misero 10,57% della terza. E mancano ancora tre episodi! C’è un limite a quanto possiamo tollerare in nome della tv trash, e La Talpa lo ha già abbondantemente superato.

        Il paradosso è servito: un format che dovrebbe essere costruito sul mistero non riesce nemmeno a sollevare un minimo di curiosità. Chi è la Talpa? A questo punto, chi se ne importa. L’unica cosa che ci importa davvero è sapere quanto manchi alla fine.

        E ora?

        Che dire, Mediaset. Ti sei scavata una bella fossa. E noi, spettatori sopravvissuti, non vediamo l’ora di mettere il coperchio. Perché una cosa è certa: il mistero non è chi sia la Talpa, ma perché qualcuno pensi ancora che questo programma valga la pena di essere mandato in onda.

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          Sic transit gloria mundi

          Il Governo paga il panettone? Sì, ma non a tutti: ecco il Bonus Natale e come ottenerlo

          L’ultima circolare spiega a chi spetta l’assegno, come richiederlo e chi effettivamente riuscirà a metterselo in tasca. Spoiler: non è per tutti!

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            Vi aspettavate un bel regalo sotto l’albero? Il Governo quest’anno, con il Bonus Natale, ha deciso di stanziare fino a 100 euro per i dipendenti, ma attenzione, come sempre ci sono dei paletti. L’Agenzia delle Entrate ha appena pubblicato la circolare numero 19, che spiega chi può accedere a questa “generosa” indennità e come richiederla. Spoiler: non è per tutti. Il bonus, previsto dal decreto Omnibus, viene accreditato ai dipendenti che rispettano precisi requisiti di reddito e famiglia.

            A chi spetta il Bonus Natale?

            Per ottenere il bonus, il reddito complessivo del 2024 non deve superare i 28mila euro, ma attenzione: non basta. Bisogna avere un coniuge e almeno un figlio fiscalmente a carico, e l’imposta lorda sui redditi da lavoro dipendente deve essere superiore alle detrazioni. Quindi, se vi mancano moglie, marito o figli a carico, il bonus vi scivolerà via come neve al sole. Il reddito dell’abitazione principale non verrà conteggiato, e il coniuge, per poter “contare”, non deve essere separato legalmente. Per i nuclei monogenitoriali, serve almeno un figlio fiscalmente a carico. Insomma, c’è poco da fare: bisogna rispondere a ogni dettaglio.

            Come fare per richiedere l’indennità

            Chi spera di accaparrarsi il Bonus Natale deve inoltrare una richiesta scritta al proprio datore di lavoro, specificando il codice fiscale del coniuge e dei figli a carico. Un’autocertificazione per dimostrare di possedere i requisiti richiesti dalla norma, e il gioco è fatto… più o meno. Il datore di lavoro, a questo punto, potrà riconoscere l’indennità insieme alla tredicesima mensilità e recuperare la somma sotto forma di credito d’imposta.

            Insomma, la strada per ottenere il bonus non è proprio una passeggiata e richiede un bel po’ di documenti e requisiti da spuntare, ma per chi rientra nei parametri… è pur sempre un panettone pagato dal Governo!

            E chi non ha i requisiti?

            Niente paura, per chi non rientra tra i “fortunati” destinatari del Bonus Natale, resta sempre la possibilità di far pace con il forno di casa e preparare un panettone fai-da-te. Certo, non sarà coperto dall’assegno dell’Agenzia delle Entrate, ma di questi tempi meglio adattarsi… magari con un po’ di ironia!

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              Sic transit gloria mundi

              I deliri ministeriali di Valditara: quando il patriarcato non esiste e la colpa è sempre degli stranieri

              Le parole del ministro dell’Istruzione durante la presentazione della Fondazione Giulia Cecchettin gelano la sala e sollevano polemiche.

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                In una giornata in cui il dolore si intreccia alla speranza, le parole di Giuseppe Valditara, ministro dell’Istruzione, risuonano come un pugno nello stomaco. Nel corso della presentazione della Fondazione Giulia Cecchettin, istituita in memoria della giovane vittima di femminicidio, il ministro ha sfoggiato un’arrogante negazione della realtà, proclamando che il patriarcato è un fenomeno del passato e spostando il discorso sulla violenza contro le donne su un piano di colpe attribuite all’immigrazione illegale.

                Il patriarcato è morto. Anzi no, forse. Ma comunque non esiste.
                Con toni da cattedra polverosa, Valditara si è lanciato in un’arringa che, se non fosse drammatica, sarebbe grottesca. “Il patriarcato come fenomeno giuridico è finito con la riforma del diritto di famiglia del 1975”, ha dichiarato, mostrando un’ignoranza spaventosa della struttura culturale e sociale che ancora permea la nostra società. Per lui, il problema si riduce a “residui di maschilismo”, un’elegante perifrasi per indicare il vero colpevole, un sistema che continua a giustificare e perpetuare il controllo e la violenza degli uomini sulle donne.

                L’immigrazione come capro espiatorio.
                Ma non è tutto: Valditara non si è accontentato di negare il patriarcato, ha anche pensato bene di tirare in ballo l’immigrazione. Secondo il ministro, “l’incremento dei fenomeni di violenza sessuale è legato anche alla devianza derivante dall’immigrazione illegale”. Un’affermazione che non solo sposta il dibattito su un piano razzista, ma che svuota di significato il dolore e la memoria di una giovane ragazza uccisa da un uomo italiano, con un nome e un cognome, cresciuto in una società che insegna il possesso e non il rispetto.

                La dignità di Gino Cecchettin contro l’arroganza ministeriale.
                Di fronte a questa deriva, la dignità di Gino Cecchettin, padre di Giulia, emerge ancora più luminosa. Le sue parole non hanno accusato, non hanno puntato il dito, ma hanno chiamato alla responsabilità: “Grazie all’amore di Giulia, porteremo un messaggio di educazione nelle scuole”. Un invito che Valditara sembra non avere colto, troppo impegnato a difendere una visione ristretta e ideologica che tradisce la complessità del problema.

                Reazioni politiche e sdegno trasversale.
                Le parole del ministro hanno suscitato un’ondata di sdegno. Laura Boldrini le ha definite “un intervento imbarazzante”, Gianni Cuperlo ha parlato di dichiarazioni “fuori sincrono con l’importanza della giornata”, mentre la deputata Pd Simona Malpezzi le ha bollate come “sbagliate nel merito e nel metodo”. Eppure, Valditara non si è lasciato smuovere, limitandosi a lamentare la solita “rissa della sinistra”, come se fosse la mancanza di pacatezza e non la sostanza delle sue affermazioni il vero problema.

                Il patriarcato non sarà morto, ma il buon senso sì.
                Mentre la sala della Regina di Palazzo Montecitorio avrebbe dovuto essere un luogo di ricordo e impegno, si è trasformata nell’ennesimo palcoscenico per deliri ministeriali. E il patriarcato? Non è morto, ministro Valditara. Vive e prospera proprio grazie a chi, come lei, preferisce negarlo invece di affrontarlo.

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