Connect with us

Punti di svista

Nel nome di Satnam

Avatar photo

Pubblicato

il

    Aveva un nome, Satnam, e un cognome, Singh. E sarebbe bello che tutti se lo ricordassero. Non soltanto ora che giornali e tv hanno puntato i riflettori sulla sua vicenda perché la sua morte, anzi, la sua uccisione, fa notizia. Sarebbe bello se di questo ragazzo indiano ci si ricordasse a lungo. Perché l’unico modo che la sua morte, anzi, la sua uccisione, non sia inutile, è che qualcosa cambi nel suo nome.

    Costretto a farsi sfruttare

    Perché lui, non era solo un bracciante, un immigrato, uno degli ultimi anelli della nostra società di cui quando ci fa comodo andiamo tanto fieri. Lui non era uno dei pochi derelitti che sopravvivono come possono. Era uno dei tanti che invisibili che non sono. Lui lavorava, si dava da fare e sognava un futuro per se e la sua famiglia. Era nel nostro Paese perché di lui il nostro Paese aveva bisogno per fare un lavoraccio che pochi riescono a fare. Ed era costretto a farsi sfruttare, perché lavorare nei campi per 4 euro all’ora è sfruttamento.

    Una vergogna

    È illegale. È disumano. Fa ribrezzo. Specie per chi adesso ha la faccia tosta di dire “che la sua leggerezza ci costerà tanto”. No, caricatura di imprenditore e sottospecie di uomo. L’abitudine criminale di chi sfrutta essere umani gli è costata la vita. E chi se ne frega quanto costerà a te.

    Cerchiamo di ricordarci di lui

    Dall’Agro pontino alla Calabria a chissà quanti altri posti, come lui ce ne sono tanti. Troppi. Sotto gli occhi di tutti, probabilmente ignorati di proposito. Ma sarebbe bello se la sua morte, anzi, la sua uccisione, diventasse utile. Se nel suo nome, qualcosa potesse finalmente cambiare. Sì, nel suo nome. Perché aveva un nome, Satnam, e un cognome, Singh. E dopo una vita da invisibile, ora che è morto, anzi, che è stato ucciso, sarebbe bello se tutti lo ricordassero.

      Punti di svista

      Un eroe normale, non degno di un paese (non) civile

      Un eroe involontario, che ha ritenuto solo di fare la cosa giusta in un frangente drammatico. E che lascia tutti attoniti ed amareggiati,

      Avatar photo

      Pubblicato

      il

      Autore

        La storia di Michele, il ragazzo di Mestre ucciso per aver difeso una ragazza da una rapina, lascia addosso un senso di ingiustizia misto ad ammirazione. Perché Michele ha fatto quello che molti di noi, forse, non avrebbero il coraggio di fare: non si è girato dall’altra parte mentre qualcuno era in pericolo. Ha avuto coraggio. E ha pagato con la vita.

        Il coraggio di preoccuparsi per gli altri

        Sicuramente qualcuno avrà pensato “poteva farsi gli affari suoi”, qualcun altro si sarà chiesto se ne valeva la pena. Domande e riflessioni lecite e normali, in un mondo di indifferenti. La via più semplice è quella di farsi gli affari propri, è vero. Se lo avesse fatto anche lui, nessuno avrebbe potuto giudicare quel ragazzo che passava di lì, che si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato. Ma Michele non lo ha fatto, non si è voltato dall’altra parte, non si è fatto gli affari propri. Ha scelto di fare la cosa giusta, quella che riteneva giusta. E suo malgrado è diventato un eroe.

        L’amaro in bocca

        Ma la sua storia lascia anche un profondo senso di amarezza. Perché mai in un Paese civile fare la cosa giusta, essere altruista, e non girarsi dall’altra parte di fronte a un’ingiustizia, dovrebbe costare la vita. In un Paese davvero civile, non si diventa eroe in questo modo. Michele lo è diventato un eroe, purtroppo. E questo non può che fare tristezza.

          Continua a leggere

          Punti di svista

          La triste disfida tra rapper diventa un patetico show

          Fedez e Tony Effe a caccia di visualizzazioni e di like, chissenefrega se la musica viene relegata all’ultimo posto… l’importante è fare notizia, sempre e comunque.

          Avatar photo

          Pubblicato

          il

          Autore

            Mi si nota più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente? Il dubbio amletico di Nanni Moretti in Ecce Bombo non esiste nel mondo del rap. Di certo ci si fa notare quando si è notati, anche se per farlo si sfiora il patetico. Per informazioni citofonare a Fedez e Tony Effe, che si sono contesi le prime pagine dei giornali non grazie a qualche strofa potente o a un nuovo sound rivoluzionario, ma grazie all’ultimo tragico e patetico episodio di una presunta “guerra tra rapper” che ispira un po’ di tenerezza e molta tristezza.

            Che barba, che noia…

            Il re delle polemiche su Instagram contro il campione dei trapper con la vocale mononota. E se già state sbuffando, avete ragione. Questo dissing, più che una sfida epica tra titani, sembra la trama di un film di serie B che nessuno vuole vedere, ma che alla fine tutti guardano, magari per sentirsi superiori.

            Sberleffi, insulti… ma la musica dov’è?!?

            In realtà quello che va in scena è una triste battaglia a caccia di un consenso più effimero che reale. Da un lato l’icona del rap diventato personaggio dei social e della tv, dall’altra il cattivo che cerca di accreditarsi come duro scimmiottando i gangsta rap americani. Ma in fondo, quello che rimane, è solo una guerra di like e visualizzazioni in cui la musica non conta nulla. E qualcuno, visti i risultati, potrebbe dire “meno male”. Perché mentre loro si azzuffano a suon di frecciatine, la colonna sonora di questo triste spettacolo è sempre più inascoltabile.

              Continua a leggere

              Punti di svista

              La differenza fra legittima difesa e vendetta

              Un recente caso di cronaca ci stimola ad interrogarci sulla follia della giustizia “fatta in casa”. Anche se abbiamo subito un grave torto dovremmo sempre ricordarci che viviamo in uno stato di diritto… e non nel Far West.

              Avatar photo

              Pubblicato

              il

              Autore

                Viene derubata della borsa, sale in macchina, insegue il ladro, lo raggiunge e lo investe, passandogli sopra due, tre, quattro volte, uccidendolo. E poi va via come se nulla fosse. Il fatto di cronaca in sè è aberrante ma il problema, ahinoi, è un altro. Perché in tanti, troppi, hanno pensato e detto che in fondo “ha fatto bene”, che si tratta di “legittima difesa” ma anche che quel ladro “se l’è cercata”, fino al tanto immancabile quando idiota “uno di meno”.

                Rabbia sì, omicidio no

                Bisogna essere chiari: la rabbia e la frustrazione sono comprensibili, anche una reazione scomposta, al limite. Ma questa, nello specifico, non è autodifesa, non è legittima difesa. È vendetta. È un omicidio. E vendetta e omicidio non sono accettabili, non siamo nel far West.

                Il caos della giustizia fai-da-te

                Va bene lamentarsi che viviamo nell’insicurezza, che i processi sono lunghi e che le pene per chi delinque spesso sono troppo blande ma alimentare la visione per cui la vendetta è la risposta porta solo al caos. Ognuno diventa giudice, giuria e boia. E questo è inaccettabile. O è davvero questo il mondo in cui vogliamo vivere? Quello in cui ognuno si erge a vendicatore e si fa giustizia da solo? Non facciamo confusione o populismo da quattro soldi. Ricordiamoci che viviamo in uno stato di diritto. Sempre, non solo quando fa comodo a noi.

                  Continua a leggere
                  Advertisement

                  Ultime notizie

                  Lacitymag.it - Tutti i colori della cronaca | DIEMMECOM® Società Editoriale Srl P. IVA 01737800795 R.O.C. 4049 – Reg. Trib MI n.61 del 17.04.2024 | Direttore responsabile: Luca Arnaù