Connect with us

Mondo

Carla Bruni e l’inchiesta su Sarkozy: possibile rinvio a giudizio per l’ex top model

Carla Bruni potrebbe affrontare un rinvio a giudizio insieme a Nicolas Sarkozy nell’ambito dell’inchiesta sulle presunte tangenti legate alla campagna elettorale del 2007. L’ex modella e cantante è sotto indagine per presunta complicità nelle attività illecite attribuite a suo marito.

Avatar photo

Pubblicato

il

    Carla Bruni, ex top model e cantante, potrebbe presto trovarsi ad affrontare un rinvio a giudizio insieme al marito, l’ex presidente francese Nicolas Sarkozy, nell’ambito di un’inchiesta che riguarda presunte tangenti legate alla campagna elettorale del 2007. Secondo gli inquirenti, Bruni avrebbe avuto un ruolo nella gestione di somme di denaro sospette, contribuendo alle attività illecite attribuite a Sarkozy.

    Il contesto dell’inchiesta

    L’inchiesta, che si protrae ormai da diversi anni, è focalizzata su presunte irregolarità nella raccolta fondi per la campagna elettorale che portò Sarkozy all’Eliseo nel 2007. Gli investigatori sospettano che vi siano state delle tangenti per finanziare la campagna, provenienti in parte dall’ex leader libico Muammar Gheddafi. Queste accuse sono state fermamente respinte da Sarkozy, che ha sempre sostenuto la sua innocenza.

    Il ruolo di Carla Bruni

    Gli inquirenti stanno esaminando il ruolo di Carla Bruni nella vicenda. Si ipotizza che l’ex modella possa aver avuto un ruolo attivo nella gestione dei fondi sospetti. In particolare, Bruni sarebbe stata coinvolta nel movimentare le somme di denaro attraverso conti bancari e operazioni finanziarie che potrebbero essere state utilizzate per coprire le attività illecite.

    Le possibili conseguenze legali

    Se le accuse dovessero essere confermate, sia Sarkozy che Bruni potrebbero essere rinviati a giudizio. Questo scenario rappresenterebbe un duro colpo per l’immagine pubblica della coppia, già sotto pressione per le numerose inchieste giudiziarie che hanno coinvolto Sarkozy negli ultimi anni. L’ex presidente ha già affrontato diversi processi, tra cui quello relativo alle intercettazioni illegali, per il quale è stato condannato a tre anni di carcere, di cui uno da scontare in detenzione.

    Le reazioni della coppia

    Fino ad ora, né Carla Bruni né Nicolas Sarkozy hanno rilasciato dichiarazioni ufficiali in merito alle ultime evoluzioni dell’inchiesta. Tuttavia, in passato, Bruni ha difeso strenuamente il marito, definendo le accuse contro di lui come una caccia alle streghe orchestrata dai suoi avversari politici. Anche Sarkozy ha sempre mantenuto la propria innocenza, sostenendo di essere vittima di una persecuzione giudiziaria.

    L’attenzione dei media e del pubblico

    La notizia del possibile rinvio a giudizio di Carla Bruni ha suscitato grande interesse mediatico, sia in Francia che all’estero. L’ex top model, divenuta una figura di spicco nel panorama culturale e politico francese, continua ad attirare l’attenzione del pubblico. La sua storia personale e la sua relazione con Sarkozy sono state spesso al centro delle cronache, e l’eventuale coinvolgimento diretto di Bruni in un’inchiesta di tale portata non fa che aumentare l’interesse e le speculazioni.

    Il futuro della coppia

    Se rinviati a giudizio, Carla Bruni e Nicolas Sarkozy dovranno prepararsi ad affrontare un processo lungo e complesso, con ripercussioni significative sulla loro vita personale e pubblica. L’esito di questa vicenda potrebbe influenzare non solo la loro reputazione, ma anche il panorama politico francese, dove Sarkozy continua ad avere un’influenza notevole.

      Mondo

      Julian Assange: “Colpevole di giornalismo, non di crimini”. l fondatore di WikiLeaks parla dopo la scarcerazione

      Dopo oltre un decennio di battaglie legali e detenzione, Julian Assange racconta la sua esperienza a Strasburgo: la prigione, la libertà conquistata a caro prezzo e la sua ferma difesa del giornalismo come strumento essenziale per la democrazia.

      Avatar photo

      Pubblicato

      il

      Autore

        Julian Assange, fondatore di WikiLeaks, è tornato a parlare in pubblico dopo la sua scarcerazione lo scorso giugno, avvenuta grazie a un patteggiamento con il Dipartimento di giustizia americano. Nel suo discorso al Consiglio d’Europa, a Strasburgo, Assange ha fatto una dichiarazione potente: “Alla fine ho scelto la libertà, piuttosto che una giustizia irrealizzabile”. Visibilmente provato, ha descritto i lunghi anni di detenzione a Belmarsh, una prigione di massima sicurezza a Londra, come un’esperienza che ha segnato profondamente la sua salute fisica e psicologica.

        Assange ha spiegato che non è libero oggi grazie al sistema giudiziario, ma perché si è dichiarato “colpevole di giornalismo”. “Mi sono dichiarato colpevole di aver cercato informazioni, di averle ottenute e di averle rese pubbliche”, ha affermato, sottolineando come il suo lavoro fosse semplicemente giornalismo investigativo, un’attività che considera fondamentale per la democrazia.

        Accompagnato dalla moglie Stella e dal direttore di WikiLeaks, Kristinn Hrafnsson, Assange ha criticato duramente il sistema giudiziario americano e ha svelato che l’accordo di estradizione gli ha impedito di rivolgersi alla Corte Europea dei Diritti Umani. “La giustizia per me è ormai esclusa”, ha dichiarato, ribadendo che la sua lotta era volta a informare l’opinione pubblica su verità scomode, come quelle sui crimini di guerra in Afghanistan e Iraq.

        Nel suo intervento, Assange ha voluto ricordare al mondo che il giornalismo investigativo è essenziale per una società libera. Ha voluto far capire che, nonostante la sua scarcerazione, le battaglie legali e politiche non sono finite.

          Continua a leggere

          Mondo

          Taylor Swift e Kamala Harris: l’endorsement mobilita la generazione Z, ma non sposta i voti

          Mentre la maggior parte degli elettori non sembra influenzata direttamente dall’appoggio di Swift, l’aumento delle registrazioni per votare dimostra che la sua capacità di mobilitazione, soprattutto tra i giovani, è determinante.

          Avatar photo

          Pubblicato

          il

          Autore

            Il sostegno di Taylor Swift alla vicepresidente Kamala Harris nelle elezioni presidenziali del 2024 ha fatto scalpore, ma la sua reale influenza sui voti sembra avere un peso minore di quanto ci si aspetti. Secondo sondaggi e analisi di esperti del Newsweek, l’appoggio della cantante non porterà direttamente a un aumento di voti per Harris, ma potrebbe avere un impatto sostanziale sull’affluenza alle urne, soprattutto tra i giovani elettori, come già successo in precedenza.

            Nel suo messaggio, Swift ha esortato i suoi milioni di fan a registrarsi per votare tramite il sito Vote.gov. Nei giorni successivi al suo post, si è verificato un aumento del 585% nelle registrazioni e verifiche del proprio stato di voto, con oltre 400.000 click registrati nelle prime 24 ore.

            Gli esperti, però, sono cauti nel prevedere un impatto diretto sul sostegno a Harris. Un sondaggio condotto dalla Quinnipiac University tra il 19 e il 22 settembre mostra che il 76% degli intervistati afferma di non essere influenzato dall’endorsement di Swift, mentre il 9% si dichiara più entusiasta della candidatura e il 13% meno entusiasta.

            La potenza dell’appello di Swift: non solo voti, ma affluenza

            Dafydd Townley, docente di politica americana, sottolinea che la maggior parte dei fan di Swift probabilmente avrebbe votato per Harris anche senza il suo intervento. Tuttavia, la popstar ha dimostrato di avere un grande potere nel mobilitare gli elettori e nell’incentivare la registrazione di nuove persone, soprattutto tra i giovani. La generazione Z, in particolare, potrebbe giocare un ruolo chiave nelle prossime elezioni, e Swift è una figura di riferimento per questo gruppo demografico.

            Un esempio che fa storia

            Non è la prima volta che Swift si impegna politicamente. Già nel 2018, la cantante aveva mobilitato migliaia di persone a registrarsi per le elezioni di metà mandato, con un impatto immediato sulle registrazioni. Anche nel 2023, un suo post su Instagram ha portato a 35.000 nuove registrazioni, dimostrando il suo potere di influenzare l’affluenza tra i più giovani.

              Continua a leggere

              Mondo

              Vaccini, Boris Johnson e l’invasione fantasma: “Volevo attaccare l’Olanda per riprendermi le dosi”

              “Dopo mesi di negoziati inutili, l’Ue ci trattava con dispetto”: così Johnson giustifica l’idea estrema di intervenire militarmente in un paese alleato

              Avatar photo

              Pubblicato

              il

              Autore

                Londra – Un’operazione militare in Olanda per recuperare le dosi di vaccino anti-Covid “prese in ostaggio” dall’Unione europea con “malizia e dispetto”. Questo è uno dei passaggi più sorprendenti della nuova autobiografia di Boris Johnson, intitolata Unleashed – letteralmente, “sguinzagliato” – in uscita il 10 ottobre nel Regno Unito. L’ex primo ministro britannico ha svelato retroscena mai rivelati prima sui suoi anni al potere, incluso un possibile raid militare durante la pandemia per recuperare vaccini bloccati in territorio olandese.

                Secondo quanto riportato in un’anteprima pubblicata dal Daily Mail, Johnson ha raccontato di una riunione segreta nel marzo 2021 a Downing Street, in cui le forze armate britanniche studiarono la fattibilità di un’operazione in Olanda. L’obiettivo? Recuperare cinque milioni di dosi di AstraZeneca custodite nello stabilimento Halix di Leiden, bloccate dall’Ue e impossibili da esportare in Gran Bretagna.

                Johnson descrive la scena nei minimi dettagli: “Il generale Doug Chalmers, vice capo di stato maggiore della Difesa, spiegò che un intervento era possibile: avremmo potuto inviare una squadra su un aereo civile e un’altra su gommoni militari”. Ma l’ex premier ricorda di essersi trattenuto: “Sapevo che era una pazzia, ma ero disperato. Fintanto che la gente del mio paese continuava a morire di Covid, credevo fosse mio dovere mettere le mani su quelle dosi e usarle per salvare vite nel Regno Unito”.

                L’assalto mai avvenuto

                L’operazione, fortunatamente mai realizzata, avrebbe potuto creare un grave incidente diplomatico, dal momento che l’Olanda è un paese membro della Nato, alleato della Gran Bretagna. Tuttavia, l’insistenza di Johnson sul fatto che l’Ue stesse trattenendo le dosi “con dispetto” per punire il Regno Unito, reo di aver lasciato l’Unione con la Brexit, lo spinse a considerare l’intervento.

                In quel periodo, ricorda Johnson, il Regno Unito stava vaccinando a ritmi record, grazie proprio al vaccino AstraZeneca, sviluppato con fondi governativi britannici. Dopo due mesi di “futili negoziazioni” con Bruxelles, l’ex premier arrivò alla conclusione che l’Ue stava volutamente sabotando il successo del Regno Unito. “Potevo vedere lo stabilimento su Google Earth, sembrava facile da svaligiare”, scherza Johnson nella sua autobiografia.

                Critiche alla retorica bellica

                Le rivelazioni di Johnson hanno subito scatenato critiche, anche da parte di testate tradizionalmente vicine ai conservatori. The Spectator, ad esempio, ha messo in dubbio la lucidità dell’ex premier, sottolineando come già nel marzo 2021 fosse evidente che il vaccino AstraZeneca presentava dei limiti, e che un leader più saggio avrebbe evitato azioni sconsiderate. “Era così inebriato dal successo del vaccino post-Brexit – scrive il giornalista Ross Clarke – che la sua capacità di giudizio ne risultò compromessa”.

                “Grazie alla Brexit abbiamo vinto la corsa al vaccino”

                Nell’autobiografia, Johnson non mostra alcun segno di ripensamento: anzi, rivendica il successo della Gran Bretagna nella corsa al vaccino, che attribuisce interamente alla Brexit. “È grazie alla Brexit e a Kate Bingham, che guidò l’operazione vaccini, se siamo stati i primi a vaccinare la nostra popolazione. Avevo ragione quando, su un muro di Notting Hill, lessi la scritta ‘la Brexit salva vite'”, afferma con orgoglio l’ex primo ministro.

                Lo stile diretto e spesso provocatorio di Johnson emerge in diversi passaggi del libro. Parlando della sua predecessora Theresa May, scrive di aver sempre apprezzato “l’arroganza da maestra” e il modo in cui alzava gli occhi al cielo ogni volta che lui le diceva “qualcosa di scandaloso”. Inoltre, Johnson rivela di essere stato incaricato di parlare con il principe Harry per convincerlo a non trasferirsi in California, un episodio che Buckingham Palace ha prontamente smentito.

                In ogni caso, Unleashed promette di essere una lettura esplosiva che riporterà Johnson al centro del dibattito politico e mediatico britannico, proprio come ai tempi del suo governo.

                  Continua a leggere
                  Advertisement

                  Ultime notizie

                  Lacitymag.it - Tutti i colori della cronaca | DIEMMECOM® Società Editoriale Srl P. IVA 01737800795 R.O.C. 4049 – Reg. Trib MI n.61 del 17.04.2024 | Direttore responsabile: Luca Arnaù