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Percorsi di coaching

Cambiamento

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    Vi è mai capitato di interrompere la routine mattutina per cui rispetto al posteggio dove avete lasciato la vostra macchina, o alla fermata dove vi ha lasciato la metro o il bus, avete modificato il tragitto con una piccola deviazione, rispetto al luogo da raggiungere? Che fosse l’ufficio, il bar dove fate di solito colazione, o si trattasse più in generale di una mèta a cui giungere. Vi è mai successo di avventurarvi in un cambio di gusto rispetto alla pizza o al vostro gelato preferito? Vi siete mai trovati a modificare gli esercizi che siete soliti svolgere in palestra seguendo la solita scheda?

    Quotidiane sfide e giornalieri bisogni

    Ci si trova ogni giorno di fronte a qualcosa che segue un suo tragitto ma spesso è necessario che questo tragitto debba essere corretto. Magari, banalmente, perché una strada era chiusa per lavori, o perché la stracciatella era finita. O perché avevate quell’inspiegabile “voglia di cambiare”. Le neuroscienze ci dicono che la nostra mente asseconda determinati bisogni, alcuni dei quali definiti primari perché fortemente collegati al benessere e alla possibilità di vivere un’esistenza appagata e piena: ed ecco l’innato nostro bisogno di varietà, perché se la vita fosse così sicura da sapere in anticipo tutto ciò che ci accadrà, trionferebbero noia e inerzia. È per questo motivo che abbiamo bisogno anche di incertezza o appunto, di varietà. Tutti noi vogliamo un po’ di sorpresa nella nostra vita e questa caratteristica riflette quella curiosità che portiamo con noi fin da tenera età, nell’andare alla ricerca di stimoli e giochi nuovi.


    La bellezza è là fuori

    E quante volte, uscendo dalla ripetizione dello stesso comportamento, ci è capitato di sentirci in un iniziale spaesamento che spesso sfociava nel disagio? La verità è che gli schemi precostituiti ci danno sicurezza ma alla lunga offuscano il nostro potenziale, la nostra capacità di visualizzare l’opportunità e il nostro allenarci a individuare la modalità per risolvere i problemi. Spesso in un’ipotetica bilancia, il piatto su cui “giace” il timore di cambiare pesa molto più di quello rappresentato dalla curiosità. Ed è proprio assecondando quest’ultima, che spesso possiamo trovare le occasioni più sfidanti e la ricchezza.

    Out of comfort zone

    Il perimetro protetto, dunque, non è che la dorata prigione di chi preferisce accontentarsi di una vita di mediocrità per il timore di perdere il nido agiato, immobilizzati da un pensiero negativo imposto da uno stato d’animo caratterizzato essenzialmente da paura. Ma, pensiamoci: la neonata rondine apprezza il caldo dell’involucro costruito dalla mamma con fango e piume soltanto fino a che non scopre il potenziale che la natura le ha riservato. E dall’iniziale terrore di precipitare verso il suolo, realizza di avere un meraviglioso paio di ali che le consentono di librarsi nel cielo e vedere il mondo dall’alto.


    fraborrelli40@gmail.it

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      Realizzarsi nell’Ikigai

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        C’era una volta un umile pescatore che viveva in un piccolo villaggio costiero del Giappone. Tutti i giorni si alzava all’alba, trascorrendo le ore in mare prima che il villaggio si svegliasse. Il suo lavoro era duro e la paga modesta, ma al centro di tutto c’era la gioia immensa derivante dalla sua passione per il mare. Un giorno, un uomo d’affari in vacanza vide il pescatore sollevare le reti cariche di pesci. Rimanendo impressionato dalla quantità e qualità del pescato per cui gli propose di espandere la sua attività. Lluomo d’affari avrebbe comprato più barche e assunto altri pescatori, consentendo al pescatore di diventare ricco e godersi la vita. Ma questi si chiese in effetti che cosa avrebbe fatto con tutto quel tempo libero? L’uomo d’affari rispose prontamente, “Potresti sederti e goderti il panorama, respirare la brezza marina, pescare un po’ per divertimento, senza preoccupazioni.” E il pescatore gentilmente: “non è forse quello che sto già facendo?”

        Alla ricerca di ciò che amiamo

        La storia del pescatore giapponese racchiude in sé il meraviglioso concetto zen dell’Ikigai. Quel centro di vita in cui è custodito e racchiuso il proprio “perché” e la propria ragione di vita, a cominciare dalle passioni che accendono l’emozione della felicità e la spinta motivazionale che ogni giorno caratterizza l’alzarsi dal letto con entusiasmo. In questo perimetro positivo, rientrano anche quegli hobby e quelle attività per le quali lo scorrere del tempo è impercettibile e connesso con la nostra natura più autentica e profonda.

        Missione e talento al servizio di ciò per cui ci pagano

        Ecco un elemento già conosciuto nelle precedenti puntate. Accanto al fuoco della passione, per realizzarsi nell’Ikigai è necessario focalizzarsi sulle proprie competenze e sulle consapevolezze riguardanti il talento. Ovvero su quelle abilità per le quali ci sentiamo di eccellere in maniera autentica e per cui abbiamo ricevuto complimenti. Affiancata a competenze e passione, la successiva riflessione include lo spunto sulle opportunità professionali, sulle nostre esperienze lavorative e sul fatto di poter guadagnare mediante passione e abilità per quel tipo di mansione. Detto spunto considera esperienze e progetti precedenti per le quali si è percepito un emolumento. Allargandosi all’idea di poter generare un reddito attraverso passione e accresciuta competenza.

        Il mondo ha bisogno di Noi: l’Ikigai prende forma

        Il tracciato verso l’Ikigai si completa attraverso il contributo che possiamo offrire al mondo intero. Attraverso l’impatto che le nostre passioni e le nostre competenze possono avere sui problemi e sui bisogni esterni: come possiamo migliorare la società in cui viviamo? Come possiamo immettere il nostro positivo attraverso ciò che sappiamo fare e rendere il mondo un posto migliore, più conforme ai nostri valori e arricchito dal nostro apporto? L’intersecarsi delle quattro diverse aree circoscrivere il nostro Ikigai. Corrispondente alla rispettiva realizzazione personale sotto forma di passione, talento, opportunità che porti ad un guadagno e, non ultimo, segno lasciato nel mondo sotto forma di contributo fattivo. La geometria ha consentito di tracciare le linee, le risposte alle varie domande nei quattro diversi filoni hanno definito il perimetro in cui ci sentiamo realizzati. Adesso spetta a noi dare vita alle nostre azioni e avvicinarci al nostro scopo di vita. Coniugando ciò che amiamo, ciò per cui siamo competenti, ciò per cui veniamo pagati e ciò di cui il mondo ha bisogno, costruendo un mattoncino alla volta la vita dei nostri sogni.


        fraborrelli40@gmail.com

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          I nostri tre poli direzionali

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            Ed eccoci arrivati a settembre, uno dei periodi dell’anno in cui di più si tende a raccogliere le forze, esplorare e far bilanci di quello che è stato nei mesi precedenti: l’estate tenderà a far spazio alla stagione del raccolto, seguendo i tempi naturali di ciò che si è seminato in primavera. Qualcuno deciderà di mettersi in gioco, trascorse ormai le ferie e deposta l’ascia di guerra da parte del “grande caldo” e del conseguente sudore. Ma è davvero così? Settembre coincide davvero con una messa “a stecchetto” e ad una ricalibrazione rispetto agli obiettivi?

            Settembrite

            Presente quando si fa coincidere l’iscrizione in palestra con il periodo post vacanze? O quando facciamo slittare quell’impegno così gravoso al proverbiale periodo più “favorevole”? O quando “appena riprendono le scuole, mi organizzo”? Chiamiamola pure la “scusite di settembre” o anche “settembrite”. I buoni propositi, senza obiettivi ben definiti né agganciati a una motivazione efficace e ad un coinvolgimento concreto sotto forma di visualizzazione dell’idea di stare meglio, si disperdono creando soltanto frustrazione e alibi. Se vi è mai capitato di cambiare idea tre volte in cinque minuti, credendo che tutte e tre le opzioni fossero giuste, anche se completamente diverse tra loro, sappiate che non c’è niente di sbagliato in voi!

            Alla radice del fenomeno

            È un fenomeno presente in ognuno di noi ed è facilmente osservabile nei bambini, che in cinque minuti passano dalla gioia più totale alla disperazione più fragorosa, o passano in maniera quasi compulsiva da un gioco all’altro. Nel mondo degli adulti accade lo stesso, solo che ci si nasconde dietro alle scuse di cui parlavamo sopra e procrastinando succede che poi trascorrono mesi ed anni. Dentro di noi albergano tante diverse identità sfaccettate che nel lavoro interiore vengono definite “io divisi”. Ci sono in effetti tante piccole parti di noi che sono in disaccordo, magari perché collegate a credenze, valori, esperienze, paure, retaggi familiari, attaccamenti vari. Queste parti vanno riconosciute per creare un “io sano di lavoro” che si possa muovere liberamente attraverso le pieghe del nostro cervello. Tutto questo funziona solo se i tre “centri” ruotano nell’armonia fra l’anima mentale, quella fisica e quella emozionale.

            Praticare il lavoro su tre centri

            La maggior parte delle persone tende a focalizzarsi solo su un “centro”, quello mentale o quello fisico. Basti pensare, a mero titolo di esempio, che talvolta si lavora esclusivamente sulla motivazione senza un collegamento fattivo alle emozioni sottostanti rispetto invece al raggiungimento dell’agognato futuro. Per un’elaborazione completa che abbia solide fondamenta, queste tre parti devono trovarsi nella piena armonia affinché si sviluppi una consapevolezza sempre maggiore circa il proprio potenziale e che faccia perno su obiettivi ben definiti, evitando il multitasking e tutto ciò che distoglie la mente dalla mèta che si è scelta. Che si tratti di obiettivi di breve periodo – mettersi in forma entro Natale – o di lungo – stravolgere il proprio stile di vita – il link fondamentale deve attraversare anche il polo emozionale, quello più irrazionale e agganciato al nostro vissuto. E di qualunque vissuto si parli, collegare simbioticamente le tre parti, favorisce e facilita il raggiungimento dei nostri sogni.

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              Utili a se stessi e di conseguenza agli altri

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                Agosto, tempo di viaggi, di mare, di biglietti aerei comprati mesi prima. E che cosa ci raccomandano le hostess e gli steward prima della partenza dell’aereo? In caso di necessità, di vuoti d’aria o di qualsiasi emergenza, i passeggeri, specie se genitori con al seguito i loro bambini, anche piccoli, devono prima indossare la propria mascherina per l’ossigeno e poi pensare ai figli.

                Oltre la metafora di bordo

                Il cambiamento, manco a dirlo, parte da noi e se non ci attiviamo per primi nell’assecondare la nostra “miglior versione” questo cambiamento rimane incompleto e incompiuto. Ci sono tanti falsi miti sulla generosità, sulla compassione e sull’aiutare gli altri, fino a credere erroneamente che sacrificarsi sia utile o prioritario. Se mi metto all’ultimo posto, svalorizzo le mie capacità e doti, non aiuto nessuno e svilisco il mio valore disperdendolo.

                Dire sempre di sì

                Fin da piccoli, assorbiamo tutto dalla famiglia, comprese le credenze errate, e per il terrore di essere abbandonati non le mettiamo mai in discussione. E in effetti, solitamente dietro al dire sempre di sì, c’è un’enorme paura di essere rifiutato smarrendo per sempre l’amore e la fiducia degli altri (che nel frattempo non sono più solo i nostri genitori). Ma come abbiamo visto insieme nelle precedenti puntate, anche qui c’è una credenza cui lavorare e da utilizzare e da ribaltare a nostro favore: “io sono ok, tu sei ok”. Le altre persone non posso fare altro che apprezzarmi per quello che sono, per le mie qualità, i miei talenti, i miei tempi.

                Perché non serve a niente credere di non farcela

                Inizia tutto dalla coscienza della fiducia nei nostri mezzi e nel nostro potenziale: tutto ciò di cui ho bisogno è già dentro di me, la priorità sono io e posso – finalmente! – cambiare la vita delle altre persone che mi seguiranno per la mia unicità.

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