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Punti di svista

Carceri disumane: una vergogna italiana

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    A cosa serve il carcere? Teoricamente a rieducare e riabilitare chi ha commesso un reato, perché sia pronto, al termine della condanna, per tornare nella società. Ma questo, solo in teoria. Anche se la funzione del carcere è stabilita in maniera chiara dalla nostra Costituzione, che prevede come la detenzione sia quella di trasformare il comportamento del detenuto e di riclassificarlo socialmente e trasmettergli un nuovo quadro di valori, quello che accade quotidianamente nelle prigioni italiane è ben diverso.

    Frasi non accettabili

    La percezione è infatti che il carcere sia una sorta di vendetta della società contro chi ha commesso un crimine. Umano, forse, da parte di chi il crimine lo ha subito ma certo non all’altezza di uno stato di diritto che meriti di essere definito tale. Frasi tipo «buttate via la chiave» o «marcisca in prigione», non fanno parte solo della vulgata popolare ma spesso, troppo spesso, diventano slogan sbandierati da politici a costante ricerca del consenso. Ma quelle frasi non sono accettabili.

    Dati drammatici

    Uno Stato moderno deve garantire una vita dignitosa ai carcerati e non può trattarli come persone di serie B. Altrimenti finiamo per comportarci come quelli stati dittatoriali che tanto critichiamo. E non è un caso che i dati del Garante nazionale dei detenuti nel 2024 siano drammatici.

    Non si può fare finta di niente

    Sono già 54 dall’inizio dell’anno le persone che hanno deciso di uccidersi dietro le sbarre. Fragilità mentali che si sommano a situazioni di degrado all’ordine del giorno: celle troppo affollate e prive di spazi essenziali, trasformano le carceri in luoghi disumani. E se è vero che il livello di civiltà di una società si misura sulla base di come tratta gli ultimi, quanto accade nelle celle italiane è intollerabile. E non può essere ignorato.

      Punti di svista

      Il destino del mondo nelle mani di una popstar: benvenuti in America!

      Tantissimi giovani pendono dalle sue labbra… e non solo quando canta le sue canzoni. Taylor Swift si sta sempre più rivelando un elemento decisivo per il risultato finale delle presidenziali negli Stati Uniti. Con grande disappunto da parte dell’ex presidente Trump…

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        Se qualcuno dieci anni fa avesse detto che Taylor Swift avrebbe avuto un potere tale da essere in grado di influenzare le elezioni presidenziali americane, chiunque lo avrebbe sbeffeggiato. E invece eccoci qua: la popstar da miliardi di stream, regina indiscussa del pop mondiale, lo sta facendo davvero. Il suo endorsement alla candidata dem Kamala Harris, arrivato pochi minuti dopo il dibattito tv con Donald Trump – incredibile ma vero – può spostare gli equilibri.

        Non soltando un idolo musicale

        Ma com’è possibile che una popstar sia così influente nell’opinione pubblica? Taylor Swift orami non è soltanto un’icona musicale. Da una parte è una vera e propria macchina da guerra capace di sfornare successi in serie e spostare folle oceaniche ad ogni concerto. Dall’altra è diventata un’influencer, ma per davvero. La sua è una narrativa che va ben oltre le sue canzoni. Parla di empowerment, diritti civili, parità di genere e di importanza del voto come partecipazione attiva. Inoltre è sobria, non ci sono scandali su di lei, foto di nudo, gossip. Riesce a mantenersi «pulita» agli occhi di tutti. E milioni di persone, soprattutto giovani, pendono dalle sue labbra, pronti a sognare un futuro migliore con le cuffiette nelle orecchie.

        Fa spostare l’ago della bilancia

        E dopo la sua scelta di campo, milioni di giovani, molti dei quali magari ancora indecisi o demotivati nei confronti della politica, si sono registrati come elettori per le prossime presidenziali e potrebbero scoprirsi all’improvviso sostenitori dell’attuale vicepresidente. Che in una sfida, comunque, testa a testa non poteva chiedere di meglio. E così Taylor Swift potrebbe davvero cambiare la storia della politica americana. E quindi mondiale. Chissà che in un modo o nell’altro non dovremo a breve ringraziare (o maledire) una popstar per come siamo messi.

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          Punti di svista

          Il rigore che ci vuole per punire i vigliacchi social

          L’attaccante del Como Patrick Cutrone, cresciuto nelle giovanili del Milan, si sfoga per i messaggi vergognosi da lui ricevuti dopo un rigore fallito. Commenti non solo odiosi ma anche surreali… visto che lui è stato fra i protagonisti (14 gol e 5 assist in 32 presenze) della promozione in Serie A della sua squadra attuale…

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            «Nino non aver paura di sbagliare un calcio di rigore…», cantava De Gregori. Ma quando pubblicò una delle sue canzoni più celebri, La leva calcistica della classe ‘68, non aveva fatto i conti con i social network e su quanto possano essere utilizzati in maniera infima.

            Augurare la morte a chi fallisce un penalty: succede pure questo

            Succede che Patrick Cutrone, attaccante del Como, sbagli un calcio di rigore decisivo, nei minuti di recupero, nella gara contro l’Udinese. È successo a lui come ad altri nel passato, succederà ancora. Piccolo dramma sportivo ma, oggettivamente, nulla di irreparabile, specie alla terza giornata di campionato. Eppure, eccoli i fenomeni dei social. In questo caso molto più che odiatori. La pagina Instagram di Cutrone è stata infatti intasata di insulti, alcuni gravissimi, in cui si augura la morte a lui e ai suoi figli. Inaccettabile.

            Leoni… vigliacchi

            Il calciatore non ci sta, mostra parte di questi vergognosi messaggi (ovviamente provenienti da account anonimi, perché i cuor di leone virtuali sono profondamente vigliacchi, sempre) e scrive: «Accetto le critiche, com’è giusto che sia ma queste cose non le lascio passare». E ha ragione, da vendere. Banale esprimere solidarietà a Cutrone.

            Ci vogliono regole (e pene) precise

            L’augurio è che la polizia postale rintracci quei cretini e, oltre a metterli di fronte alla loro pochezza umana, meglio se pubblicamente, gli faccia mettere anche mano al portafoglio. Una bella e cospicua donazione a qualche associazione caritatevole sarebbe una bellissima e sacrosanta lezione. Per tutti.

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              Punti di svista

              Il dramma di Sharon e lo squallido spettacolo degli onorevoli sciacalli

              Quando un drammatico fatto di cronaca nera diventa il prestesto per dichiarazioni inutili ed anche offensive. E’ accaduto purtroppo anche in occasione del delitto di Sharon Verzeni.

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                Non poteva mancare. Piacevole come la sabbia che resta tra le dita dopo una giornata al mare e utile come una forchetta in un piatto di brodo. Ma tant’è, la speculazione politica dopo un fatto di cronaca non manca mai.

                Inutili presenze

                E così, l’efferato delitto della povera Sharon Verzeni, ha permesso a politici di una parte e dell’altra di palesare tutta la loro profonda inutilità e trasmettere una volta di più un concreto fastidio. A nessuno importava davvero l’accaduto. L’importante era prendere posizione e dire qualche assurdità per avere visibilità.

                Sono solo… parole, anzi… fesserie

                «Il killer non è italiano», solo perché è di colore. Oppure «l’omicidio è figlio del patriarcato» perché i femminicidi nascono in un contesto di prevaricazione. Fesserie, dette per fare sensazionalismo e raccattare qualche voto qua e là. Fesserie, che qualificano chi le dice e che offrono un quadro preciso della desolazione della nostra realtà politica in cui, speculare su una tragedia, è più importante lavorare, per davvero, per la collettività.

                Purtroppo è la replica della replica

                Nulla di inedito, un copione già visto più volte. Speculare sulla cronaca è triste. Farlo sulla pelle di una povera ragazza è davvero squallido.

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