Lifestyle
Castelli di sabbia, conchiglie sonore e altre curiosità da spiaggia
Qualche curiosità “da spiaggia” che risponde ad alcune situazioni quotidiane, che potrebbero essere oggetto di domande da parte dei nostri figli: ecco come rispondere!
A volte si da tutto troppo per scontato, senza peraltro conoscerne l’esatta risposta. Vi siete mai chiesti, per esempio, il motivo della necessità di sabbia bagnata per costruire un castello di sabbia perfetto? Oppure perchè appoggiando l’orecchio ad una conchiglia “si sente il mare”? Si tratta di risposte che spaziano dalla fisica, alla chimica fino alla biologia. Si tratta di quesiti che, quasi sicuramente, tutti ci siamo posti almeno una volta nella vita, senza avere mai avuto risposta.
* Perché i castelli di sabbia asciutta non stanno in piedi?
La sabbia della spiaggia è composta da miliardi di granelli separati tra di loro. Al contrario, In quella bagnata minuscole goccioline d’acqua di mare legano i granelli gli uni agli altri, formando un insieme compatto e modellabile piuttosto facilmente. A mano a mano che il vento e il calore del sole determinano l’evaporazione dell’acqua, la sabbia si asciuga e i granelli tornano a separarsi. E il castello, faticosamente costruito, si disgrega…
* Perchè le imbarcazioni galleggiano sull’acqua?
Quando fate colazione e la tazza di latte è piena, dovete fare attenzione a non inzuppare troppo i biscotti perché altrimenti trabocca. Ciò accade perché i biscotti hanno preso il posto del latte, che è uscito dalla tazza. Analogamente un natante in mare sposta una quantità di acqua uguale al volume della sua “opera viva” (termine marino che indica la parte della barca che si trova sott’acqua). Se raccogliessimo in un serbatoio quest’acqua e la pesassimo, scopriremmo che è esattamente uguale al peso dell’intera barca.
Archimede aveva capito tutto
Ci si deve rifare, in questo caso, al “principio di Archimede”, legge fisica che prende il nome dal suo scopritore, lo scienziato Archimede, che la sperimentò nel 300 a. C. circa: un corpo immerso in un liquido riceve una spinta dal basso verso l’alto uguale al peso del volume di liquido spostato. L’acqua pesa circa 1 kg per litro, quindi la spinta galleggiante sarà più o meno 1 kg per ogni litro d’acqua spostata.
Al mare si galleggia di più
In questo modo una barca, anche se di ferro, resterà a galla finché il suo peso, con tutto il carico, non supererà il peso del volume dell’acqua che sposta. Tenendo conto che l’acqua salata risulta più densa di quella dolce, quindi a parità di volume pesa di più: la sua spinta verso l’alto è maggiore rispetto a quella dell’acqua dolce. Per questo motivo al mare si galleggia di più che in piscina!
* Perché avvicinando le conchiglie all’orecchio si sente il rumore del mare?
Si tratta di un effetto fisico che potreste sperimentare anche in montagna: il mare non c’entra. Alcune parti di un’onda sonora (cioè alcune frequenze) “rimbalzano” nella cavità della conchiglia e vengono in questo modo amplificate, creando questa particolare suggestione sonora, che ricorda il suono del mare.
* Perchè sott’acqua, senza maschera, vediamo tutto sfocato?
L’occhio umano è regolato per mettere a fuoco nell’aria. Nell’acqua, che possiede un diverso “indice di rifrazione” della luce, il nostro organo non riesce a mettere a fuoco le immagini sulla retina bensì più indietro, facendoci vedere sfocato. Indossando la mascherada sub l’occhio si trova di nuovo a contatto con l’aria e la sfocatura viene annullata. Anche se tutto quello che vediamo appare più grande di circa un terzo e più vicino a noi di quanto sia in realtà.
* Perchè sputiamo all’interno della maschera per pulirla?
La nostra saliva contiene alcuni enzimi (come la ptialina) che funzionano come una sorta di detersivo e puliscono la parte trasparente della maschera meglio dell’acqua dolce o dell’acqua di mare, evitando la formazione di condensa, che creerebbe l’effetto di appannamento.
* Perchè al sole ci abbronziamo?
La nostra pelle è fatta di cellule speciali, i melanociti, che producono una sostanza che assorbe la luce: la melanina. Serve a proteggere il nucleo cellulare dalle radiazioni solari ultraviolette Uva e Uvb, in grado di causare arrossamenti e scottature. Quando ci si espone al sole, la produzione di melanina si attiva e la pelle inizia lentamente a scurirsi. In questo modo gli strati profondi dell’epidermide vengono così protetti e, nello stesso tempo, otteniamo una bella abbronzatura.
Un filtro solare naturale, da integrare naturalmente con le creme protettive
La melanina funziona come un filtro solare naturale, anche se solo fino ad un certo livello. Per non scottarci dobbiamo usare le creme solari, anche se stiamo sotto l’ombrellone (dato che gli Uv riflessi dalla sabbia ci scottanocome quelli ricevuti direttamente) e nelle giornate nuvolose (il 90% degli Uv attraversa le nuvole). Va detto che le popolazioni di pelle chiara hanno lo stesso numero di melanociti di quelle con la pelle scura. La differenza di colore dipende solo dalla minore capacità delle cellule di produrre melanina. In altre parole, anche noi europei, se possedessimo melanociti più efficienti, saremmo di pelle scura!
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Curiosità
Dal Medio Oriente a Greccio: la lunga storia del presepe
Dai primi richiami iconografici delle catacombe alla svolta di San Francesco nel 1223: ecco come è nato il presepe e perché è diventato un simbolo radicato nella cultura italiana.
Una tradizione che affonda le radici nei primi secoli del Cristianesimo
Il presepe, oggi presenza quasi scontata nelle case italiane durante il periodo natalizio, ha un’origine molto più antica e complessa. Le prime rappresentazioni della Natività compaiono già tra il III e il IV secolo d.C., soprattutto nelle catacombe romane, dove le comunità cristiane raffiguravano la nascita di Gesù attraverso pitture rudimentali: la Vergine, il Bambino e, talvolta, il bue e l’asino. Non si trattava ancora di presepi nel senso moderno, ma di immagini destinate alla venerazione e alla trasmissione del messaggio cristiano.
Durante l’epoca bizantina e medievale, la scena della Natività diventò un tema ricorrente nelle chiese, nei mosaici e negli affreschi d’Europa. Tuttavia, la rappresentazione era ancora esclusivamente artistica, non tridimensionale e non legata a un contesto domestico o sociale.
La svolta di San Francesco: il presepe “vivente” del 1223
La nascita del presepe come lo intendiamo oggi viene comunemente attribuita a San Francesco d’Assisi. Secondo le Fonti Francescane, nel 1223 il santo organizzò a Greccio, in provincia di Rieti, una rievocazione della Natività con persone, animali e una mangiatoia reale. L’obiettivo non era decorativo ma spirituale: far comprendere, anche ai meno istruiti, il significato concreto e umano della nascita di Cristo.
Papa Onorio III autorizzò quell’iniziativa, che divenne presto un modello imitato in molte comunità monastiche e parrocchie. Il presepe assunse così un valore catechistico, diventando uno strumento di divulgazione religiosa accessibile e immediato.
Dal sacro all’arte: l’evoluzione dei presepi in Europa
Nel tardo Medioevo e nel Rinascimento, il presepe iniziò a trasformarsi in una forma d’arte. Le prime statue in terracotta o legno compaiono nelle chiese italiane tra il XIV e il XV secolo. A Napoli, in particolare, si sviluppò una tradizione destinata a diventare famosa in tutto il mondo: quella del presepe barocco, ricco di personaggi, ambienti quotidiani e figure popolari.
Tra il Seicento e il Settecento le famiglie aristocratiche commissionavano veri e propri scenari monumentali, arricchiti da pastori, venditori ambulanti, botteghe, locande e paesaggi complessi. Anche il Regno delle Due Sicilie contribuì alla diffusione del presepe artistico, con artigiani come i Ferrigno o gli scultori della scuola napoletana che ne fecero un simbolo culturale.
In contemporanea, in altre regioni europee — come la Provenza con i santons, la Germania con i presepi in legno intagliato e la Spagna con i belén — la tradizione si diffuse e si radicò, assumendo caratteristiche locali.
Il presepe domestico: una tradizione popolare del Novecento
È solo tra Ottocento e Novecento che il presepe diventa una presenza stabile nelle case. Con la produzione industriale di statuine in gesso e, successivamente, in plastica, la scena della Natività diventa accessibile a tutti. L’Italia, in particolare, mantiene un ruolo centrale nella produzione e nell’artigianato, con poli storici come Napoli, Lecce, Trento e Genova.
Oggi il presepe è un simbolo culturale e familiare più che strettamente religioso: un racconto visivo che unisce storia, fede, tradizione e creatività. Ogni regione ha sviluppato varianti tipiche, dai presepi viventi ai diorami, fino ai presepi meccanici e artistici.
Una storia che continua
La tradizione del presepe, partita dalle prime comunità cristiane e consolidata dall’intuizione di San Francesco, è oggi un patrimonio riconosciuto in tutto il mondo. La sua evoluzione dimostra come un gesto devozionale sia diventato un linguaggio artistico capace di rinnovarsi, mantenendo intatto il suo valore simbolico e identitario.
Lifestyle
L’albero di Natale, una storia lunga secoli: come è nata la tradizione che illumina le nostre case
Oggi fa parte della magia dell’8 dicembre e delle feste natalizie, ma l’usanza di addobbare un albero ha radici antichissime, tra riti pagani e devozione cristiana.
Quando arriva dicembre, l’atmosfera cambia: in quasi tutte le case prende posto un albero decorato, luci scintillanti e ornamenti colorati che segnano l’inizio del periodo più atteso dell’anno. È un gesto diventato naturale, quasi scontato, ma che custodisce una storia affascinante, ricca di simboli, culti antichi e tradizioni popolari.
Le radici pagane: l’albero come simbolo di vita
Molto prima di essere legato al Natale, l’albero sempreverde era un segno di vita che resiste all’inverno. Nelle culture del Nord Europa, druidi e popolazioni germaniche decoravano abeti e rami di agrifoglio per celebrare il solstizio d’inverno: un rituale che evocava la rinascita del sole e la fine dell’oscurità.
L’albero verde, anche nel freddo più intenso, ricordava che la natura non muore mai: era il tramite tra l’uomo e il divino, tra Terra e Cielo.
Il passaggio al cristianesimo
Con la diffusione del cristianesimo, molte usanze pagane vennero reinterpretate. L’albero divenne simbolo dell’Eden, del legno della Croce e della speranza nella salvezza. In alcune comunità medievali si metteva in scena l’“Albero del Paradiso” l’8 dicembre, festa di Adamo ed Eva nel calendario liturgico dell’epoca: era un abete addobbato con mele e ostie per ricordare la caduta e la redenzione dell’uomo.
Questo gesto scenico rappresenta uno dei primi antenati diretti del nostro albero di Natale.
La leggenda di Martin Lutero e le luci sull’abete
Una delle storie più celebri racconta che sia stato Martin Lutero, nel XVI secolo, a introdurre le luci sull’albero. Di ritorno da una passeggiata invernale, incantato da un cielo pieno di stelle tra i rami degli abeti, avrebbe portato a casa un albero e lo avrebbe illuminato con piccole candele. Un modo per raccontare ai figli la bellezza del creato e la luce di Cristo nel mondo.
Non ci sono prove certe di questo episodio, ma la tradizione delle candele sull’albero si diffuse rapidamente nei paesi protestanti di Germania e Scandinavia.
Dal Nord Europa al resto del mondo
Fu proprio la Germania, tra XVII e XIX secolo, la culla dell’albero di Natale moderno: addobbi, dolci appesi ai rami, figurine, ghirlande. La tradizione viaggiò poi in tutta Europa grazie ai matrimoni reali e agli scambi culturali. A Londra divenne celebre quando nel 1841 la regina Vittoria e il principe Alberto — di origini tedesche — ne esposero uno a Buckingham Palace: la moda contagió tutta la società britannica e, da lì, gli Stati Uniti.
Con l’arrivo dell’Ottocento industriale, fecero la loro comparsa le palline in vetro e i primi ornamenti prodotti in serie, trasformando l’albero in un vero rituale familiare.
L’albero in Italia
Nel nostro Paese la tradizione si affermò con decisione nel Novecento, soprattutto nel secondo dopoguerra. Oggi è simbolo della festa tanto quanto il presepe, e in molte famiglie viene decorato proprio l’8 dicembre, giorno dell’Immacolata: un momento che unisce religione, festa e convivialità.
Nelle piazze italiane — da Milano a Palermo — l’accensione dell’albero è un evento pubblico aspettato e condiviso, capace di portare luce e comunità durante l’inverno.
Un rito che si rinnova ogni anno
Che sia vero o artificiale, minimale o ricco di addobbi, l’albero di Natale è diventato parte del nostro modo di vivere la festività: riempie le case di colori, richiama profumi dell’infanzia e ci fa ritrovare, anche solo per un attimo, il senso di calore e meraviglia.
Dietro quelle luci che brillano c’è un viaggio millenario, fatto di simboli e storie intrecciate. Un gesto semplice che continua a unire generazioni e culture, ricordandoci che — proprio come l’abete sempreverde — anche nei giorni più freddi possiamo conservare un po’ di luce e di speranza.
Cucina
Sfincette dell’Immacolata: la dolce tradizione siciliana che apre le feste
L’8 dicembre, in Sicilia, il profumo di cannella invade le case: piccole frittelle soffici e dorate celebrano l’inizio del periodo natalizio.
In Sicilia, l’attesa del Natale si apre con un profumo: quello caldo e avvolgente delle sfincette dell’Immacolata, frittelle soffici passate nello zucchero e nella cannella. L’8 dicembre, quando si celebra la festa dell’Immacolata Concezione, questo dolce arriva sulle tavole di molte famiglie siciliane come segno di buon auspicio e inizio delle festività.
La tradizione delle sfincette — chiamate in alcuni luoghi anche “zeppole dell’Immacolata” — affonda le sue radici nella cucina popolare dell’isola. Il termine “sfincia” deriverebbe dal latino spongia (spugna), a sottolineare la consistenza morbida e ariosa dell’impasto. Un dolce povero, nato da ingredienti semplici: farina, acqua, lievito e un tocco ingegnoso della tradizione agricola siciliana, la patata lesse aggiunta per rendere l’impasto ancora più soffice.
Un rito domestico che profuma di famiglia
Prepararle è molto più di una semplice ricetta: è un momento condiviso, spesso affidato alle nonne, custodi di segreti tramandati di generazione in generazione. La pasta viene fatta lievitare e poi “gettata” nell’olio bollente in cucchiaiate che diventano morbide palline dorate. Ancora calde, vengono rotolate nello zucchero profumato alla cannella: una festa per occhi, naso e palato.
Le sfincette sono amate dai grandi e dai più piccoli, perfette per concludere il pranzo dell’Immacolata o per una merenda che sa di casa. E una tira l’altra: resistere è praticamente impossibile.
La ricetta autentica delle Sfincette dell’Immacolata
Ingredienti per l’impasto
- 300 g di farina 00
- 300 ml di acqua a temperatura ambiente
- 140 g di patate lesse e schiacciate
- 8 g di lievito di birra fresco
- 1 pizzico di sale
Per la finitura
- Zucchero semolato
- Cannella in polvere
Procedimento
- Sciogliere il lievito
In una ciotola o bicchiere, stemperate il lievito nell’acqua e mescolate fino a farlo dissolvere. - Preparare la pastella
In una ciotola capiente unite farina e patate ridotte in purea. Versate a filo l’acqua con il lievito e aggiungete il sale. Con una forchetta o una frusta lavorate fino a ottenere un composto morbido, liscio e senza grumi. - Lievitazione
Coprite la ciotola con pellicola alimentare e lasciate riposare circa un’ora in forno spento con luce accesa, finché l’impasto raddoppia. - Frittura
Scaldate abbondante olio di semi in un pentolino. Prelevate cucchiaiate di pastella e tuffatele nell’olio bollente. Le sfincette si gonfieranno immediatamente: rigiratele finché risulteranno dorate uniformemente. - Zucchero e cannella
Scolatele su carta assorbente, poi, ancora calde, rotolatele nel mix di zucchero e cannella. Procedete così fino a terminare l’impasto.
La festa che prepara alla festa
Nelle città e nei piccoli borghi siciliani, l’Immacolata non è solo un giorno di festa religiosa: è la scintilla che accende l’atmosfera natalizia. Tra presepi che iniziano a prendere vita e luminarie che si accendono, il dolce ruolo delle sfincette è proprio quello di inaugurare ufficialmente le celebrazioni.
Un gesto semplice, un sapore antico e un simbolo di comunità: basta un morso a una sfincetta per sentire che il Natale è davvero iniziato.
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