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Cronaca

Il delitto di Garlasco: tutto quello che non sapete

Per la legge il colpevole del delitto di Garlasco è sempre stato Alberto Stasi. Ma alcuni dettagli, passati in secondo piano, avrebbero potuto forse alimentare soluzioni differenti.

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    Sono passati esattamente 17 anni dall’omicidio di Chiara Poggi. Un lasso di tempo superiore a quello inflitto ad Alberto Stasi, condannato a 16 anni per omicidio volontario. Garlasco, nel corso del tempo, è diventato “famoso” per quell’orribile fatto di sangue, salendo alla ribalta delle cronache. Come è successo a Cogne, Brembate di Sopra, Erba, Avetrana. Dove l’attenzione dei media si focalizza, andando a scandagliare tutto, alla ricerca dei dettagli più pruriginosi. Spesso mescolando le carte e confondendo l’opinione pubblica.

    Una visione distorta della realtà

    Esattamente quello che è successo alla vicenda di Chiara Poggi e Alberto Stasi, ottenendo una visione distorta che, per quanto minuziosa, in realtà concorre a confondere gli eventi. Come se il delitto di una ragazza 28enne sia stato una meteora, scollegato da qualsiasi situazione pregressa. Ma ci sono dei particolari che non sono mai entrati nella narrazione mediatica del fatto delittuoso.

    Garlasco come tanti altri paesini, divenuti poi tristemente famosi

    Per giustificare l’attenzione investigativa indirizzata da subito solo ed esclusivamente su Alberto Stasi, è passata la versione che quel giorno Garlasco – che conta circa 10 mila abitanti – non ci fosse praticamente nessuno. Naturalmente così non è, quel 13 agosto a Garlasco c’erano tante persone. Come le gemelle Paola e Stefania Cappa, le cugine di Chiara, che finirono nel turbine delle polemiche dopo aver effettuato un fotomontaggio che le mostrava in compagnia della ragazza uccisa. Come pure Andrea Sempio, il 19enne amico di Marco Poggi, fratello di Chiara, che nel 2016 sarà indicato come il possibile, vero killer, dopo che il suo Dna, ritenuto in seguito dalla Procura di Pavia inutilizzabile, era stato ritrovato sotto le unghie di Chiara. L’accusa verrà poi archiviata.

    Una questione spinosa che coinvolge un sacerdote

    Alcuni anni fa emerse una fonte che affermò: “Non si può capire bene il contesto del delitto di Garlasco se non si approfondisce quello che succedeva alle Bozzole”. Il Santuario della Madonna della Bozzola rappresenta è un punto di riferimento importante per la zona e non solo. Dal 1990 ne è rettore un prete che nel 2003 fonda una comunità per il recupero di ragazzi e ragazze con problemi psicologici e di tossicodipendenza. Il suo nome salì alla ribalta delle cronache tra il 2014 e il 2015, coinvolto in una brutta storia di ricatti a sfondo sessuale. Un cittadino romeno sosteneva di averlo ripreso in atteggiamenti intimi con un altro uomo, chiedendogli poi una somma di denaro per comprare il suo silenzio. I Carabinieri locali, così risulta dagli atti, si limitarono ad ammonire verbalmente il romeno affinché interrompesse l’estorsione, dopo la denuncia del sacerdote.

    L’intermediazione del primo cittadino

    Ma l’ammonimento dell’autorità non risulta essere sufficente: il prete cede e decide di pagare. A fare da intermediario per la consegna dei soldi, l’allora sindaco di Garlasco. Il romeno incassa qualche decina di migliaia di euro e, per farlo stare buono, l’allora primo cittadino (anche commercialista), gli apre una ditta individuale per permettergli di lavorare nel ramo edilizio, con la collaborazione di un avvocato che, in precedenza, aveva svolto il ruolo di intermediario tra il romeno e altre persone convinte a cedergli del denaro. Secondo gli inquirenti, il rettore del Santuario consegnerà in totale al romeno circa 150 mila euro, fin quando la situazione, ormai fuori controllo, arriverà fino nelle alte sfere vaticane: le autorità a quel punto decidono di arrestare l’uomo.

    Andrea Sempio: il suo DNA è inutilizzabile

    Quello stesso avvocato sarà il difensore di Andrea Sempio quando il ragazzo finisce al centro della bufera, indicato dalla difesa di Stasi come il responsabile dell’omicidio. La posizione del Sempio sarà archiviata dopo circa 4 mesi di indagini poiché il Dna viene ritenuto inutilizzabile in quanto degradato.

    Una telefonata misteriosa

    Esiste però una circostanza che merita di essere raccontata. Alle ore 13.50 del 5 febbraio 2017. Sempio, che è sotto indagine e che qualche sera prima è stato ospite della trasmissione Mediaset Quarto Grado, è al lavoro in un negozio, quando riceve una telefonata di circa 50 secondi. Dalla trascrizione della breve conversazione sembra quasi sorpreso, come non si aspettasse di sentir parlare quell’interlocutore. A chiamare è un uomo che gli inquirenti ritengono piuttosto in là con l’età. Mai stato identificato. l’uomo si rivolge a Sempio dandogli del “tu”, chiedendo se vada tutto bene. Sempio, che invece risponde con “lei”, dice di si, aggiungendo che “qualcosa si sta muovendo” e che di giornalisti, per il momento, non se ne sono visti. “Bene” commenta l’uomo, salutando e chiudendo la telefonata. Il telefono da cui viene effettuata la chiamata è intestato a una donna di origine extra europea che diventerà successivamente praticante avvocato nello studio dell’avvocato di Sempio.

    Misteriose sparizioni

    Alberto Stasi è da subito considerato colpevole, ignorando qualsiasi altra pista. Gli alibi di molte persone presenti quella mattina a Garlasco non sono mai stati verificati e svariati elementi sulla scena del delitto sono rimasti ignorati. Come la misteriosa sparizione di due teli da mare da un mobile della saletta tv, quella dove il fratello di Chiara e i suoi amici si chiudevano spesso a giocare alla Play Station. Lo sostiene Rita Preda, mamma di Chiara, che si accorge di questa strana assenza. Dalle foto che ritraggono il mobile in cui i teli erano riposti, si vedono due cassetti semi aperti. Nessuno – cosa singolare – ha mai pensato di cercare eventuali impronte digitali o tracce biologiche. Possibile?!?

    Il cassetto della cucina: cosa conteneva?

    In cucina c’è un cassetto della credenza, chiuso, con una traccia di sangue di Chiara. Non essendo quella la stanza in cui si è consumata l’aggressione, appare charo che l’assassino sia entrato lì in un secondo momento, dirigendosi proprio verso quel cassetto. Che cosa conteneva? Probabilmente sacchietti di plastica, utilizzati per nascondere – magari – l’arma del delitto mai rinvenuta. Magari i teli da mare sono serviti per ripulirsi, visto che sul lavandino del bagno non sono state mai trovate tracce di sangue.

    Il comportamento dell’assassino, che ha aperto i cassetti giusti, rivela che doveva conoscere molto bene casa Poggi. Naturale pensare a Stasi che, da quattro anni frequentava casa Poggi. Anche se il loro rapporto, raccontato dai media come perfetto, non era tale. Alberto, più giovane di Chiara, doveva ancora laurearsi. Per lui lo studio veniva prima di tutto, anche del suo rapporto con la fidanzata, con cui si vedeva solo nei fine settimana. Poche confidenze, mai un pranzo o una cena di famiglia, mai un incontro tra genitori. E, cosa più importante, mai una volta in cui Chiara – che non frequentava casa Stasi – sia rimasta a casa da sola. Almeno fino a quell’estate del 2007 quando Chiara, per la prima volta, non si unisce ai genitori per la vacanza. Quella stessa volta nella quale Stasi attraversa la soglia di casa Poggi, restandovi più di qualche minuto. C’erano persone che quella casa la conoscevano certamente molto meglio di Alberto, frequentandola spesso e da diversi anni. Anche questo, però, è un aspetto mai approfondito. E che forze avrebbe potuto dare alla soluzione del caso un indirizzo differente. Ma probabilmente non lo sapremo mai…

      Storie vere

      Da Bari alla Corea del Sud: un’avventura asiatica!

      Storia di Gunhild: ovvero come i sogni possano diventare realtà anche quando sembrano impossibili. Partita da Bari sceglie la Corea dove trova l’amore, un figlio in arrivo e forse il suo futuro.

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        Chi l’avrebbe mai detto che una ragazza pugliese potesse finire per sposare un coreano e vivere a Siheung?“. Esclama serafica e molto divertita Gunhild, con un sorriso che le illumina il viso. La sintesi di questa storia è che una giovanissima ragazza pugliese di 22enne a un certo punto della sua giovane vita decide di trasferirsi in Corea del Sud, si innamora, si sposa, fa un figlio e resta lì. Fino a quando? Non si sa. Di certo per ora c’è che Gunhild non mette limiti alla provvidenza. Una volta tanto si tratta di una storia diversa da quelle che si raccontano sui siti specializzati in notizie curiose. Quella della 22enne pugliese è una storia molto simile a quelle serie tv che ti incollano allo schermo. Amore a prima vista, cultura a mille miglia di distanza e un bebè in arrivo! Eh che diamine, viva la gioventù e la voglia di cambiare il corso della propria vita.

        Tutto è iniziato con un’ossessione per la Corea del Sud

        Ero ossessionata dalle K-pop star e dai drama le fiction televisive coreane“, confessa Gunhild. Si è messa a studiare il coreano e un bel giorno, ha deciso di mollare tutto e partire all’avventura. In Corea, però, l’amore era in agguato e l’ha aspettata dietro l’angolo, sotto forma di un ragazzo conosciuto online proprio mentre imparava il coreano. Tra una chiacchierata e l’altra a migliaia di chilometri di distanza fisica era nato un certo interesse l’una per l’altro. E viceversa. Il resto è stato facile. Una volta arrivata in Corea i due ragazzi (lui ha nove anni più di lei) si sono piaciuti. “Ci siamo incontrati, ci siamo piaciuti e… boom! Amore a prima vista!“, aggiunge Gunhild.

        La vita in Corea, però, non è tutta rose e fiori. “All’inizio è stato un po’ come atterrare su Marte“, scherza Gunhild. “Il cibo piccante, l’etichetta da rispettare, la frenesia della città… ma mi sono adattata in fretta!

        Le differenze culturali: un continuo divertimento

        I coreani sono molto educati e rispettosi, ma anche un po’ freddini all’inizio. Però, una volta che entri nelle loro grazie, sono degli amici fedelissimi“, racconta Gunhild. E poi c’è la questione del cibo: “Ho dovuto imparare ad amare il kimchi! All’inizio mi sembrava di mangiare peperoncini crudi, ma ora non potrei più farne a meno.

        Una famiglia allargata… e un po’ asiatica!

        La famiglia di Gunhild all’inizio era un po’ preoccupata per questa avventura così lontana da casa. “Mia madre mi ha sempre sostenuta, ma non nascondo che all’inizio era un po’ preoccupata. Mio padre, invece, è ancora un po’ scettico, ma è fiero di me lo stesso.” E la famiglia del marito? All’inizio erano un po’ diffidenti, racconta la ragazza, “Ora mi adorano! Mi chiamano ‘nuora italiana’ e mi viziano con tutti i loro piatti tipici.

        Un futuro in Corea?

        Gunhild ha già dei progetti per il futuro. Per prima cosa vuole impegnarsi a imparare perfettamente il coreano e trovare un lavoro che le piaccia. “La Corea offre molte opportunità, ma voglio anche mantenere i miei legami con l’Italia. Chissà, magari un giorno aprirò un ristorante italiano qui a Siheung!

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          Curiosità

          La hostess che sopravvisse a un volo di oltre 10.000 metri senza paracadute

          La storia di Vesna Vulović è davvero straordinaria. Nel 1972, questa assistente di volo serba sopravvisse a una caduta di 10.160 metri senza paracadute dopo che l’aereo su cui lavorava esplose a causa di un attentato terroristico1. Nonostante le gravi ferite e un lungo periodo di riabilitazione, Vesna Vulović divenne un simbolo di speranza e resilienza, detenendo il Guinness World Record per la caduta più alta sopravvissuta senza paracadute2. La sua storia è un incredibile esempio di sopravvivenza e coraggio.

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            Nel 1972, l’hostess Vesna Vulović sopravvisse incredibilmente a una caduta di 10.160 metri senza paracadute dopo che un attentato terroristico fece esplodere l’aereo su cui stava lavorando. Ripercorriamo questa storia straordinaria, esplorando le cause dell’incidente e come Vesna riuscì a sopravvivere a una tale tragedia.

            L’aereo della JAT Yugoslav Airlines, un DC-9, esplose in volo il 26 gennaio 1972 a causa di una bomba nascosta nella stiva, presumibilmente piazzata da un gruppo terroristico croato. L’esplosione avvenne mentre l’aereo sorvolava la Cecoslovacchia (l’attuale Repubblica Ceca), disintegrando l’aereo e lanciando i suoi resti a terra.

            Vesna Vulović, che si trovava nella parte posteriore dell’aereo, fu l’unica sopravvissuta tra le 28 persone a bordo. La fusoliera si schiantò su un’area montuosa innevata, e alcuni alberi e il manto nevoso attutirono l’impatto, contribuendo alla sua sopravvivenza. Inoltre, si ritiene che la pressione della cabina depressurizzata e il fatto che Vesna fosse all’interno di una piccola sezione della fusoliera che rimase relativamente intatta, abbiano giocato un ruolo cruciale.

            Vesna subì gravi ferite, tra cui fratture al cranio, alle gambe e alla colonna vertebrale, che la lasciarono temporaneamente paralizzata dalla vita in giù. Tuttavia, dopo mesi di convalescenza e un’intensa riabilitazione, riuscì a camminare di nuovo.

            La sopravvivenza di Vesna Vulović a un incidente così devastante è considerata un caso unico nella storia dell’aviazione, tanto da essere riconosciuta dal Guinness dei Primati per la sopravvivenza alla caduta libera senza paracadute da maggiore altitudine.

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              Cronaca Nera

              Omicidio Giulia Cecchettin: Filippo Turetta non sarà presente alla prima udienza del processo

              Filippo Turetta, accusato di aver ucciso l’ex fidanzata Giulia Cecchettin, non comparirà in aula durante la prima udienza. La difesa non richiederà la perizia psichiatrica, mentre il processo, presieduto dal giudice Stefano Manduzio, si preannuncia breve e intenso

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                Filippo Turetta, attualmente in carcere con l’accusa di aver brutalmente ucciso l’ex fidanzata Giulia Cecchettin, non sarà presente in aula per la prima udienza del processo, fissata per lunedì 23 settembre davanti alla Corte d’Assise di Venezia. La notizia è stata confermata dal suo legale, l’avvocato Giovanni Caruso, che ha ribadito l’intenzione della difesa di non richiedere una perizia psichiatrica per Turetta, nonostante le gravi accuse che pendono su di lui.

                Turetta, 22 anni, sembra voler mantenere un profilo discreto, lontano dai riflettori mediatici, seguendo quello che il suo avvocato ha descritto come un “percorso di maturazione personale” rispetto al terribile crimine di cui è accusato. Il processo, che si terrà nella piccola aula della Corte d’Assise presieduta dal giudice Stefano Manduzio, sarà seguito da venti giornalisti accreditati e dalle sole telecamere della Rai, che trasmetteranno le immagini alle altre emittenti.

                La lista dei testimoni del pubblico ministero di Venezia, Andrea Petroni, include una trentina di persone, tra cui i familiari di Giulia Cecchettin, come il padre Gino e la sorella Elena. La difesa di Turetta, invece, ha indicato solo il medico legale come testimone. Questo approccio ristretto richiama in qualche modo il rito abbreviato, al quale Turetta non può accedere a causa della gravità delle accuse: omicidio volontario aggravato dalla premeditazione, dalla crudeltà e dall’occultamento di cadavere.

                Giulia Cecchettin è stata uccisa la notte dell’11 novembre scorso, e le circostanze del delitto, comprese le 75 ferite riscontrate sul corpo della vittima, hanno scosso profondamente l’opinione pubblica. Ora, con l’apertura del processo, si spera che venga fatta giustizia per Giulia, mentre Filippo Turetta si prepara ad affrontare il verdetto che potrebbe portarlo a una condanna all’ergastolo.

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