Calcio
Roberto Baggio una carriera con il Buddha nel cuore
Roberto Baggio è uno dei pochissimi calciatori che nel corso della sua carriera ha unito tutti i tifosi, di qualunque squadra. Talento, classe, lealtà, correttezza e sincerità lo hanno accompagnato nel corso di tutta la sua vita dentro e fuori dai campi di calcio. Valori che a volte lo hanno aiutato, altre volte lo hanno penalizzato. Ma la vita va presa così.

Roberto Baggio è uno dei pochissimi calciatori che nel corso della sua carriera ha unito tutti i tifosi, di qualunque squadra. Talento, classe, lealtà, correttezza e sincerità lo hanno accompagnato nel corso di tutta la sua vita dentro e fuori dai campi di calcio. Valori che a volte lo hanno aiutato, altre volte lo hanno penalizzato. Ma la vita va presa così. Come l’ha presa lui ormai 33 anni fa, quando ha incontrato il Buddismo. Oggi vive una vita lontano dai riflettori, nella sua Caldogno circondato da persone e cose semplici che riempiono con cuore e anima le sue giornate.
Una vita in compagnia di Buddha
Come si manifesta il buddismo nella vita del ‘divin codino’ il suo soprannome in campo per il lungo codino che lo ha accompagnato nel corso della sua carriera?
“Si manifesta in mille diversi modi e ovunque: nei miei rapporti con gli altri, nei miei pensieri, il buddismo c’è sempre. E mi aiuta moltissimo. La vita è una sfida e il buddismo mi ha fatto capire quali sono le cose importanti, quelle vere. Chiunque inizi qualunque percorso deve inevitabilmente prepararsi alle sfide. Alzarsi la mattina è una sfida, praticare la preghiera è una sfida, incoraggiare le persone, fare qualunque attività. All’inizio è tutta una sfida. Le sfide ci insegnano che quella è l’unica maniera in cui possiamo trovare terreno fertile per crescere. L’unico modo per diventare più grandi, per imparare a ricercare dentro di noi quelle capacità che sono lì dormienti“.
In che cosa è di aiuto essere buddista?
Il Buddismo è veramente qualcosa di straordinario. Sono più di 33 anni che pratico e non ho mai smesso un giorno. Il Buddismo mi ha regalato la possibilità di ampliare la mia vita, di espandere gli orizzonti, di vedere che ci sono potenzialità infinite. Ogni mattina leggendo una guida di Sensei trovo sempre una verità. Ho sempre trovato un incoraggiamento per seguire la mia fede. La fede è un grande supporto soprattutto nei momenti difficili. Io credo che tutto dipenda da noi, quello che si manifesta nel nostro ambiente dipende da ciò che emaniamo.
Il calcio le interessa ancora?
Lo seguo sempre con piacere e attenzione. Il Ct Spalletti sa come lavorare con i ragazzi. Basta che gli venga dato modo e tempo per farlo. In famiglia abbiamo una calciatrice che è mia nipote. Non vado a vedere le sue partite, anche se il calcio femminile è quello che seguo di più in questo momento. Mi piacerebbe andare ma non lo faccio perché sono certo che le creerebbe troppi problemi. Non porta il mio cognome, ma tutti scoprirebbero subito che sono suo zio. E quindi… sai i confronti!?
Ai giovani, oggi sempre più frastornati, cosa si sente di consigliare?
Mi sentirei di dire che senza passione non si va da nessuna parte. Il talento è un dono, però per realizzare un sogno servono anche abnegazione, voglia, lavoro, sacrifici e tanto altro. Se mi fermo a pensare quanta vita è già trascorsa a volte mi sorprendo. Gli anni sono volati e mi sembra di averne vissuti la metà. Bisogna godersi ogni istante della vita, perché il valore del tempo è inestimabile. E soprattutto bisogna usare sempre il cuore e donarlo agli altri senza voler niente in cambio, ma solo per il gusto di donare, di condividere.
Quel rigore sbagliato a Pasadena cosa le ha insegnato?
In quel momento pensavo di fare la cosa giusta. Il mio sogno da bambino era proprio quello di vincere il mondiale con il Brasile… di fare gol all’ultimo minuto e di far contenti tutti gli italiani in mille modi diversi. Ma erano sogni. E come è finita? Nel modo in cui non avrei mai pensato! Questa è la vita. Cosa mi ha insegnato? Diverse cose. La prima volta che ho incontrato il mio maestro Ikeda, nel 1994 si accosto al mio orecchio e mi disse “vincerai o perderai all’ultimo secondo… “. Mi ha fatto comprendere che è necessario andare fino in fondo, al di là del risultato. Perché è il percorso la cosa più importante. Il fatto di continuare a sfidarsi ad affrontare le difficoltà. Ai giovani suggerisco di continuare a farlo. Perché se non affrontiamo le difficoltà non sapremo mai qual è la nostra potenzialità, il nostro vero valore. Quella è la nostra fortuna, continuare a sfidarsi perché so che domani avrò imparato qualcosa di più.
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Calcio
Di Livio e il segreto su Byron Moreno: “Lo insultai di brutto. E lo rifarei”
Ventitré anni dopo Italia-Corea del Sud, l’ex “Soldatino” confessa le parole dette all’arbitro dello scandalo: un mix esplosivo di rabbia, insulti e consapevolezza. Perché in campo, quel giorno, nessuno aveva dubbi.

Certe ingiustizie non invecchiano. Restano lì, in agguato dietro ogni replay, ogni “se”, ogni birra davanti a una partita dei Mondiali. E per Angelo Di Livio, 58 anni, ex motorino instancabile della nazionale azzurra, il 18 giugno 2002 non è mai davvero finito. Quel giorno, a Daejeon, in Corea del Sud, l’Italia venne eliminata ai supplementari da un arbitraggio che aveva più buchi di un colapasta, firmato Byron Moreno. Ora, passati più di vent’anni, Di Livio si toglie un sassolino grande come un macigno: “Lo insultai di brutto. Figlio di putt*, cogli***, mer**. E lo rifarei”.**
L’occasione per la confessione è un’intervista alla Gazzetta dello Sport, dove l’ex juventino torna su uno dei momenti più amari della storia recente del calcio italiano. “Tanto sapevo che non poteva cacciarmi, aveva appena espulso Totti. Vennero anche Gattuso, Vieri, Maldini. Eravamo fuori di noi, e a ragione”.
Quel giorno è entrato nell’album nero della nostra memoria collettiva. Un fuorigioco inesistente fischiato a Tommasi che stava per segnare il golden gol. Un’espulsione grottesca a Francesco Totti per una simulazione immaginaria. Falli ignorati, cartellini usati come coltelli. Una gestione dell’incontro che sembrava scritta da una penna cinica e truccata. E alla fine il colpo di grazia: il gol decisivo di Ahn Jung-hwan, attaccante coreano in forza al Perugia, poi subito licenziato dal patron Gaucci per “lesa maestà”.
“Doveva andare avanti la Corea, era tutto programmato”, dice Di Livio. E in effetti, dopo di noi, toccò alla Spagna. Sempre loro, sempre lo stesso copione: gol annullati, arbitri bendati, sudore e sangue buttati.
Ma il calcio, ogni tanto, sa essere giusto con ritardo. Il tempo ha restituito a Moreno la fama che meritava, ma non quella che cercava: espulso dalla federazione del suo Paese, accusato di combine, evasore fiscale. E, soprattutto, arrestato a New York con chili di cocaina addosso. Un narcotrafficante con il fischietto in tasca. Una carriera da arbitro finita come una sceneggiatura tarantiniana. “Quando l’hanno arrestato? Nessuna sorpresa. L’avevo capito subito che non era un professionista”.
O forse lo era. Solo in un altro senso. Di Livio cita Regalo di Natale, capolavoro di Pupi Avati, per spiegare quella sensazione: “Era un professionista, vero?”, chiede Abatantuono dopo esser stato fregato al tavolo da poker. Sì, risponde Cavina con lo sguardo. Era uno bravo. Solo che lavorava per gli altri.
Ecco: Byron Moreno era così. Un arbitro bravo a fare quello che doveva fare. Peccato che quello che doveva fare fosse sbagliato. Maledettamente, scandalosamente sbagliato.
Calcio
Francesco Totti, la Procura chiede l’archiviazione per l’Iva non dichiarata
La Procura di Roma ha chiesto l’archiviazione del procedimento che vedeva Francesco Totti indagato per non aver dichiarato l’Iva su alcune attività pubblicitarie. Il “debito”, inizialmente di poche migliaia di euro, era lievitato fino a 900 mila euro con sanzioni e interessi. Ora l’ex calciatore ha saldato tutto.

Francesco Totti non dovrà affrontare un processo per omessa dichiarazione dell’Iva. La Procura di Roma ha chiesto l’archiviazione dell’indagine che coinvolgeva l’ex numero 10 della Roma, dopo che lo stesso ha provveduto a saldare il suo debito con il Fisco. Il procedimento, coordinato dai pm Stefano Pesci e Vincenzo Barba, si basava su una verifica effettuata dalla Guardia di Finanza, che aveva analizzato i movimenti economici legati ad alcune apparizioni pubblicitarie dell’ex calciatore.
Secondo quanto emerso, Totti avrebbe svolto attività promozionali non occasionali, ma senza aprire una partita Iva dedicata. Un’irregolarità che, pur partendo da un importo iniziale piuttosto contenuto, è andata crescendo nel tempo: tra sanzioni e interessi, il debito con l’Erario è arrivato a sfiorare i 900 mila euro. Una cifra importante, maturata nel corso di circa cinque anni.
Nonostante l’importo lievitato, la decisione della Procura di avanzare la richiesta di archiviazione è legata alla condotta dell’ex capitano giallorosso, che ha scelto di regolarizzare la propria posizione fiscale. Il pagamento del debito ha avuto un peso determinante, dimostrando la volontà di Totti di chiudere la vicenda con il Fisco.
L’accusa era quella di omessa dichiarazione dell’Iva, un reato tributario che scatta quando un soggetto con obbligo fiscale non presenta le dichiarazioni annuali. In questo caso, però, i magistrati hanno ritenuto che l’interesse punitivo dello Stato fosse venuto meno, viste le somme integralmente versate.
Nessuna battaglia legale, dunque, per Totti. Una vicenda che si chiude con un conto saldato, ma anche con l’ennesimo riflettore acceso sulla gestione fiscale dei personaggi pubblici. Un tema sempre delicato, soprattutto quando coinvolge volti tanto noti e amati dal grande pubblico. Anche perché, nel bene o nel male, il Pupone fa sempre notizia.
Calcio
Noel, il raccattapalle eroe: “Ho battuto Donnarumma e l’Italia”. La Germania celebra il 15enne che ha beffato gli Azzurri
Il raccattapalle della sfida tra Germania e Italia diventa protagonista con un assist a Kimmich. Nagelsmann lo ringrazia in conferenza, Kimmich gli regala la maglia. La Bild ironizza: “Anche un raccattapalle segna contro l’Italia”

A Dortmund si è scritto un capitolo surreale e beffardo della sfida tra Germania e Italia. A rubare la scena non è stato né un bomber da copertina né un fuoriclasse d’altri tempi, ma un ragazzo di 15 anni, alla sua prima volta come raccattapalle. Il suo nome è Noel Urbaniak e in poche ore è diventato l’idolo di un’intera nazione, ma l’incubo sportivo degli Azzurri.
Minuto 36 del primo tempo, Nations League: l’Italia pasticcia, Donnarumma discute con l’arbitro Marciniak e i compagni, ignaro di ciò che sta accadendo alle sue spalle. E dietro la porta, c’è proprio Noel, che si coordina con un guizzo degno di un veterano e spara il pallone verso Joshua Kimmich, pronto a battere velocemente l’angolo. Da lì all’assist per Jamal Musiala il passo è breve: gol della Germania a porta praticamente sguarnita e Italia colta di sorpresa.
“Anche un raccattapalle fa gol alla nazionale italiana”, ha titolato senza pietà la Bild, riassumendo l’umore tedesco e la valanga mediatica che si è abbattuta sul ragazzo. Noel, tesserato nelle giovanili dell’Hombrucher e tifoso sfegatato del Borussia Dortmund, da spettatore privilegiato si è ritrovato protagonista inatteso di uno degli episodi più discussi del match, terminato poi sul 3-3.
A fine partita l’incredulità di Noel si è trasformata in festa: Kimmich lo ha raggiunto a bordo campo, gli ha regalato la maglia e il pallone della partita e si è prestato per una foto ricordo. “Non dimenticherò mai questa serata”, ha dichiarato il giovane ai media tedeschi. Poco prima, sul cellulare, i messaggi commossi dei genitori: “Sei in tv, sei un eroe!”.
Il ct Julian Nagelsmann non ha perso l’occasione per celebrare il piccolo “alleato”: “Il nostro secondo gol è stato di livello mondiale da parte di tutti e tre: Kimmich, Musiala e il raccattapalle. Era lì, pronto sulla palla, bravissimo”. Da quel momento, selfie e applausi hanno travolto il ragazzo che, nel frattempo, ha già conquistato un posto speciale nella memoria collettiva dei tifosi tedeschi.
E mentre l’Italia si lecca le ferite e cerca spiegazioni per l’ennesima distrazione difensiva, in Germania il nome di Noel Urbaniak è diventato sinonimo di furbizia e sangue freddo. Lui, con la spensieratezza dei suoi 15 anni, si gode la gloria: “È stato tutto così irreale, pazzesco”. E chissà se da grande non diventerà lui stesso uno di quei calciatori a cui i raccattapalle serviranno palloni decisivi.
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