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Storie vere

Da anonimo impiegato a scalatore estremo: un padovano ha dimostrato che… si può fare!

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    Stefano Ragazzo, 33 anni originario di Padova oggi residente a Chamonix, in nove giorni – esattamente dal 16 al 25 luglio scors – ha compiuto un ‘impresa incredibile. Scalare una montagna in solitaria (mai nessuno prima di lui)… e che montagna! L’Eternal Flame presenta un unico appiglio, una fessura nel muro di granito levigato da vento, sole, acqua e neve nel corso dei millenni.

    Il sogno proibito di ogni scalatore

    Si chiama così perchè l’impervia montagna ricorda davvero una fiamma scolpita nella roccia che s’innalzaverso il cielo. Arrampicarsi lungo questa via sulla parete sud della Nameless Tower in Pakistan che porta fino a 6251 metri rappresenta un po’ il sogno proibito di tutti gli alpinisti, anche se si contano sul palmo di una mano quelli che ci sono riusciti.

    A mente fredda la consapevolezza di aver compiuto un’impresa

    «Quando sono partito in giugno – racconta Ragazzo – non pensavo a quello che sarebbe accaduto il giorno dopo aver portato a termine la mia missione. Solo adesso, dopo aver ricevuto messaggi di congratulazioni da tutto il mondo, capisco di aver fatto qualcosa di eccezionale».

    Cambiare radicalmente vita: in pochi ci riescono

    Quante volte vi sarà capitato di pensare “mollo tutto e faccio qualcosa di completamente diverso”. Dare l’addio ad un lavoro routinante d’ufficio per poter finalmente vivere delle proprie passioni: che sia pescare il pesce su una sperduta isoletta dei Caraibi, vivere di musica salendo ogni sera su un palco diverso, capitanare la brigata di un ristorante o… scalare una delle montagne più impegnative della terra!

    Non era fatto per ritmi cittadini classici

    Stefano è riuscito nel sogno di mutare radicalmente le prospettive del suo futuro ma, soprattutto è stato ripagato da tanti sacrifici e da scelte coraggiose che si sono rivelate col sesso di poi vincenti. «Dopo essermi diplomato – racconta – ho trovato il lavoro e la mia vita era scandita da ritmi molto normali: ufficio, partite di calcio e aperitivi con gli amici. Presto mi ha preso l’angoscia, pian piano ho iniziato a fare altro, viaggiare e anche ad arrampicarmi sui Colli Euganei sulla parete di Rocca Pendice».

    La decisione di diventare guida alpina

    La passione cresceva, lui trascorreva i weekend sulle Dolomiti bellunesi, scalando la parete sud della Marmolada, la nord ovest del Civetta, le pale di San Lucano e l’Agner nell’Agordino. Fino all’eta di 25 anni, quando ha deciso – con coraggio e per alcuni con una buona dose di follia – di dare le dimissioni dall’ufficio per diventare guida alpina.

    Walter Bonatti come modello

    Una delle difficoltà che Stefano ha dovuto affrontare è stata quella di spiegare ai genitori il motivo della rinuncia al classico “posto fisso” in favore della montagna, soprattutto in una famiglia che le vacanze le aveva sempre passate al mare. Ma lui sentiva profondamente che quella era la sua strada ed ha avuto il coraggio di percorrerla per intero. Seguendo anche l’esempio di Walter Bonatti, alpinista, giornalista e scrittore che continua a essere un modello per coloro che alla routine di una vita tranquilla preferiscono i rischi e le complicazioni di una eistenza fatta di avventura costante.

    L’importanza di una preparazione adeguata

    Avventura non deve però significare incoscienza. Per Stefano è stata fondamentale una preparazione atletica e tecnica durissima. oltre a una forza mentale non comune: «Mi alleno sempre come un atleta che si prepara per le Olimpiadi. Nei sei mesi prima di partire per il Pakistan due volte al giorno, cinque ogni settimana». Utilizzando il supporto dello sci alpinistico e della corsa, oltre ai pesi in palestra. Quello che occorre per preparare fisico e testa a salire a mani nude a seimila metri di quota, contando solo su sessanta metri di corda, appoggi che si dispongono mentre si scala, ai quali appendere una tenda dove mangiare e dormire qualche ora nella notte. Trenta chili di materiale da aggiungere ai propri settanta di peso…

    Pronto ad una nuova sfida

    «Sicuramente in autunno in California nel parco dello Yosemite dove c’è la parete El Capitan, e dove ogni volta che torno amplio il mio bagaglio tecnico. Mi piacerebbe poi puntare sull’Himalaya in Karakorum perché ci sono montagne bellissime e gigantesche».

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      Da Bari alla Corea del Sud: un’avventura asiatica!

      Storia di Gunhild: ovvero come i sogni possano diventare realtà anche quando sembrano impossibili. Partita da Bari sceglie la Corea dove trova l’amore, un figlio in arrivo e forse il suo futuro.

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        Chi l’avrebbe mai detto che una ragazza pugliese potesse finire per sposare un coreano e vivere a Siheung?“. Esclama serafica e molto divertita Gunhild, con un sorriso che le illumina il viso. La sintesi di questa storia è che una giovanissima ragazza pugliese di 22enne a un certo punto della sua giovane vita decide di trasferirsi in Corea del Sud, si innamora, si sposa, fa un figlio e resta lì. Fino a quando? Non si sa. Di certo per ora c’è che Gunhild non mette limiti alla provvidenza. Una volta tanto si tratta di una storia diversa da quelle che si raccontano sui siti specializzati in notizie curiose. Quella della 22enne pugliese è una storia molto simile a quelle serie tv che ti incollano allo schermo. Amore a prima vista, cultura a mille miglia di distanza e un bebè in arrivo! Eh che diamine, viva la gioventù e la voglia di cambiare il corso della propria vita.

        Tutto è iniziato con un’ossessione per la Corea del Sud

        Ero ossessionata dalle K-pop star e dai drama le fiction televisive coreane“, confessa Gunhild. Si è messa a studiare il coreano e un bel giorno, ha deciso di mollare tutto e partire all’avventura. In Corea, però, l’amore era in agguato e l’ha aspettata dietro l’angolo, sotto forma di un ragazzo conosciuto online proprio mentre imparava il coreano. Tra una chiacchierata e l’altra a migliaia di chilometri di distanza fisica era nato un certo interesse l’una per l’altro. E viceversa. Il resto è stato facile. Una volta arrivata in Corea i due ragazzi (lui ha nove anni più di lei) si sono piaciuti. “Ci siamo incontrati, ci siamo piaciuti e… boom! Amore a prima vista!“, aggiunge Gunhild.

        La vita in Corea, però, non è tutta rose e fiori. “All’inizio è stato un po’ come atterrare su Marte“, scherza Gunhild. “Il cibo piccante, l’etichetta da rispettare, la frenesia della città… ma mi sono adattata in fretta!

        Le differenze culturali: un continuo divertimento

        I coreani sono molto educati e rispettosi, ma anche un po’ freddini all’inizio. Però, una volta che entri nelle loro grazie, sono degli amici fedelissimi“, racconta Gunhild. E poi c’è la questione del cibo: “Ho dovuto imparare ad amare il kimchi! All’inizio mi sembrava di mangiare peperoncini crudi, ma ora non potrei più farne a meno.

        Una famiglia allargata… e un po’ asiatica!

        La famiglia di Gunhild all’inizio era un po’ preoccupata per questa avventura così lontana da casa. “Mia madre mi ha sempre sostenuta, ma non nascondo che all’inizio era un po’ preoccupata. Mio padre, invece, è ancora un po’ scettico, ma è fiero di me lo stesso.” E la famiglia del marito? All’inizio erano un po’ diffidenti, racconta la ragazza, “Ora mi adorano! Mi chiamano ‘nuora italiana’ e mi viziano con tutti i loro piatti tipici.

        Un futuro in Corea?

        Gunhild ha già dei progetti per il futuro. Per prima cosa vuole impegnarsi a imparare perfettamente il coreano e trovare un lavoro che le piaccia. “La Corea offre molte opportunità, ma voglio anche mantenere i miei legami con l’Italia. Chissà, magari un giorno aprirò un ristorante italiano qui a Siheung!

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          Storie vere

          Razzismo immobiliare: il calvario di Babacar Cisse che non trova una stanza in affitto

          Babacar Cisse è un 28enne nato nel frusinate da genitori senegalesi che da alcune settimane sta cercando una stanza da affittare a Roma. “Al telefono sentono l’accento romano ed è tutto ok, ma dopo avermi visto di persona, spariscono”.

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            Ha 28 anni è nato a Frosinone da genitori senegalesi e, nonostante un curriculum solido da ingegnere informatico e il desiderio di costruirsi un futuro, Babacar Cisse sta cercando casa a Roma. Ma per lui non è per nulla semplice perché si sta scontrando con un solido muro di pregiudizi razziali.

            Un’esperienza comune a molti

            Al primo contatto telefonico con gli agenti immobiliari sembra che tutto proceda bene. Venditori o i proprietari stessi sentono il suo accento romano e sono portati a prendere un appuntamento come si fa con tutti i clienti. Ma non appena si menziona il suo nome, la situazione cambia radicalmente, gli appuntamenti vengono rimandati o annullati. E anche se Babacar supera questo primo scoglio, una volta che si presenta le case, magicamente, vengono affittate a qualcun altro nel giro di qualche ora. Eppure ha un curriculum di tutto rispetto. Babacar, infatti, studia Ingegneria informatica all’università di Tor Vergata ed è un consulente informatico. Un curriculum di tutto rispetto.

            Una palpabile frustrazione

            Babacar è italiano e si sente tale a tutti gli effetti. Ama il suo Paese nel quale ha costruito una vita. Eppure, è costretto a dover dimostrare continuamente la sua italianità, a smentire gli stereotipi negativi che lo riguardano. “Mi fa imbestialire il dover sempre dimostrare di essere ‘abbastanza italiano‘”, confida. La sua storia è un chiaro esempio di come il razzismo sia ancora profondamente radicato nella società italiana, anche in ambiti apparentemente neutri come la ricerca di una casa. Babacar è a tutti gli effetti una persona discriminata ed emarginata, nonostante meriti e capacità.

            Che fai Babacar emigri?

            Babacar sta riflettendo molto sul suo futuro e sulle possibilità che si aprono davanti a lui. L’idea di lasciare l’Italia, un Paese che non sembra dargli le stesse opportunità di altri oltre confine, si fa sempre più insistente. “In Inghilterra e in Germania certe rispostacce non le avrei mai ricevute“, dice anche se non ne siamo così sicuri. Nonostante tutto, Babacar continua a credere nell’Italia che spera che un giorno possa diventare un Paese più inclusivo e accogliente.

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              Storie vere

              RistOrobie l’osteria tutta al femminile dove riscoprire i sapori di montagna

              RistOrobie, osteria di montagna premiata da Slow Food con la Chiocciola, propone una visione più briosa e contemporanea della cucina tradizionale montanara.

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                E’ situata ai Piani dell’Avaro in Alta Val Brembana, in provincia di Bergamo, e rappresenta una perla della cucina di montagna gestita completamente da donne. Si chiama Osteria RistOrobie, ed è stata premiata da Slow Food con la Chiocciola. E come mai? Fondamentalmente perché questo ristorante familiare sa offrire una visione contemporanea di alta qualità della cucina tradizionale alpina lombarda. La gestione di questo locale incastonato nell’Alta Val Brembana è affidata a Paola Rovelli e Miriam Gozzi, che vent’anni fa hanno trasformato un rifugio alpino in un ristorante, portando avanti una cucina in sinergia con la natura circostante.

                Tutto in famiglia a selezionare e servire il meglio della produzione locale

                RistOrobie si distingue dai numerosi punti di ristoro disponibili anche nella stessa zona per l’attenta valorizzazione dei prodotti locali. Un esempio? I formaggi DOP della zona (Taleggio, Agrì di Valtorta, Stracchino all’antica e Formai de Mut) e la selvaggina, ottenuta da fonti tracciabili grazie all’adesione al progetto “Selvatici e buoni“. Le figlie di Paola, Sara e Claudia, che si sono arruolate nella gestione, hanno apportato un tocco innovativo alla proposta culinaria, introducendo, per esempio, una carta dei vini con un’ampia selezione di etichette bergamasche e valtellinesi.

                Andare per Erbe per offrire sempre il meglio del territorio

                Il locale abbraccia anche la tradizione del foraging. Il termina significa “Andare per Erbe” ovvero raccogliere cibo selvatico, una passione antica e tradizionale che ha conquistato anche i grandi chef e che sposa il concetto di sostenibilità nel piatto. L cucina di RistOrobie, infatti, utilizza erbe locali come parùc, ortica e tarassaco, protagoniste di piatti innovativi come la maionese all’Achillea. Provare per credere.

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