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Beauty

Scopri il segreto giapponese per una chioma luminosa

Con l’acqua di riso, la bellezza dei tuoi capelli diventa una storia di amore e cura per te stessa e per la natura. Abbraccia questo antico segreto di bellezza e preparati a rivelare la tua chioma più luminosa e sana che mai!

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    I capelli hanno sempre giocato un ruolo cruciale nella definizione della bellezza femminile attraverso i secoli. In questa epoca di consapevolezza e rispetto per l’ambiente, sempre più donne si stanno rivolgendo a rimedi naturali per prendersi cura della propria chioma. Tra tutti, uno dei più acclamati è l’acqua di riso, un segreto di bellezza che affonda le radici nell’antica tradizione giapponese. Scopriamo insieme i suoi straordinari benefici e come utilizzarla per ottenere una chioma da sogno!

    L’arte della bellezza giapponese: Yu-Su-Ru, ilsegreto per capelli sani e luminosi

    In Giappone, l’acqua di riso è stata a lungo considerata un elisir di bellezza per capelli. La pratica conosciuta come Yu-Su-Ru è diffusa non solo in Giappone, ma anche in India, Cina e Corea, dove viene utilizzata per prevenire problemi comuni come la caduta dei capelli e il diradamento, oltre a donare una chioma sana e luminosa. Ma qual è il segreto dietro questo straordinario rituale?

    I potenti benefici dell’acqua di riso per i capelli: nutrimento e forza dalla natura

    L’acqua di riso è ricca di amido, inositolo, aminoacidi e vitamine, che lavorano in sinergia per rafforzare, nutrire e proteggere i capelli. Uno studio pubblicato sull’International Journal of Cosmetic Science ha sottolineato che gli estratti esaminati di Yu-Su-Ru sono stati dimostrati efficaci nella cura dei capelli, fornendo loro forza, elasticità e lucentezza senza compromettere la salute del cuoio capelluto. L’amorevole cura dei capelli diventa così un rituale di bellezza che rispetta e valorizza la natura dei capelli.

    Un rimedio naturale per tutti i problemi: l’acqua di riso per una chioma perfetta

    L’acqua di riso è una soluzione per una varietà di problemi comuni dei capelli. Dalle doppie punte alla forfora, passando per l’idratazione e la lucentezza, questo elisir naturale affronta ogni sfida con delicatezza e efficacia. Applicata regolarmente, aiuta a mantenere i capelli sani, forti e luminosi, permettendoti di esprimere al meglio la tua bellezza autentica.

    La magia dell’acqua di riso: come utilizzarla per ottenere risultati straordinari

    L’acqua di riso può essere utilizzata in diversi modi per massimizzarne i benefici. Puoi applicarla come pre-shampoo per 20 minuti prima della detersione, oppure come post-shampoo sul cuoio capelluto e lunghezze per una profonda idratazione e nutrimento. In entrambi i casi, massaggiala delicatamente sulle radici e distribuiscila uniformemente su tutta la chioma per risultati ottimali.

    Preparare l’acqua di riso è facile come bere un sorso d’acqua: ecco come

    Preparare l’acqua di riso è semplice e veloce. Basta seguire questi passaggi:

    1. 1. Metti ½ tazza di riso crudo in una ciotola.
    2. 2. Aggiungi 2-3 tazze di acqua calda e lascia in ammollo per circa Il riso andrà lasciato in acqua per 24-48 ore.
    3. 3. Trascorse le 48 ore, filtra il liquido ottenuto, versalo in un flacone spray o in qualsiasi contenitore.
    4. 4. Applica l’acqua di riso sui capelli appena lavati, lascia in posa da 15 a 20 minuti e poi risciacqua prima di utilizzare il balsamo.

    Prima di adottare qualsiasi metodo fai-da-te, è sempre consigliabile consultare il proprio medico. In particolare, se si verifica un diradamento dei capelli, è consigliabile sottoporsi a una visita dermatologica per ottenere una valutazione più approfondita del problema. La consulenza medica garantisce un approccio personalizzato e mirato, assicurando la scelta delle migliori soluzioni per la salute e la bellezza dei capelli.

      Salute

      L’influenza australiana arriva in Italia: ecco cosa aspettarsi e come difendersi dal virus più temuto dell’inverno

      L’autunno porta con sé non solo foglie che cadono e il profumo di castagne, ma anche la tanto temuta influenza. E quest’anno ci tocca fare i conti con la variante australiana, quella che ha messo in ginocchio l’emisfero sud. Ecco cosa ci aspetta.

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        Benvenuti alla stagione del raffreddore, della tosse e dei fazzoletti sempre in tasca. Ma quest’anno l’influenza non si accontenta di essere “quella di sempre”, no: ha deciso di diventare “australiana”. Sì, perché a quanto pare il virus H3N2, noto anche come influenza australiana, sta facendo parlare di sé. Questo simpatico virus ha già causato problemi seri in Australia, con un numero record di ricoveri ospedalieri, tanto che alcuni esperti lo definiscono il peggiore degli ultimi dieci anni. E ora sta bussando alla nostra porta.

        Sintomi? Sempre gli stessi, ma con più forza

        Non c’è nulla di nuovo sotto il sole quando si parla di sintomi. Che sia influenza stagionale o australiana, i segnali sono quelli che conosciamo: febbre oltre i 38°C, dolori muscolari, stanchezza, congestione nasale, mal di gola e, nei casi peggiori, disturbi gastrointestinali come nausea e diarrea. Tuttavia, il virus australiano è descritto come “più cattivo” – come se il solito non bastasse – il che significa che questi sintomi potrebbero essere più intensi e durare un po’ di più. Grazie mille, Australia.

        Influenza australiana o Covid: come distinguerli?

        Visto che ormai siamo diventati esperti nell’auto-diagnosi, è bene ricordare che i sintomi di influenza e Covid sono simili, se non identici. Quindi come facciamo a distinguerli? Semplice: con un tampone. Già, il vecchio tampone che pensavamo di aver abbandonato insieme alle videochiamate di gruppo su Zoom. Se vuoi essere sicuro di non avere il Covid, non c’è altra strada. Meglio mettersi in fila in farmacia.

        Le cure: la classica triade del riposo, liquidi e farmaci da banco

        Per quanto riguarda il trattamento, niente di nuovo sotto il sole. I medici consigliano sempre il solito mantra: stare a riposo, bere molti liquidi e ricorrere a farmaci da banco come paracetamolo o ibuprofene per tenere a bada la febbre e i dolori. Gli antibiotici? Lasciamoli dov’è, perché contro un virus non servono a nulla. Per quanto riguarda gli antivirali, è meglio che li prescriva un medico solo nei casi più gravi. Insomma, la solita lotta a colpi di fazzoletti e tisane.

        Vaccini: la miglior difesa è l’attacco

        Se l’idea di passare una settimana a letto non ti attira, c’è sempre la prevenzione. E qui entrano in gioco i vaccini. L’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha autorizzato ben otto vaccini aggiornati, pensati proprio per fronteggiare i ceppi virali di quest’anno, inclusa la tanto temuta influenza australiana. La vaccinazione è particolarmente raccomandata per chi ha più di 60 anni, per i bambini piccoli, per chi soffre di malattie croniche e per le donne in gravidanza.

        La buona notizia? In molte regioni le campagne di vaccinazione sono già partite e in alcuni casi vengono somministrati anche vaccini anti-Covid, così con una puntura ci si difende da entrambi.

        L’influenza australiana è davvero così pericolosa?

        Sì, è aggressiva, ma non è la fine del mondo (a meno che tu non sia in uno di quei gruppi a rischio). Quindi, niente panico. Sta arrivando, certo, ma armati di fazzoletti, una buona coperta e, se puoi, una dose di vaccino, e sarai pronto ad affrontarla. Dopotutto, l’autunno è già abbastanza complicato senza dover aggiungere anche la preoccupazione dell’influenza, no?

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          Benessere

          Altro che dieta, vai in bicicletta: pedala per 1 ora e bruci fino a 1000 calorie!

          L’abitudine di andare in bicicletta quotidianamente si rivela un vero toccasana per il corpo e il benessere, offrendo un modo piacevole e sostenibile per perdere peso e migliorare la salute generale.

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            È un investimento prezioso per la salute, è una scelta ecologica ed economica. Che si tratti di un giro rilassante nel parco, di un tragitto per andare al lavoro o di un’escursione più impegnativa, andare in bicicletta offre una miriade di benefici che possono migliorare la qualità della vita.

            Un’ora al giorno per una vita migliore
            Andare in bicicletta è molto più che un semplice passatempo o un mezzo di trasporto ecologico. Trascorrere almeno un’ora al giorno pedalando può trasformarsi in un’arma segreta per migliorare la salute fisica e mentale, aumentare il benessere generale e persino contribuire alla sostenibilità ambientale.

            Andare in bicicletta è un esercizio aerobico eccellente che rafforza il cuore, riduce il rischio di malattie cardiovascolari e migliora la circolazione sanguigna. Un’ora di ciclismo moderato al giorno può ridurre significativamente il rischio di infarto e ictus.

            Pedalare coinvolge vari gruppi muscolari, in particolare quelli delle gambe, glutei e addominali. Questo esercizio aiuta a tonificare e rafforzare i muscoli, migliorando anche la postura e la stabilità.

            Andare in bicicletta è un’attività che brucia molte calorie. In un’ora di bicicletta, si possono bruciare tra 400 e 1000 calorie, a seconda dell’intensità e del peso corporeo. Questo lo rende un ottimo strumento per la perdita di peso e il mantenimento di un peso sano.

            In media, una persona di circa 70 kg brucia circa 500 calorie all’ora pedalando a un ritmo moderato (circa 19-22 km/h).
            Quindi, per bruciare 1000 calorie, dovremmo pedalare per circa 2 ore.

            Se consideriamo una velocità media di 20 km/h, questo si traduce in circa 40 km per bruciare 1000 calorie.

            Inoltre…
            Diversi studi hanno dimostrato che andare in bicicletta può essere efficace nel trattamento della depressione. La combinazione di attività fisica e tempo trascorso all’aperto contribuisce a migliorare il benessere mentale.

            Utilizzare la bicicletta come mezzo di trasporto quotidiano contribuisce a ridurre le emissioni di CO2 e l’inquinamento atmosferico. Ogni chilometro percorso in bicicletta invece che in auto aiuta a proteggere l’ambiente.

            La bicicletta è un mezzo di trasporto economico. Non richiede carburante, e i costi di manutenzione sono relativamente bassi rispetto a quelli di un’auto. Inoltre, può ridurre le spese per il trasporto pubblico.

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              Salute

              Alla larga dal cibo ultraprocessato! Il junk food fa male e crea dipendenza

              l’infettivologo Van Tulleken nel suo libro osserva che la spesa alimentare negli Stati Uniti è passata dal 43% del budget familiare all’inizio del 1900 al 10% attuale, grazie alla diffusione del cibo ultraprocessato. Questo risparmio apparente è compensato da maggiori costi sanitari e un impatto economico negativo sui contribuenti.

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                Il cibo ultraprocessato non solo fa male alla salute, ma crea anche dipendenza. Lo scrive nero su bianco l’infettivologo Chris van Tulleken nel suo libro denuncia Ultraprocessed People. Gli ingredienti del pollo con verdure Nestlé, ad esempio, comprendono isolato proteico di soia, amidi modificati, maltodestrina di mais, e fosfato di sodio, tra gli altri. Questo prodotto appartiene alla linea Lean Cuisine, considerata “sana” dalla multinazionale, ma secondo un’inchiesta del Financial Times, il 60% degli alimenti prodotti da Nestlé non rientra in una “definizione condivisa di cibo sano“.

                Diffusione scarsa ma anche Italia a rischio

                In Italia, la diffusione di cibi ultraprocessati è inferiore rispetto a paesi come gli Stati Uniti e l’Inghilterra. Tuttavia è necessario fare attenzione agli ingredienti di alimenti apparentemente innocui, come la cioccolata fondente, che può contenere additivi non specificati.

                Prima era junk food oggi è cibo ultraprocessato

                Il termine “junk food” è stato sostituito da “cibo ultraprocessato” (UPF), che rientra nel gruppo 4 della classificazione Nova. Si tratta di un sistema di classificazione degli alimenti basato sul grado di lavorazione industriale messo a punto da un gruppo di studio brasiliano. Nova, che non è un acronimo ma un nome proprio, definisce le lavorazioni come “i processi fisici, chimici e biologici che interessano i vari alimenti una volta che siano separati dalla natura e prima che siano consumati o utilizzati nella preparazione di piatti.” Il gruppo 4 della clasificazione descrive alimenti fatti con ingredienti industriali che difficilmente si possono definire cibo. Secondo van Tulleken, il cibo ultraprocessato è progettato per creare assuefazione, simile a quella causata da sigarette e alcol.

                Come si sviluppa la dipendenza

                Van Tulleken sostiene che le industrie alimentari abbiano due metodi per aumentare i profitti: ridurre i costi degli ingredienti e ingegnerizzare i cibi per indurre il consumatore a mangiarne sempre di più. Partecipando a conferenze scientifiche, l’infettivologo ha osservato che il tema dell’assuefazione da cibo ultraprocessato è centrale e paragonabile alla dipendenza da sostanze.

                Come riconoscere il cibo ultraprocessato

                Un modo rapido per identificare il cibo ultraprocessato è verificare la lista degli ingredienti. Se contiene elementi che non esistono nella nostra cucina, è probabile che sia ultraprocessato. Alcuni additivi, come emulsionanti e dolcificanti ipocalorici, possono ingannare il nostro corpo e aumentare l’appetito.

                Fare attenzione al cibo in scatola

                Certo in Italia non ne consumiamo quantitativamente come si consumano negli Stati Unti, ma i cibi in scatola come dei semplici fagioli possono contenere ingredienti ultraprocessati per migliorare il sapore, come i fagioli con pomodoro. Sono reperibili molte app che aiutano orientarsi sui cibi sicuri e quelli meno. L’app Yuka può aiutare a scoprire il livello di processamento dei cibi. Sono segnalati molti cereali commerciali, ad esempio, come cibi altamente ultraprocessati.

                Impatto economico e sociale

                Sempre l’infettivologo Van Tulleken nel suo libro osserva che la spesa alimentare negli Stati Uniti è passata dal 43% del budget familiare all’inizio del 1900 al 10% attuale, grazie alla diffusione del cibo ultraprocessato. Questo risparmio apparente è compensato da maggiori costi sanitari e un impatto economico negativo sui contribuenti. Van Tulleken auspica che la lettura del suo libro inciti le persone a chiedere cambiamenti nel sistema alimentare.

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