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5 domande a Marco Bellavia…

Su Amazon è acquistabile il suo primo libro Depressione? Qui e ora.

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    Marco Bellavia ha segnato una parte importante della televisione italiana, soprattutto in quella che una volta si chiamava la “tv dei ragazzi”, oggi completamente sparita dai palinsensti, con programmi come Bim Bum Bam e in quella che è stata la serie tv ante litteram, Kiss Me Licia. Ma dietro all’immagine spensierara del “ragazzo tra i ragazzi” c’è un uomo che ha vissuto molte sfide e cambiamenti, messe in risalto dalla sua chiacchieratissima partecipazione al Grande Fratello Vip di due anni fa. Oggi Marco riflette con una ritrovata serenità sul suo percorso, sui suoi progetti futuri e sulle lezioni che la vita gli ha dato.

    La lotta interiore con un ego ingombrante

    Un percorso che si può meglio comprendere leggendo il suo libro Depresso? Qui e ora. Dove il suo excursus di una vita davanti alle telecamere che sembrava perfetta viene raccontato nei dettagli, nascondendo una lotta interna con un ego ingombrante, quasi distruttivo. Solo dopo aver fatto pace con sé stesso, Marco ha trovato la forza di aprirsi, senza più filtri, condividendo in modo autentico i suoi successi e i suoi fallimenti.

    La sua testimonianza trasformata in un “metodo”

    Il libro – ACQUISTABILE QUI – che non solo offre un aiuto a chi vive momenti di difficoltà, ma che rappresenta un viaggio personale attraversa scandali, aneddoti divertenti e vicende assurde di una carriera intensa. Ogni caduta ha lasciato una cicatrice ma anche la spinta per rialzarsi: attraverso queste pagine Marco ripercorre la sua rinascita. Raccontando la sua esperienza di vita ma anche con la stesura di un programma, basato su quei consigli che lo avevano ispirato durante il suo percorso: un metodo che, secondo lui, fa la differenza.

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      Cinema

      Giuseppe Taliercio, il delitto perduto arriva al cinema il bellissimo film di Mario Chiavalin

      Senza nomi altisonanti o grandi promozioni, la pellicola sul rapimento e l’uccisione di Taliercio dimostra che il cinema di qualità, capace di commuovere e indignare, trova sempre il suo pubblico.

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        Può sembrare una banalità ma è una verità sacrosanta. A dimostrarlo è Giuseppe Taliercio – Il delitto perduto, il nuovo film di Mario Chiavalin ch,e senza bisogno di clamore mediatico o grandi nomi in locandina, ha conquistato il pubblico, riempiendo le sale dove è stato presentato.

        Il pubblico commosso applaude

        Accolto da applausi commossi, il film racconta il rapimento e l’uccisione di Giuseppe Taliercio per mano delle Brigate Rosse, con una potenza visiva che commuove e indigna. La ricostruzione storica, affidata ai talentuosi scenografi Matteo Perico e Domenico Colella, immerge gli spettatori negli anni di piombo, offrendo un viaggio indietro nel tempo carico di emozioni. Un’opera che chi ama la storia e il cinema d’autore non può perdere.

        La trama: una storia di dolore e memoria

        Siamo nel 1981, in uno dei periodi più bui della storia italiana, segnato dal terrorismo delle Brigate Rosse. Giuseppe Taliercio, direttore del petrolchimico Montedison di Porto Marghera, viene rapito dalla “colonna veneta” delle Brigate Rosse. Dopo 46 giorni di prigionia in condizioni disumane, il suo corpo viene ritrovato in un’auto abbandonata vicino alla fabbrica. Il film ripercorre questa tragica vicenda, mettendo in luce le dinamiche politiche e sociali del tempo. Al contempo, invita a riflettere sull’importanza della memoria storica. Senza dimenticare la necessità di non dimenticare mai, perché ricordare significa imparare dal passato per costruire un futuro migliore.

        Un successo che parla di qualità

        La prima del film, diretto da Mario Chiavalin, ha registrato un grande successo in due serate memorabili. La prima il 13 novembre 2024 al Cinema Candiani di Mestre e successivamente il 19 novembre 2024. Con oltre 400 posti esauriti e una lista d’attesa, l’evento ha dimostrato come il pubblico sia profondamente coinvolto da un’opera che affronta temi tanto delicati quanto attuali.

        La figura di Giuseppe Taliercio

        Giuseppe Taliercio fu vittima del terrorismo brigatista in uno dei momenti più drammatici degli anni di piombo. Il suo rapimento, avvenuto il 20 maggio 1981, e la sua tragica morte il 5 luglio dello stesso anno, rappresentano il simbolo di una dignità e di un sacrificio che per troppo tempo sono stati confinati in una memoria di nicchia.

        Una riflessione sulla società del tempo

        Con Giuseppe Taliercio – Il delitto perduto, il regista Mario Chiavalin riporta alla luce questa storia. Intrecciando fatti storici e umanità per offrire una riflessione profonda sulla società del tempo. La coesione sociale creata dai lavoratori, che portarono a una frattura interna nelle Brigate Rosse, è un tema centrale del film, culminando nella fine del terrorismo con il rapimento Dozier.

        Film di grande impatto emotivo

        La pellicola si distingue per la capacità di alternare momenti di tensione a intensi spunti di riflessione, senza mai cadere nel sensazionalismo. La regia di Chiavalin, unita a una sceneggiatura impeccabile e a una fotografia suggestiva, immerge lo spettatore nel clima di quegli anni difficili. Particolarmente apprezzata la scelta di raccontare il rapimento e la prigionia di Taliercio con immagini potenti e dialoghi essenziali, che conferiscono al film un’intensità unica, capace di lasciare senza fiato.

        Le parole che toccano il cuore

        Un momento particolarmente emozionante è stato quello della lettura della lettera della vedova del Questore Alfredo Albanese, vittima del terrorismo. La lettera, letta dal giornalista Adriano Favaro, ha sottolineato l’importanza di raccontare con verità e dignità gli anni di piombo:

        “Questo film ricorda non solo la vittima, ma anche la persona, con la sua vita e i suoi affetti. È un’occasione per dare voce a chi ha subito la violenza terroristica, affinché la memoria possa generare giustizia.”

        Le parole della vedova hanno toccato profondamente il pubblico, richiamando la necessità di preservare la memoria storica per le generazioni future.

        Un’eredità di dignità e coraggio

        Durante la serata, il figlio di Giuseppe Taliercio, Cesare, ha condiviso il messaggio centrale lasciato da suo padre:

        “Non ci si deve fermare alla commozione, ma riflettere su come l’abbracciare un’ideologia senza giudizio critico possa portare a negare l’umanità del prossimo. Questa è la lezione di mio padre: mettere sempre al centro l’uomo e la sua dignità.”

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          5 domande a… Federico Moccia

          Il regista e autore, in Calabria per rifinire il cortometraggio girato con i giovani attori della scuola Maros di Corigliano Rossano, risponde all’attore che l’ha tirato in ballo ieri nella trasmissione Belve di Francesca Fagnani

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            di Alessia Principe

            Sono trascorsi vent’anni esatti, eppure “Tre metri sopra il cielo” fa ancora notizia. Quel libro di Federico Moccia divenne un cult tra i ragazzi, che se lo passavano in fotocopie, e poi divenne un film – sceneggiato da Moccia e dalla candidata allo Strega Teresa Ciabatti – che ebbe anche un sequel: “Ho voglia di te”.

            Protagonista Riccardo Scamarcio, all’epoca un giovane esordiente. Da quel momento per lui si sono aperti ponti d’oro e set internazionali. Col tempo, però, l’attore ha cominciato a prendere le distanze da quel personaggio che l’aveva reso così popolare, provocando il commento amaro di Moccia, deluso dalle parole sprezzanti del suo protagonista. Ieri nel salotto di “Belve”, Francesca Fagnani ha punzecchiato di nuovo Scamarcio e l’attore non si è tirato indietro.

            «Lui è matto – ha detto alla conduttrice, riferendosi a Moccia – io ho fatto il film con Luca Lucini, che era il regista del film. Io non ho mai rinnegato quel film. Adoro 3 metri sopra il cielo. Non lo so, avrà pure lui preso qualcosa…».
            Il diretto interessato giura di non aver preso proprio nulla. Lo abbiamo incontrato a Cosenza dove Moccia è da due giorni per rifinire il cortometraggio “Bugie” girato a Corigliano Rossano, con 12 studenti e attori della scuola delle Arti MAROS in TEATRO. Riascoltando le parole dell’attore, si stringe nelle spalle e sorride. 

            «Io ho un ricordo bellissimo di Riccardo Scamarcio – ci racconta – perché ci siamo incontrati per Tre metri sopra il cielo, che Riccardo Tozzi, con la Cattleya, aveva deciso di realizzare. La cosa incredibile è che la sera prima di incontrare Tozzi andai al cinema a vedere La meglio gioventù. In una delle ultime scene vidi un ragazzo che interpretava il figlio di Luigi Lo Cascio e pensai: “Ecco, questo sarebbe perfetto per interpretare Step in Tre metri sopra il cielo”» racconta l’autore e regista col sorriso. 

            Scamarcio, per una serie di incastri del destino, si trovò proprio a sostenere la parte per il personaggio principale.

            «“Ho letto il libro Tre metri sopra il cielo”, mi disse Riccardo, “mi è piaciuto moltissimo. Mi ci rivedo, questa è proprio la mia storia”. Ricordo che mi colpì il suo coinvolgimento emotivo».

            Moccia chiarisce anche le famose parole riportate nell’intervista che ha poi acceso la miccia. «Si è parlato di me come di uno che si aspettava ringraziamenti o riconoscimenti. Non è vero. Non mi interessa essere ringraziato, anche se i giornalisti a volte scrivono altro nelle loro interviste. Quello che mi ha deluso è stato vedere Scamarcio prendere le distanze dal film Tre metri sopra il cielo (e forse anche da Ho voglia di te). Mi dispiacque, perché ci sono momenti della vita che sono fondamentali. Mi ricordo ancora quando la gente lo fermava per strada gridando: “Step, Step, fammi un autografo!” E lui rispondeva: “Io non sono Step, sono Riccardo Scamarcio”». 

            Il regista getta acqua sul fuoco. «Comunque pace fatta, Riccardo. Pace!» aprendo anche alla possibilità di condividere di nuovo lo stesso set. «Per me sarebbe un onore scrivere una sceneggiatura all’altezza del suo percorso. E non sono ironico, lo dico con sincerità».

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