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Cronaca

I genitori di Yara Gambirasio contro Netflix: “Incursione inammissibile nella nostra vita privata”

Fulvio Gambirasio e Maura Panarese annunciano azioni legali contro la piattaforma di streaming per la docuserie su Massimo Bossetti. Il punto critico: la riproduzione degli audio personali della madre della giovane vittima.

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    I genitori di Yara Gambirasio, la 13enne uccisa nel 2010, hanno deciso di intraprendere un’azione legale contro Netflix per la serie “Il Caso Yara: oltre ogni ragionevole dubbio”. Fulvio Gambirasio e Maura Panarese hanno incaricato gli avvocati Andrea Pezzotta ed Enrico Pelillo di presentare un esposto al Garante della Privacy. La ragione? La riproduzione degli audio che la madre di Yara aveva inviato al telefono della figlia nelle ore successive alla sua scomparsa.

    Secondo i legali della famiglia Gambirasio, si tratta di una vera e propria violazione della privacy. “Siamo indignati. Faremo un esposto al Garante della Privacy: c’è stata un’incursione nella vita di questi genitori senza che ci fosse una reale necessità e senza chiedere alcuna autorizzazione”, hanno dichiarato gli avvocati al settimanale Giallo. Gli audio in questione, nei quali la madre disperata cerca di contattare la figlia, non erano agli atti dell’inchiesta e non sono mai confluiti nei processi.

    L’uso degli audio: una scelta discutibile

    La serie, uscita su Netflix lo scorso luglio, ha sollevato non poche polemiche per l’utilizzo di materiale considerato estremamente sensibile. Tra le registrazioni riprodotte, c’è un messaggio vocale che Maura Panarese ha inviato alla figlia: “Amore, sono la mamma, dove sei?”. Un messaggio che, per la famiglia, dovrebbe restare privato e che, secondo loro, non rispetta il diritto di cronaca.

    Questi audio, infatti, non solo non fanno parte della documentazione processuale, ma rappresentano un momento intimo e doloroso che i genitori non hanno mai autorizzato a rendere pubblico. La loro riproduzione ha riaperto una ferita mai chiusa, facendo rivivere a Fulvio e Maura quei terribili momenti.

    Il diritto di cronaca e la dignità delle vittime

    Questa vicenda solleva ancora una volta il delicato equilibrio tra diritto di cronaca e rispetto della dignità delle vittime e delle loro famiglie. I Gambirasio non contestano la ricostruzione degli eventi o l’approfondimento del caso Bossetti, ma l’uso di quei messaggi personali che, a loro avviso, non aggiungono nulla alla comprensione dei fatti, ma sfruttano il dolore per creare un impatto emotivo sul pubblico.

    Le conseguenze legali

    L’esposto al Garante della Privacy potrebbe avere conseguenze significative, non solo per Netflix ma per l’intera industria delle docuserie e dei documentari true crime, spesso accusati di spettacolarizzare eventi tragici. La vicenda potrebbe diventare un precedente importante per stabilire limiti più stringenti sull’uso di materiali privati, soprattutto quando riguardano vittime di crimini violenti e le loro famiglie.

    La risposta di Netflix

    Al momento, Netflix non ha rilasciato dichiarazioni ufficiali in merito. La piattaforma potrebbe decidere di difendere la sua scelta editoriale appellandosi al diritto di cronaca e alla libertà di informazione, ma sarà interessante vedere come si evolverà la situazione e quale sarà l’eventuale posizione della giustizia italiana.

    Un dibattito necessario

    La denuncia dei genitori di Yara Gambirasio apre un dibattito importante: fino a che punto è giusto spingersi nella narrazione di eventi tragici? Qual è il confine tra informazione e violazione della privacy? La speranza è che da questa dolorosa vicenda possa nascere una riflessione più profonda sull’uso delle storie di cronaca nera e sul rispetto delle persone coinvolte, soprattutto quando non possono più difendersi da sole.

      Cronaca Nera

      Mostro di Firenze: riesumati i resti di Francesco Vinci, l’ex moglie crede che sia ancora vivo

      Esami sul DNA per verificare l’identità del cadavere trovato carbonizzato nel 1993. La famiglia sospetta una messa in scena. La riesumazione di Francesco Vinci potrebbe essere il tassello mancante di un puzzle complesso, che lega la sua vicenda personale a quella più ampia e tragica del Mostro di Firenze. Un’ombra lunga che continua a pesare sulla cronaca nera italiana.

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        Questa mattina, nel cimitero di Montelupo Fiorentino, sono stati riesumati i resti di Francesco Vinci, una delle figure chiave della cosiddetta “pista sarda” legata ai delitti del Mostro di Firenze. L’operazione è stata disposta dalla Procura di Firenze, ma la richiesta iniziale era partita dalla famiglia dello stesso Vinci. La vedova, Vitalia Velis, e i figli vogliono sapere se quel corpo ritrovato incaprettato e carbonizzato nel 1993 sia realmente il loro caro. Secondo la donna, infatti, il cadavere potrebbe non essere di Vinci, e sostiene addirittura di aver visto il marito ancora vivo dopo la sua presunta morte.

        Chi era Francesco Vinci?

        Originario di Villacidro, in Sardegna, Francesco Vinci era uno dei principali sospettati nella “pista sarda” sui delitti del Mostro di Firenze, il serial killer responsabile di otto duplici omicidi tra il 1968 e il 1985. Vinci fu incarcerato nel 1982, ma venne poi rilasciato quando, nel 1983, avvenne il delitto dei ragazzi tedeschi a Giogoli mentre lui era in prigione. La sua morte, avvenuta nel 1993, è sempre stata avvolta nel mistero.

        Il macabro ritrovamento

        Il corpo, trovato carbonizzato in una Fiat Uno nelle campagne di Chianni, vicino Pisa, era irriconoscibile. A complicare ulteriormente l’identificazione, il cadavere era privo delle mani, elemento che impediva un riconoscimento certo. All’epoca, Vinci fu identificato solo grazie a una fede e a un orologio trovati nel veicolo, oggetti che avrebbero potuto essere messi lì da chiunque. La situazione ha alimentato i sospetti della famiglia, convinta che il cadavere potesse non appartenere a lui.

        Il sospetto della moglie e la riesumazione

        La moglie Vitalia Velis ha raccontato di aver visto Francesco dopo la sua presunta morte, in un’auto, e di averlo perfino salutato. Un’ipotesi che sembrerebbe assurda, ma che ha spinto la famiglia a chiedere un esame del DNA per chiarire la questione. Ora, grazie alla riesumazione e all’analisi del materiale genetico, si cercherà di stabilire con certezza se i resti appartengano davvero a Vinci. L’esame comparativo del DNA verrà condotto con il materiale genetico dei figli e i risultati potrebbero finalmente chiudere questo capitolo ambiguo.

        I dubbi degli inquirenti

        Il criminologo Davide Cannella, che assiste la famiglia, ha sottolineato come, sin dall’inizio, ci siano state delle anomalie. “Dall’autopsia emergono elementi che non quadrano. Chi ha ucciso Vinci e Angelo Vargiu, trovato insieme a lui nell’auto, ha cercato di rendere impossibile il riconoscimento”, ha dichiarato. Mancano, infatti, le mani, e non è stato mai trovato il proiettile che avrebbe potuto fornire ulteriori indizi.

        L’importanza del DNA

        Il lavoro degli esperti sarà cruciale. Se il genetista riuscirà a estrapolare il DNA dai resti riesumati, verrà comparato con quello dei figli di Vinci. Questo permetterà di confermare, o smentire, l’identità del corpo ritrovato. In caso di corrispondenza, il campione genetico verrà inserito nella banca dati delle indagini sui delitti del Mostro di Firenze, un’inchiesta che, nonostante gli anni, continua a sollevare interrogativi e a cercare risposte.

        Un’indagine senza fine

        Alla riesumazione, oltre alle pm Ornella Galeotti e Beatrice Giunti, erano presenti anche i figli di Vinci e i loro consulenti: il genetista forense Eugenio D’Orio e il medico legale Aldo Allegrini. I resti sono stati trasportati all’istituto di medicina legale di Firenze, dove saranno esaminati dai periti. La speranza è che i risultati possano fornire un po’ di chiarezza a una storia che, a trent’anni di distanza, ancora non ha trovato il suo epilogo.

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          Cose dell'altro mondo

          Papa Francesco sorprende tutti e va al bar a prendersi un caffè: “Per favore, mi fa un espresso?”

          Durante la visita in Lussemburgo, il Pontefice rompe il protocollo e va al bar dopo pranzo per gustarsi un caffè. Il barista: “Il caffè più stressante che abbia mai preparato”

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            LUSSEMBURGO. Non smette mai di stupire Papa Francesco, capace di trasformare ogni occasione in un momento di vicinanza e autenticità. Durante il viaggio ufficiale in Lussemburgo, il Pontefice ha aggiunto un tocco personale alla sua visita rompendo il protocollo. Dopo il pranzo con l’amico cardinale Jean Claude Hollerich, ha chiesto di fare una breve sosta in un bar per un caffè. Una richiesta che ha lasciato di stucco gli accompagnatori, abituati a ben altro tipo di impegni ufficiali.

            È così che Papa Francesco si è trovato al caffè Grupetto, un locale frequentato soprattutto da tifosi del ciclismo, in Rue Notre Dame. Ad accoglierlo un giovane barista, André Ribeiro, che, incredulo, si è ritrovato a preparare il caffè più importante della sua vita. “È stato il caffè più stressante che abbia mai fatto”, ha raccontato Ribeiro, ancora emozionato per l’incontro inatteso. Il Papa, seduto sulla sua sedia a rotelle e circondato dalle guardie del corpo, ha sorseggiato l’espresso con la serenità di chi fa parte della vita quotidiana, scambiando qualche parola con i presenti e regalando sorrisi.

            Una scena quasi surreale, quella di Papa Francesco al bancone di un bar, ma che riflette perfettamente il suo stile di vicinanza alla gente. Non è la prima volta che il Pontefice stupisce con gesti di estrema semplicità. A Roma aveva fatto parlare di sé quando decise di recarsi personalmente dall’ottico per sostituire le lenti degli occhiali, attirando curiosi e passanti increduli nel centro storico della capitale. E chi può dimenticare quando partecipò a una cena con i volontari della Giornata Mondiale della Gioventù e mangiò la famosa pizza di O’ Zì Aniello, scherzando e scattando foto con tutti come se fosse uno di famiglia.

            Tornando al bar di Lussemburgo, il Papa ha dimostrato ancora una volta la sua attenzione verso le persone comuni. Dopo aver lasciato il locale, si è fermato lungo il percorso per benedire una donna incinta, un gesto che ha emozionato non solo la futura mamma, ma anche tutti coloro che hanno assistito alla scena. “Mi ha benedetto il pancione, è stata un’emozione indescrivibile”, ha raccontato la donna.

            Questi gesti, che possono sembrare piccoli e informali, raccontano in realtà molto della personalità di Papa Francesco. La sua capacità di rompere le barriere del protocollo, di avvicinarsi alla gente comune, di condividere momenti di vita quotidiana con semplicità e spontaneità, rendono ogni sua azione un esempio di umanità e vicinanza. Anche il barista André Ribeiro, nel ricordare quel momento unico, ha detto che l’atmosfera del locale si è improvvisamente riempita di calore e serenità.

            Dopo il caffè e gli incontri lungo il percorso, il Papa è tornato alla Casa Arcivescovile per continuare la giornata prevista. Un fuori programma, quello di Lussemburgo, che ha aggiunto un capitolo di umanità e semplicità alla storia di un Pontefice che non smette mai di sorprenderci, anche con un semplice espresso.

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              Cronaca

              Mistero sul naufragio del Bayesian: documenti segreti e spionaggio internazionale sul relitto del mega yacht affondato a Porticello

              Un incidente sospetto, la morte di personaggi di spicco e un relitto che potrebbe contenere informazioni scottanti. I servizi segreti di mezzo mondo puntano gli occhi sulle casseforti del tycoon britannico Mike Lynch.

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                A più di un mese dal naufragio del Bayesian, il mistero si infittisce. Cosa si nasconde sul fondo del mare, a cinquanta metri di profondità davanti alla costa di Porticello, dove giace il relitto del veliero più grande del mondo? Un incidente che ha portato alla morte del magnate britannico Mike Lynch e di altre sei persone, tra cui il presidente della Morgan Stanley International Jonathan Bloomer e sua moglie, sembra nascondere molto più di quanto appaia. Non solo un semplice disastro marittimo: il recupero dell’imbarcazione potrebbe rivelare informazioni sensibili che fanno gola a molti.

                Hard disk super-crittografati e documenti riservati: una spy story in fondo al mare

                Secondo fonti vicine al caso, all’interno delle casseforti a tenuta stagna del Bayesian si troverebbero due hard disk contenenti dati altamente classificati, tra cui codici di accesso e informazioni di rilevanza strategica per alcuni governi. La loro presenza a bordo del mega yacht di Lynch, fondatore di Darktrace, una delle più avanzate aziende di cybersecurity, solleva interrogativi inquietanti. E se quei documenti fossero davvero tanto preziosi? Perché Lynch si trovava in Sicilia con informazioni tanto delicate? E, soprattutto, chi potrebbe essere interessato a quei dati?

                La caccia al relitto: sub e sorveglianza armata

                L’operazione di recupero è appena iniziata, ma già si avvertono le tensioni. I sub incaricati dei rilievi preliminari hanno richiesto una sorveglianza armata durante le operazioni, temendo che i contenuti delle casseforti possano attirare l’attenzione di governi stranieri, in particolare di Russia e Cina. Che tipo di informazioni avrebbe potuto accumulare Lynch nei suoi hard disk? Quali segreti si celano tra i flutti di Porticello?

                Indagini e sospetti: l’ombra del sabotaggio

                La Procura di Termini Imerese ha già iscritto nel registro degli indagati tre membri dell’equipaggio con l’accusa di omicidio colposo plurimo e naufragio colposo. Tra loro, il comandante James Cutfield, l’ufficiale di macchina Tim Parker Eaton e il marinaio Matthew Griffith. Ma l’ipotesi di una catena di errori umani sembra troppo semplice per un incidente dalle dinamiche così controverse. Un’inchiesta che non esclude il sabotaggio e che potrebbe portare a nuove clamorose rivelazioni.

                Il ruolo di Lynch: tycoon e pedina dello spionaggio?

                Mike Lynch non era solo un tycoon: il suo coinvolgimento in progetti di cybersicurezza e la sua collaborazione con agenzie di intelligence occidentali lo rendevano un uomo chiave, portatore di segreti che potrebbero destabilizzare interi scenari geopolitici. Non sorprende che governi come quello russo e cinese, sempre in cerca di informazioni strategiche, siano interessati a quanto custodito sul Bayesian. Se le teorie fossero confermate, il naufragio di Porticello rischierebbe di diventare molto più di una tragedia personale e finanziaria: un vero e proprio caso internazionale.

                Un finale ancora da scrivere

                Mentre gli occhi del mondo sono puntati su questo relitto, il destino del Bayesian e dei suoi segreti resta avvolto nell’ombra. Il recupero dell’imbarcazione potrebbe portare alla luce informazioni che farebbero tremare molti potenti. In gioco non c’è solo la verità su un disastro in mare, ma l’equilibrio di un mondo sempre più dominato da informazioni e tecnologia. Resta solo da vedere chi riuscirà a mettere le mani per primo su quel prezioso carico.

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