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Storie vere

Il prof “fantasma”: dopo 550 giorni di assenza vorrebbe rientrare ma è stato licenziato!

Non si è fatto vedere per tre anni, tra aspettativa, malattie e assenze ingiustificate. Lo scorso lunedì il prof “fantasma”, della provincia di Taranto si è presentato a scuola scoprendo di essere stato licenziato.

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    Da tre anni il prof andava e veniva a suo piacere. Tra malattia, aspettative e assenze ingiustificate un docente di diritto della provincia di Taranto, soprannominato il “prof fantasma”, in tre anni ha accumulato 550 giorni di assenza. Nonostante nel 2021 avesse firmato un contratto a tempo indeterminato l’insegnante 60enne si è presentato a scuola solo sporadicamente. E soprattutto in maniera subdola, ostacolando tecnicamente la scuola impossibilitata a sostituirlo con un unico supplente.

    Certificati medici a suo uso e consumo dal venerdì al sabato

    Le continue richieste di certificati medici, spesso per periodi brevi e coincidenti con i giorni feriali, hanno messo a dura prova la scuola trevigiana, che non è riuscita a garantire la continuità didattica agli studenti a causa della necessità di affidarsi a una lunga serie di supplenti.

    Troppe assenze: licenziato!

    Nonostante un recente certificato medico che attestava la sua idoneità al lavoro, il docente è stato comunque licenziato per aver superato i limiti massimi di assenza previsti dalla normativa. La scuola ha motivato la sua decisione presentando un dossier dettagliato delle assenze e delle relative certificazioni mediche. Il professore, a sua volta, potrebbe ricorrere contro il licenziamento, ma la scuola sembra disporre di prove sufficienti per confermare la sua decisione. Ma come funziona la procedura?

    Un quadro normativo molto chiaro

    Le assenze del personale scolastico sono disciplinate da una serie di norme contrattuali e legislative che definiscono i diritti e i doveri dei docenti e del personale ATA. In caso di prolungate o frequenti assenze, possono scattare delle procedure disciplinari che, in casi estremi, possono portare al licenziamento. Diritti e doveri del personale docente rientrano nel Contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) del comparto scuola che tra le altre cose definisce le modalità di comunicazione delle assenze e le conseguenze disciplinari in caso di violazione dei doveri contrattuali.

    Una malattia tira l’altra…

    Nel comparto pubblico, così come nel privato, le assenze per malattia dei professori devono essere sempre giustificate da un certificato medico. Esiste un periodo di comporto entro il quale le assenze per malattia non comportano conseguenze disciplinari. Per evitare che si possa approfittare di falsi certificati l’INPS può disporre visite fiscali nel corso delle giornate di assenza dal lavoro, per verificare la sussistenza dello stato di malattia.

    Ma quando scatta il licenziamento?

    Il licenziamento di un docente o di un dipendente ATA è una misura disciplinare molto grave e può essere adottata solo in casi di gravi violazioni dei doveri contrattuali. Per esempio? Nel caso di assenze ingiustificate e reiterate. Quando cioè il numero e la durata delle assenze superano i limiti previsti dal contratto e dalla legge. Oppure per atti di indisciplina, offese a superiori o colleghi e comportamenti lesivi della dignità altrui. Infine un prof. può essere licenziato quando non è più in grado di svolgere le proprie funzioni a causa di una grave malattia o di un handicap.

    Prima di procedere al licenziamento, l’amministrazione deve avviare una procedura disciplinare che prevede l’invio al domicilio del dipendente di un’accusa scritta nella quale il dipendente viene informato dei fatti a lui contestati. Naturalmente il dipendente ha diritto a presentare le proprie difese tanto quanto l’amministrazione può prevedere sanzioni disciplinari diverse dal licenziamento, come la sospensione dal servizio. Contro il licenziamento, il dipendente può proporre ricorso al giudice del lavoro entro sessanta giorni dalla notifica del provvedimento.

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      Bari Vecchia in sciopero: le orecchiette rivendicano la loro autenticità!

      Le venditrici di orecchiette di Bari sono in rivolta contro quella che definiscono una “campagna denigratoria” nei loro confronti e hanno deciso di lasciare vuote le tavolate su cui ogni mattina dispongono i prodotti artigianali.

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        Mancava solo l’intervento di Papa Francesco e un commento di Donald Trump e avremmo fatto Bingo! La storia delle massaie delle orecchiette in sciopero ha tenuto occupata l’opinione pubblica nazionale per una settimana, con risvolti internazionali. A Bari Vecchia, nel pittoresco vicolo dell’Arco Basso, le massaie delle orecchiette, ambasciatrici della tradizione pugliese, hanno incrociato le braccia per difendere l’autenticità del loro prodotto. Per mezza giornata, le tavole di legno dove ogni giorno trasformano acqua e farina in piccoli capolavori sono rimaste vuote, lasciando delusi i turisti che ogni anno arrivano da ogni parte del mondo per comprare il simbolo della città. Ma che cos’è successo? Come spesso accade una serie di eventi hanno contribuito a creare un sospetto. Saranno tutte artigianali le orecchiette che acquistiamo nei vicoli della Bari Vecchia? E come si fa a distinguere quelle autentiche da quelle industriali? C’è un retrogusto di raggiro…

        Le orecchiette: simbolo di manualità e tradizione

        Le massaie di Bari Vecchia si difendono e contrattaccano. Non sono solo custodi di una tradizione secolare ma rappresentano un’arte che ha reso famoso il capoluogo pugliese anche fuori dai circuiti turistici classici. Ogni orecchietta fatta a mano racconta una storia, un legame intimo con la terra e la cultura della Puglia, dicono. Tuttavia, il recente aumento della domanda ha scatenato dubbi sull’autenticità di alcuni prodotti venduti nei vicoli della città vecchia, alimentando polemiche e sospetti.

        La “truffa delle orecchiette”: realtà o eccezione?

        La questione è esplosa con la diffusione di video e inchieste che hanno denunciato la vendita di orecchiette industriali, spacciate per artigianali. Il caso è diventato ancora più eclatante quando nei bidoni della città vecchia sono stati trovati cartoni di pasta di un pastificio di Altamura, alimentando il sospetto di una “truffa delle orecchiette”. Soprattutto a discapito dei turisti stranieri. Ma le massaie baresi non ci stanno. “Le nostre orecchiette sono tutte fatte a mano, ma dobbiamo farle essiccare per questioni di igiene. I turisti le portano in America, in Francia, e hanno bisogno di un prodotto resistente”, spiega Nunzia Caputo, storica pastaia e portavoce delle donne di Arco Basso. “Dateci regole chiare, vogliamo lavorare serenamente”, aggiunge, difendendo l’autenticità della loro arte.

        L’intervento del sindaco del capoluogo Vito Leccese

        In mezzo alla bagarre, il sindaco di Bari, Vito Leccese, ha deciso che era meglio chiarire alcune “cosssette“. E’ sceso in campo per tutelare la tradizione delle orecchiette artigianali, ma anche per garantire il rispetto delle norme igieniche e fiscali. “L’unica strada è seguire le regole”, ha dichiarato il primo cittadino, promettendo di valorizzare l’originalità delle orecchiette con l’introduzione di un marchio di qualità. L’obiettivo è chiaro: proteggere l’autenticità delle massaie e consolidare il ruolo delle orecchiette come simbolo identitario della città. Del resto la produzione delle orecchiette, e non solo, in pochi anni ha trasformato Bari Vecchia da luogo malfamato a meta turistica irrinunciabile. Tuttavia, l’aumento della domanda internazionale potrebbe aver spinto qualcuno a facili scorciatoie. Per questo è necessario distinguere chi resta fedele alla tradizione da eventuali furbetti, per preservare l’immagine autentica della città e delle sue pastaie.

        Tenere insieme turismo di massa ed eccellenze gastronomiche tradizionali

        Per le massaie di Bari Vecchia, le orecchiette sono più di un prodotto alimentare. Sono cultura, identità e legame con la propria terra. Lo sciopero è stato un gesto forte, ma il messaggio è stato altrettanto chiaro: “Non rinunceremo mai alla nostra tradizione. Le orecchiette vere siamo noi.”

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          Storie vere

          Conti in rosso, scandali finanziari e videoclip della pop star girato sull’altare. Monsignor Jamie Gigantiello rimosso dalla diocesi

          Bare colorate, milioni di dollari scomparsi e un sindaco incriminato. Monsignor Jamie Gigantiello si è messo nei guai e ora deve riconquistare ia fiducia dei suoi parrochiani.

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            Che parroco biricchino Monsignor Jamie Gigantiello. A Williamsburg, quartiere storico di Brooklyn, le mura della chiesa di Our Lady of Mount Carmel non tremavano così da anni. Ma questa volta non sono le campane a risuonare. Ma è Sabrina Carpenter, pop star internazionale. E cosa ha fatto Sabrina? Nel suo ultimo video musicale si è appropriata dell’altare per ballare accanto a bare colorate, in abito nero e con un carro funebre rosa. La performance, decisamente poco liturgica, ha scatenato una tempesta mediatica, e a pagarne il prezzo non è stata solo la reputazione della chiesa, ma anche quella del suo pastore, Monsignor Jamie Gigantiello che ha acconsentito di fare girare il videoclip.

            Quando il videoclip diventa “peccato mortale”

            Il parroco, Gigantiello, ha dichiarato che l’approvazione delle riprese è stato un “errore di giudizio“. Ma i parrocchiani, e probabilmente qualche santo in paradiso, non sembrano averlo perdonato. Il video incriminato intitolato Feather, mostra la Carpenter che, tra coreografie provocanti e scenari macabri, si prende gioco di uomini “tossici”. Tra i set scelti spicca proprio l’altare della storica chiesa di Brooklyn , dove il contrasto tra le bare sgargianti e la solennità del luogo ha fatto rabbrividire i fedeli. Apriti cielo… Anzi chiuditi subito!!

            Milioni di dollari e spese “divine”

            E mentre i fedeli erano ancora intenti a chiedersi “ma chi l’ha lasciata entrare?“, un’indagine più ampia ha rivelato che il parroco non si è limitato a errori di valutazione. Cìè qualcosa di pià grave e compromettente. Monsignor Jamie è finito al centro di uno scandalo finanziario. Tra il 2019 e il 2021, avrebbe trasferito ben 1,9 milioni di dollari dai conti della parrocchia verso quelli di Frank Carone, ex braccio destro del sindaco Eric Adams, attualmente indagato per corruzione. E non finisce qui. Si sospetta che il sacerdote abbia usato una carta di credito della chiesa per coprire “spese personali sostanziali”. Cene di gala? Tappeti persiani? O magari un palco privato per vedere Sabrina Carpenter in concerto? Il mistero resta.

            La caduta di Monsignor Jamie Gigantiello “parroco di Williamsburg”

            Gigantiello, punto di riferimento per la comunità cattolica di Williamsburg, è stato quindi rimosso dai suoi incarichi. La diocesi di Brooklyn, attraverso il vescovo Robert Brennan, ha deciso di affidare la parrocchia al vescovo Witold Mroziewski, sottolineando la necessità di “ristabilire fiducia” tra i fedeli. Ora, Monsignor Jamie potrà ancora celebrare la messa, ma solo con il permesso del suo successore.

            Gigantiello stregato da Sabrina regina del caos (e del Madison Square Garden)

            E nel frattempo, Sabrina Carpenter che fa? Ha cavalcato l’onda della controversia con nonchalance. Durante un concerto a New York, la cantante ha scherzato: “Dovremmo parlare di come ho fatto incriminare il sindaco?“. La battuta, ovviamente, ha scatenato risate e applausi tra il pubblico. D’altronde, chi avrebbe mai detto che una canzone pop potesse scoperchiare un calderone di scandali?

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              Storie vere

              Non sapevo che mia moglie fosse nata uomo: il Tribunale nega l’annullamento del matrimonio

              Il Tribunale di Livorno ha stabilito che la mancata conoscenza dell’originario sesso del coniuge non rientra tra gli “errori essenziali” per annullare il matrimonio. L’uomo potrà solo divorziare, ma non ottenere l’annullamento.

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                Dopo 18 anni di matrimonio, un uomo scopre che la moglie, anni prima, era nata uomo e chiede al Tribunale di Livorno l’annullamento del loro matrimonio. La risposta? Un deciso “no”. Il caso, che sembra uscito direttamente da un film, è finito sulle scrivanie dei giudici livornesi, che hanno recentemente emesso la sentenza negando la richiesta di annullamento. Per il marito, che ha vissuto tutta la sua vita con quella che credeva fosse la donna della sua vita, la scoperta ha avuto il sapore di un tradimento: “Se lo avessi saputo, non mi sarei mai sposato”, è stata la sua linea di difesa. Ma per i giudici, le cose non sono così semplici.

                L’uomo ha deciso di impugnare il matrimonio basandosi sull’articolo 122 del codice civile, che prevede l’annullamento del matrimonio per errore o violenza. E quale “errore” più grande di scoprire, dopo quasi due decenni di vita coniugale, che il coniuge non è nato del genere che pensavi? Ma per il Tribunale, non è proprio così. I giudici hanno stabilito che la mancata conoscenza del sesso originario della moglie non rientra negli “errori” previsti dalla legge per annullare il vincolo matrimoniale. La sentenza è stata chiara: «L’omissione da parte della donna non può essere considerata un errore sull’identità della persona né un errore essenziale sulle qualità personali dell’altro coniuge».

                La storia tra i due ha inizio nel 2003, quando si sono sposati civilmente. Il loro matrimonio è durato fino al 2021, quando i due hanno deciso di separarsi. Nel frattempo, avevano persino considerato l’adozione di un bambino, un progetto che però non è mai stato portato a termine. La donna, secondo il marito, gli avrebbe raccontato di un problema di salute che le aveva impedito di avere figli, ma non avrebbe mai menzionato il fatto di essere nata uomo. Una versione che la donna ha decisamente respinto, affermando davanti ai giudici che il marito sapeva tutto fin dall’inizio.

                La verità? Come spesso accade, sta nel mezzo. Secondo i giudici, è probabile che la moglie abbia omesso alcuni dettagli sulla sua storia, ma il marito avrebbe comunque avuto modo di scoprire la verità se avesse voluto approfondire le ragioni per cui la moglie non poteva avere figli. Stando al resoconto processuale, l’uomo avrebbe potuto ottenere tutte le informazioni già all’epoca, ma non ha voluto farlo. A un certo punto, la moglie gli aveva anche offerto di spiegare tutto, ma lui ha preferito non indagare ulteriormente.

                La vera svolta è arrivata solo nel 2022, durante un’ispezione ipotecaria e catastale, quando il marito ha scoperto il passato della moglie e ha deciso di rivolgersi a un avvocato per chiedere l’annullamento del matrimonio. Ha sostenuto che, se avesse saputo del cambio di sesso, non avrebbe mai acconsentito a sposarla.

                Nonostante il dramma emotivo, la legge ha fatto il suo corso. I giudici di Livorno hanno deciso che, anche se l’uomo non fosse stato informato del passato della moglie, ciò non costituisce un errore tale da giustificare l’annullamento del matrimonio. Il Tribunale ha quindi respinto la sua richiesta, stabilendo che l’unica via legale per lui ora è il divorzio, come qualsiasi altra coppia. «Anche ove si volesse qualificare tale mancata conoscenza come errore, la domanda deve essere comunque respinta», ha concluso la sentenza.

                Il caso ha sollevato molte domande e dibattiti, soprattutto in un contesto sociale dove le tematiche legate all’identità di genere sono sempre più al centro dell’attenzione. Ma per ora, il verdetto è chiaro: niente annullamento per il marito, che dovrà affrontare il divorzio come tutti gli altri.

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