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Taylor Swift e Kamala Harris: l’endorsement mobilita la generazione Z, ma non sposta i voti

Mentre la maggior parte degli elettori non sembra influenzata direttamente dall’appoggio di Swift, l’aumento delle registrazioni per votare dimostra che la sua capacità di mobilitazione, soprattutto tra i giovani, è determinante.

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    Il sostegno di Taylor Swift alla vicepresidente Kamala Harris nelle elezioni presidenziali del 2024 ha fatto scalpore, ma la sua reale influenza sui voti sembra avere un peso minore di quanto ci si aspetti. Secondo sondaggi e analisi di esperti del Newsweek, l’appoggio della cantante non porterà direttamente a un aumento di voti per Harris, ma potrebbe avere un impatto sostanziale sull’affluenza alle urne, soprattutto tra i giovani elettori, come già successo in precedenza.

    Nel suo messaggio, Swift ha esortato i suoi milioni di fan a registrarsi per votare tramite il sito Vote.gov. Nei giorni successivi al suo post, si è verificato un aumento del 585% nelle registrazioni e verifiche del proprio stato di voto, con oltre 400.000 click registrati nelle prime 24 ore.

    Gli esperti, però, sono cauti nel prevedere un impatto diretto sul sostegno a Harris. Un sondaggio condotto dalla Quinnipiac University tra il 19 e il 22 settembre mostra che il 76% degli intervistati afferma di non essere influenzato dall’endorsement di Swift, mentre il 9% si dichiara più entusiasta della candidatura e il 13% meno entusiasta.

    La potenza dell’appello di Swift: non solo voti, ma affluenza

    Dafydd Townley, docente di politica americana, sottolinea che la maggior parte dei fan di Swift probabilmente avrebbe votato per Harris anche senza il suo intervento. Tuttavia, la popstar ha dimostrato di avere un grande potere nel mobilitare gli elettori e nell’incentivare la registrazione di nuove persone, soprattutto tra i giovani. La generazione Z, in particolare, potrebbe giocare un ruolo chiave nelle prossime elezioni, e Swift è una figura di riferimento per questo gruppo demografico.

    Un esempio che fa storia

    Non è la prima volta che Swift si impegna politicamente. Già nel 2018, la cantante aveva mobilitato migliaia di persone a registrarsi per le elezioni di metà mandato, con un impatto immediato sulle registrazioni. Anche nel 2023, un suo post su Instagram ha portato a 35.000 nuove registrazioni, dimostrando il suo potere di influenzare l’affluenza tra i più giovani.

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      Vaccini, Boris Johnson e l’invasione fantasma: “Volevo attaccare l’Olanda per riprendermi le dosi”

      “Dopo mesi di negoziati inutili, l’Ue ci trattava con dispetto”: così Johnson giustifica l’idea estrema di intervenire militarmente in un paese alleato

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        Londra – Un’operazione militare in Olanda per recuperare le dosi di vaccino anti-Covid “prese in ostaggio” dall’Unione europea con “malizia e dispetto”. Questo è uno dei passaggi più sorprendenti della nuova autobiografia di Boris Johnson, intitolata Unleashed – letteralmente, “sguinzagliato” – in uscita il 10 ottobre nel Regno Unito. L’ex primo ministro britannico ha svelato retroscena mai rivelati prima sui suoi anni al potere, incluso un possibile raid militare durante la pandemia per recuperare vaccini bloccati in territorio olandese.

        Secondo quanto riportato in un’anteprima pubblicata dal Daily Mail, Johnson ha raccontato di una riunione segreta nel marzo 2021 a Downing Street, in cui le forze armate britanniche studiarono la fattibilità di un’operazione in Olanda. L’obiettivo? Recuperare cinque milioni di dosi di AstraZeneca custodite nello stabilimento Halix di Leiden, bloccate dall’Ue e impossibili da esportare in Gran Bretagna.

        Johnson descrive la scena nei minimi dettagli: “Il generale Doug Chalmers, vice capo di stato maggiore della Difesa, spiegò che un intervento era possibile: avremmo potuto inviare una squadra su un aereo civile e un’altra su gommoni militari”. Ma l’ex premier ricorda di essersi trattenuto: “Sapevo che era una pazzia, ma ero disperato. Fintanto che la gente del mio paese continuava a morire di Covid, credevo fosse mio dovere mettere le mani su quelle dosi e usarle per salvare vite nel Regno Unito”.

        L’assalto mai avvenuto

        L’operazione, fortunatamente mai realizzata, avrebbe potuto creare un grave incidente diplomatico, dal momento che l’Olanda è un paese membro della Nato, alleato della Gran Bretagna. Tuttavia, l’insistenza di Johnson sul fatto che l’Ue stesse trattenendo le dosi “con dispetto” per punire il Regno Unito, reo di aver lasciato l’Unione con la Brexit, lo spinse a considerare l’intervento.

        In quel periodo, ricorda Johnson, il Regno Unito stava vaccinando a ritmi record, grazie proprio al vaccino AstraZeneca, sviluppato con fondi governativi britannici. Dopo due mesi di “futili negoziazioni” con Bruxelles, l’ex premier arrivò alla conclusione che l’Ue stava volutamente sabotando il successo del Regno Unito. “Potevo vedere lo stabilimento su Google Earth, sembrava facile da svaligiare”, scherza Johnson nella sua autobiografia.

        Critiche alla retorica bellica

        Le rivelazioni di Johnson hanno subito scatenato critiche, anche da parte di testate tradizionalmente vicine ai conservatori. The Spectator, ad esempio, ha messo in dubbio la lucidità dell’ex premier, sottolineando come già nel marzo 2021 fosse evidente che il vaccino AstraZeneca presentava dei limiti, e che un leader più saggio avrebbe evitato azioni sconsiderate. “Era così inebriato dal successo del vaccino post-Brexit – scrive il giornalista Ross Clarke – che la sua capacità di giudizio ne risultò compromessa”.

        “Grazie alla Brexit abbiamo vinto la corsa al vaccino”

        Nell’autobiografia, Johnson non mostra alcun segno di ripensamento: anzi, rivendica il successo della Gran Bretagna nella corsa al vaccino, che attribuisce interamente alla Brexit. “È grazie alla Brexit e a Kate Bingham, che guidò l’operazione vaccini, se siamo stati i primi a vaccinare la nostra popolazione. Avevo ragione quando, su un muro di Notting Hill, lessi la scritta ‘la Brexit salva vite'”, afferma con orgoglio l’ex primo ministro.

        Lo stile diretto e spesso provocatorio di Johnson emerge in diversi passaggi del libro. Parlando della sua predecessora Theresa May, scrive di aver sempre apprezzato “l’arroganza da maestra” e il modo in cui alzava gli occhi al cielo ogni volta che lui le diceva “qualcosa di scandaloso”. Inoltre, Johnson rivela di essere stato incaricato di parlare con il principe Harry per convincerlo a non trasferirsi in California, un episodio che Buckingham Palace ha prontamente smentito.

        In ogni caso, Unleashed promette di essere una lettura esplosiva che riporterà Johnson al centro del dibattito politico e mediatico britannico, proprio come ai tempi del suo governo.

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          Mondo

          Puff Diddy e la lista di partecipanti alle feste, il caso delle mille bottigliette d’olio e il ruolo di J.Lo

          L’arresto di Sean Combs, noto anche come Puff Daddy, ha portato alla luce dettagli inquietanti sulle feste faraoniche organizzate dal produttore e sul presunto coinvolgimento di molte star internazionali.

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            Negli Stati Uniti non si parla d’altro: l’arresto di Sean Combs, noto in precedenza come Puff Daddy e ora conosciuto come P. Diddy, ha sollevato un vero e proprio scandalo destinato a scuotere le fondamenta dell’industria dell’intrattenimento. Le accuse contro il noto produttore, che vanno dalla violenza sessuale al traffico di persone, hanno aperto uno spaventoso vaso di Pandora, portando alla luce retroscena oscuri che coinvolgono alcune delle più grandi star internazionali.

            Le indagini stanno rivelando un lato oscuro delle cosiddette “White Party” organizzate da Diddy, eventi esclusivi che si tenevano nelle sue sontuose ville e che, stando alle ricostruzioni dei media americani, sarebbero durati diversi giorni. Le testimonianze raccontano di lavoratrici del sesso costrette a rimanere sveglie grazie a soluzioni fisiologiche somministrate tramite flebo, e ospiti ricattati con abusi fisici e sessuali in cambio di contratti discografici o denaro.

            Le bottigliette d’olio per bambini

            Un altro dettaglio emerso dalle indagini ha ulteriormente alimentato l’orrore: la polizia ha sequestrato circa 1.000 bottigliette di olio per bambini nella residenza di Diddy. Il loro scopo? Secondo l’avvocato del produttore, Marc Agnifilo, queste bottigliette sarebbero state utilizzate durante quelle che ha definito come “Freak off”, una pratica che negli anni ’70 era chiamata sesso a tre. Tuttavia, le spiegazioni fornite non hanno affatto fugato i dubbi sull’uso di quelle bottigliette, rendendo la vicenda ancora più inquietante.

            Il ruolo di Jennifer Lopez

            Tra i tanti nomi emersi in relazione a Diddy, uno ha catturato maggiormente l’attenzione: Jennifer Lopez. La cantante e attrice ha avuto una relazione con Combs dal 1999 al 2001, e i due rimasero coinvolti in una sparatoria avvenuta in un night club di New York. Sebbene al momento non vi siano accuse dirette nei confronti della Lopez, molti sono convinti che potrebbe essere chiamata a testimoniare durante il processo, poiché potrebbe avere informazioni utili.

            Secondo alcune speculazioni, riportate anche dal discografico Suge Knight nel podcast PDB, la vicenda potrebbe addirittura avere un legame con il recente divorzio tra Jennifer Lopez e Ben Affleck, alimentando ulteriori misteri intorno a questa intricata storia.

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              In Giappone assolto dopo 46 anni nel braccio della morte: la lunga battaglia di Iwao Hakamada

              L’ex pugile, condannato per un delitto che non aveva commesso, è stato dichiarato innocente dopo quasi mezzo secolo. La sorella Hideko, instancabile nel sostenere la sua innocenza, è stata decisiva per la revisione del caso.

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                È finito oggi uno degli incubi giudiziari più lunghi e controversi del Giappone. Iwao Hakamada, ex pugile di 88 anni, è stato assolto dopo aver trascorso 46 anni nel braccio della morte per un crimine che non aveva commesso. La sentenza del tribunale distrettuale di Shizuoka ha ribaltato la condanna per l’omicidio di una famiglia avvenuto nel 1966, dichiarando Hakamada non colpevole. Un verdetto che arriva grazie anche all’incessante lotta di sua sorella Hideko, 91 anni, che per decenni ha sostenuto l’innocenza del fratello, sfidando un sistema giudiziario spesso definito come “la giustizia degli ostaggi”.

                Una condanna basata su prove manipolate

                La storia di Hakamada inizia nel 1966, quando viene arrestato con l’accusa di aver ucciso il suo datore di lavoro, la moglie e i loro due figli. I quattro furono trovati morti nella loro casa, con ferite da taglio, prima che l’edificio venisse dato alle fiamme. Durante un brutale interrogatorio, Hakamada fu costretto a confessare, ma in seguito ritrattò, dichiarandosi innocente. La sua condanna a morte fu emessa sulla base di tracce di sangue trovate su cinque capi di abbigliamento rinvenuti 14 mesi dopo l’omicidio in una vasca di miso. Solo oggi, il tribunale ha stabilito che quelle prove erano state manipolate.

                Una battaglia legale durata decenni

                L’assoluzione arriva dopo una lunga e complessa battaglia legale. Il giudice ha riconosciuto che le macchie di sangue sui vestiti non potevano essere rimaste intatte dopo essere state immerse nel miso per oltre un anno, suggerendo che fossero state piazzate lì molto tempo dopo l’omicidio. “Il signor Hakamada non può essere considerato il criminale”, ha affermato il giudice, mettendo fine a una saga legale che ha messo in luce le falle del sistema giudiziario giapponese.

                La sorella Hideko, una vita dedicata alla verità

                Decisivo è stato il ruolo di Hideko, che non ha mai smesso di lottare per dimostrare l’innocenza del fratello. “Per moltissimo tempo abbiamo combattuto una battaglia che sembrava infinita, ma stavolta credo che la porteremo a una conclusione”, aveva dichiarato prima del verdetto. Il suo impegno, insieme a quello di avvocati e attivisti, ha mantenuto viva l’attenzione su un caso che, altrimenti, sarebbe rimasto sepolto nell’oblio.

                Un sistema giudiziario da riformare

                Il caso Hakamada ha attirato l’attenzione internazionale sulle problematiche del sistema giudiziario giapponese, spesso criticato per l’uso della cosiddetta “giustizia degli ostaggi”, in cui i sospetti vengono sottoposti a pressioni e abusi in custodia preventiva. Il Giappone, unica democrazia industrializzata insieme agli Stati Uniti ad applicare la pena di morte, continua a ricevere critiche per la mancanza di riforme in questo ambito.

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