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Storie vere

Genitori di un’alunna condannati a pagare 85 mila euro di risarcimento per una spinta a scuola. Una sentenza che fa discutere

Pistoia, i genitori condannati a pagare un risarcimento elevato per la figlia che ha spintonato una compagna a scuola.

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    Un caso di bullismo a scuola si è concluso con una sentenza che sta scuotendo l’opinione pubblica. A Pistoia, una coppia di genitori è stata condannata dal Tribunale a pagare un risarcimento di 85.000 euro per le conseguenze di una spinta della figlia, avvenuta nell’aprile del 2019. La vittima, una compagna di classe, dopo la spinta sule scale, riportò un trauma cranico e un profondo taglio al volto. Le due ragazze, entrambe quattordicenni, ottennero il permesso di uscire dalla classe per raggiungere gli armadietti e recuperare materiale didattico. Raggiunte le scale, una delle due spinse violentemente l’altra, provocandone la caduta e l’impatto con uno spigolo. La vittima fu soccorsa e trasportata in ospedale, dove le vennero diagnosticate lesioni importanti.

    Di chi sono le responsabilità

    Il Tribunale ha ritenuto i genitori della ragazza responsabile della spinta colpevoli di non aver educato adeguatamente la figlia. La sentenza sottolinea come i genitori abbiano l’obbligo di istruire e educare i figli al rispetto delle regole. Ma la sentenza non si limita a condannare i genitori. Anche la scuola è stata ritenuta corresponsabile dell’accaduto. Nonostante la presenza di una collaboratrice scolastica, al momento dell’incidente non era presente alcun docente a sorvegliare le ragazze. Il tribunale ha sottolineato l’importanza della supervisione degli studenti, soprattutto quando si allontanano dalla classe.

    Un risarcimento record

    L’importo del risarcimento, pari a 85.000 euro, è stato stabilito considerando la gravità delle lesioni riportate dalla vittima, sia dal punto di vista fisico che psicologico. Il Tribunale ha inoltre riconosciuto i danni estetici permanenti causati dal profondo taglio al volto.

    Questo caso non è isolato. Negli ultimi anni si sono moltiplicati gli episodi di bullismo a scuola, con conseguenze a volte drammatiche. In molti casi, i genitori dei bulli sono stati chiamati a rispondere civilmente dei danni causati dai loro figli. Altre sentenze hanno coinvolto anche le scuole, condannate per non aver adottato misure adeguate per prevenire e contrastare il fenomeno. La responsabilità della scuola e degli insegnanti in caso di danni causati da studenti (a se stessi o a terzi) si divide in contrattuale ed extracontrattuale, regolata dagli articoli del Codice Civile

    Quali sono le responsabilità contrattuale (artt. 1175, 1218, 1375 c.c.)

    Obbligo di vigilare sull’incolumità degli alunni.
    Applicabile per danni che lo studente causa a sé stesso.
    La scuola/insegnante è responsabile solo se il danno è imputabile a una mancanza di vigilanza, escluse situazioni imprevedibili o dovute a disattenzione dell’alunno.

    Quali sono le responsabilità extracontrattuale (artt. 2047, 2048 c.c.)

    Gli insegnanti sono responsabili per i danni che l’alunno procura a terzi durante il periodo di sorveglianza. L’insegnante può esimersi dimostrando di aver adottato tutte le misure preventive possibili e che il danno è stato imprevedibile. Ma per i danni verso se stesso la responsabilità è contrattuale, perchè fondata sull’iscrizione scolastica e il conseguente obbligo di vigilanza. Invece per i danni versoterzi la responsabilità è extracontrattuale con la presunzione di colpa a carico del docente, salvo prova contraria. La legge dice che chi richiede il risarcimento (genitori o tutore) deve dimostrare che il danno è avvenuto sotto sorveglianza scolastica.La scuola/insegnante, a sua volta, deve provare di non aver potuto evitare l’evento nonostante la diligenza.

      Storie vere

      Detiene un Bond milionario del Regno della Romania che vale 70 milioni e si becca una multa da 21 milioni

      Nel 2017 un collezionista viaggiava con un ex titolo di Stato dell’ex Regno di Romania emesso nel 1929 dal valore di circa 70 milioni di euro. Alla dogana non lo ha dichiarato e ora dovrà pagare una multa salatissima.

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        Un tranquillo viaggio in treno da Zurigo a Milano si è trasformato in un’odissea giudiziaria per un collezionista che trasportava un ex titolo di Stato della Romania emesso durante il Regno nel 1929 dal valore di 70 milioni di euro. Un errore nella dichiarazione doganale gli è costato una multa salatissima: 20.923.989 euro. Multa confermata dalla Cassazione il 14 novembre 2023.

        Come sono andati i fatti

        Il 24 novembre 2017, l’uomo era a bordo del treno EuroCity 17 diretto a Milano, quando è stato fermato alla dogana di Chiasso dagli agenti della Guardia di Finanza. Alla domanda di routine se trasportasse contanti o titoli superiori ai 10.000 euro, la risposta è stata un secco “no”. Ma dentro la sua borsa, i finanzieri hanno trovato ben altro. Si trattava di un titolo di credito obbligazionario emesso dal Regno di Romania nel 1929, con scadenza nel 1959. Il titolo era corredato da 32 cedole semestrali e la documentazione che ne attestava l’autenticità e il valore. Questo titolo, originariamente con un valore nominale di 100 dollari, era stato certificato tramite una recente perizia come equivalente a 70 milioni di euro. Ben più di un semplice cimelio storico quindi.

        In che contesto era stato emesso il titolo di Stato della Romania?

        Il bond risale all’epoca in cui il Regno di Romania, monarchia costituzionale dal 1881, emetteva obbligazioni per sostenere l’economia durante la Grande Depressione. Dopo la caduta della monarchia nel 1947 e la trasformazione in una Repubblica comunista, il titolo ha perso il suo contesto di riferimento, finendo per diventare oggetto di interesse per il mercato collezionistico. Sebbene la maggior parte di questi titoli abbia oggi un valore puramente simbolico, quello trovato nella borsa dell’uomo era accompagnato da un rapporto di valutazione e autenticità, oltre a un contratto di acquisto e documenti bancari, che ne dimostravano la potenziale negoziabilità.

        E quindi perché una multa così alta?

        Secondo la legge italiana, chi trasporta beni o titoli di valore superiore ai 10.000 euro deve dichiararli alle autorità doganali. In caso contrario, scatta una sanzione proporzionata al valore del bene, pari al 30% del totale non dichiarato. L’uomo ha provato a sostenere che il bond avesse solo il valore “nominale” di 100 dollari, ma i giudici hanno ritenuto che i documenti in suo possesso – tra cui la perizia di autenticità e il contratto di compravendita – dimostrassero il contrario. Secondo la Corte, il titolo era “potenzialmente liquidabile” e quindi soggetto all’obbligo di dichiarazione.

        L’uomo ha tentato più volte di fare ricorso contro la sanzione

        Nel primo ricorso in Corte d’Appello, i giudici hanno confermato la legittimità della multa, ribadendo che l’ignoranza non è una scusa valida, soprattutto quando il possesso di documenti esplicativi dimostra la consapevolezza del valore del bene. La Cassazione ha confermato che l’uomo non ha dimostrato di aver agito con “ignoranza incolpevole” rispetto all’obbligo di dichiarazione. Anche la richiesta di ridurre l’importo della sanzione è stata rigettata. La Cassazione ha condannato così l’uomo al pagamento delle spese legali, per un ulteriore costo di 20.000 euro.

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          Storie vere

          Bari Vecchia in sciopero: le orecchiette rivendicano la loro autenticità!

          Le venditrici di orecchiette di Bari sono in rivolta contro quella che definiscono una “campagna denigratoria” nei loro confronti e hanno deciso di lasciare vuote le tavolate su cui ogni mattina dispongono i prodotti artigianali.

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            Mancava solo l’intervento di Papa Francesco e un commento di Donald Trump e avremmo fatto Bingo! La storia delle massaie delle orecchiette in sciopero ha tenuto occupata l’opinione pubblica nazionale per una settimana, con risvolti internazionali. A Bari Vecchia, nel pittoresco vicolo dell’Arco Basso, le massaie delle orecchiette, ambasciatrici della tradizione pugliese, hanno incrociato le braccia per difendere l’autenticità del loro prodotto. Per mezza giornata, le tavole di legno dove ogni giorno trasformano acqua e farina in piccoli capolavori sono rimaste vuote, lasciando delusi i turisti che ogni anno arrivano da ogni parte del mondo per comprare il simbolo della città. Ma che cos’è successo? Come spesso accade una serie di eventi hanno contribuito a creare un sospetto. Saranno tutte artigianali le orecchiette che acquistiamo nei vicoli della Bari Vecchia? E come si fa a distinguere quelle autentiche da quelle industriali? C’è un retrogusto di raggiro…

            Le orecchiette: simbolo di manualità e tradizione

            Le massaie di Bari Vecchia si difendono e contrattaccano. Non sono solo custodi di una tradizione secolare ma rappresentano un’arte che ha reso famoso il capoluogo pugliese anche fuori dai circuiti turistici classici. Ogni orecchietta fatta a mano racconta una storia, un legame intimo con la terra e la cultura della Puglia, dicono. Tuttavia, il recente aumento della domanda ha scatenato dubbi sull’autenticità di alcuni prodotti venduti nei vicoli della città vecchia, alimentando polemiche e sospetti.

            La “truffa delle orecchiette”: realtà o eccezione?

            La questione è esplosa con la diffusione di video e inchieste che hanno denunciato la vendita di orecchiette industriali, spacciate per artigianali. Il caso è diventato ancora più eclatante quando nei bidoni della città vecchia sono stati trovati cartoni di pasta di un pastificio di Altamura, alimentando il sospetto di una “truffa delle orecchiette”. Soprattutto a discapito dei turisti stranieri. Ma le massaie baresi non ci stanno. “Le nostre orecchiette sono tutte fatte a mano, ma dobbiamo farle essiccare per questioni di igiene. I turisti le portano in America, in Francia, e hanno bisogno di un prodotto resistente”, spiega Nunzia Caputo, storica pastaia e portavoce delle donne di Arco Basso. “Dateci regole chiare, vogliamo lavorare serenamente”, aggiunge, difendendo l’autenticità della loro arte.

            L’intervento del sindaco del capoluogo Vito Leccese

            In mezzo alla bagarre, il sindaco di Bari, Vito Leccese, ha deciso che era meglio chiarire alcune “cosssette“. E’ sceso in campo per tutelare la tradizione delle orecchiette artigianali, ma anche per garantire il rispetto delle norme igieniche e fiscali. “L’unica strada è seguire le regole”, ha dichiarato il primo cittadino, promettendo di valorizzare l’originalità delle orecchiette con l’introduzione di un marchio di qualità. L’obiettivo è chiaro: proteggere l’autenticità delle massaie e consolidare il ruolo delle orecchiette come simbolo identitario della città. Del resto la produzione delle orecchiette, e non solo, in pochi anni ha trasformato Bari Vecchia da luogo malfamato a meta turistica irrinunciabile. Tuttavia, l’aumento della domanda internazionale potrebbe aver spinto qualcuno a facili scorciatoie. Per questo è necessario distinguere chi resta fedele alla tradizione da eventuali furbetti, per preservare l’immagine autentica della città e delle sue pastaie.

            Tenere insieme turismo di massa ed eccellenze gastronomiche tradizionali

            Per le massaie di Bari Vecchia, le orecchiette sono più di un prodotto alimentare. Sono cultura, identità e legame con la propria terra. Lo sciopero è stato un gesto forte, ma il messaggio è stato altrettanto chiaro: “Non rinunceremo mai alla nostra tradizione. Le orecchiette vere siamo noi.”

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              Storie vere

              Conti in rosso, scandali finanziari e videoclip della pop star girato sull’altare. Monsignor Jamie Gigantiello rimosso dalla diocesi

              Bare colorate, milioni di dollari scomparsi e un sindaco incriminato. Monsignor Jamie Gigantiello si è messo nei guai e ora deve riconquistare ia fiducia dei suoi parrochiani.

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                Che parroco biricchino Monsignor Jamie Gigantiello. A Williamsburg, quartiere storico di Brooklyn, le mura della chiesa di Our Lady of Mount Carmel non tremavano così da anni. Ma questa volta non sono le campane a risuonare. Ma è Sabrina Carpenter, pop star internazionale. E cosa ha fatto Sabrina? Nel suo ultimo video musicale si è appropriata dell’altare per ballare accanto a bare colorate, in abito nero e con un carro funebre rosa. La performance, decisamente poco liturgica, ha scatenato una tempesta mediatica, e a pagarne il prezzo non è stata solo la reputazione della chiesa, ma anche quella del suo pastore, Monsignor Jamie Gigantiello che ha acconsentito di fare girare il videoclip.

                Quando il videoclip diventa “peccato mortale”

                Il parroco, Gigantiello, ha dichiarato che l’approvazione delle riprese è stato un “errore di giudizio“. Ma i parrocchiani, e probabilmente qualche santo in paradiso, non sembrano averlo perdonato. Il video incriminato intitolato Feather, mostra la Carpenter che, tra coreografie provocanti e scenari macabri, si prende gioco di uomini “tossici”. Tra i set scelti spicca proprio l’altare della storica chiesa di Brooklyn , dove il contrasto tra le bare sgargianti e la solennità del luogo ha fatto rabbrividire i fedeli. Apriti cielo… Anzi chiuditi subito!!

                Milioni di dollari e spese “divine”

                E mentre i fedeli erano ancora intenti a chiedersi “ma chi l’ha lasciata entrare?“, un’indagine più ampia ha rivelato che il parroco non si è limitato a errori di valutazione. Cìè qualcosa di pià grave e compromettente. Monsignor Jamie è finito al centro di uno scandalo finanziario. Tra il 2019 e il 2021, avrebbe trasferito ben 1,9 milioni di dollari dai conti della parrocchia verso quelli di Frank Carone, ex braccio destro del sindaco Eric Adams, attualmente indagato per corruzione. E non finisce qui. Si sospetta che il sacerdote abbia usato una carta di credito della chiesa per coprire “spese personali sostanziali”. Cene di gala? Tappeti persiani? O magari un palco privato per vedere Sabrina Carpenter in concerto? Il mistero resta.

                La caduta di Monsignor Jamie Gigantiello “parroco di Williamsburg”

                Gigantiello, punto di riferimento per la comunità cattolica di Williamsburg, è stato quindi rimosso dai suoi incarichi. La diocesi di Brooklyn, attraverso il vescovo Robert Brennan, ha deciso di affidare la parrocchia al vescovo Witold Mroziewski, sottolineando la necessità di “ristabilire fiducia” tra i fedeli. Ora, Monsignor Jamie potrà ancora celebrare la messa, ma solo con il permesso del suo successore.

                Gigantiello stregato da Sabrina regina del caos (e del Madison Square Garden)

                E nel frattempo, Sabrina Carpenter che fa? Ha cavalcato l’onda della controversia con nonchalance. Durante un concerto a New York, la cantante ha scherzato: “Dovremmo parlare di come ho fatto incriminare il sindaco?“. La battuta, ovviamente, ha scatenato risate e applausi tra il pubblico. D’altronde, chi avrebbe mai detto che una canzone pop potesse scoperchiare un calderone di scandali?

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