Società
Come sarà il Natale a Verona? La polemica del prete social contro l’albero fucsia
La critica del prete social di Verona contro l’albero di Natale color fucsia davanti alla sua chiesa.
Un albero stilizzato color fucsia, collocato davanti alla chiesa dello Spirito Santo a Verona, è diventato oggetto di una polemica che ha acceso i social e scatenato un dibattito politico-religioso. Don Ambrogio Mazzai, noto come il “prete social” con 370mila follower su TikTok e 90mila su Instagram, ha criticato aspramente l’installazione, definendola un “pistolotto fucsia”. Nel suo sondaggio online, la risposta più popolare tra i fedeli (40%) è stata: “Troppa frociaggine in Comune”, un termine già controverso usato da Papa Francesco. Don Mazzai ha poi spiegato che il suo intento era evidenziare la bruttezza dell’installazione, aggiungendo che anche se fosse stata verde sarebbe rimasta inadeguata.
Le reazioni politiche e sociali
La critica del prete ha suscitato reazioni indignate. Il segretario provinciale del PD, Franco Bonfante, ha accusato Mazzai di usare un linguaggio omofobo e ha invitato il sacerdote a scusarsi. Ha inoltre chiarito che l’installazione è stata curata dal gruppo AGSM-AIM, non dal Comune. Bonfante ha sottolineato che il problema non sembra essere solo di gusto personale, ma di una visione culturale ristretta, accostata alla recente polemica sollevata da Vannacci.
Don Mazzai: il prete social al centro delle polemiche fucsia
Don Ambrogio, ex studente di marketing e comunicazione, alterna riflessioni religiose a immagini quotidiane sui social. È abituato a coinvolgere la sua comunità digitale, ma questa volta il tono delle sue critiche ha diviso i follower. Pur sottolineando che il suo commento riflette un pensiero diffuso in città, il sacerdote è finito al centro di un acceso dibattito su rispetto, inclusività e ideologie.
Il contesto Vaticano
La polemica richiama il linguaggio usato da Papa Francesco in passato. Durante un recente incontro, il Papa avrebbe ribadito la necessità di prudenza sull’ammissione di persone con tendenze omosessuali nei seminari, sottolineando l’importanza di accoglienza e accompagnamento, ma senza ignorare i rischi delle ideologie.
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Società
Quella meravigliosa bugia del Natale che continua ad affascinarci
Scopriamo come la scienza ha analizzato le radici neurologiche del cosiddetto “spirito natalizio”, attraverso tecniche avanzate come la risonanza magnetica. Per comprendere come il nostro cervello interpreta e reagisce a questo particolare periodo dell’anno.
Che fine ha fatto il Natale? Come preservare l’eccezionalità di una festa dal significato così profondo dal consumismo, che rischia di distruggere il suo incanto? Questo è un periodo dell’anno che, al di là della festa religiosa, ha sempre rappresentato, anche per i non credenti, un momento di attesa e di gioia. I preparativi, le luminarie per strada, la vicinanza ai propri cari, lo scambio di doni e – ovviamente – la grande quantità di cibi tradizionali. A parte la valenza religiosa, queste festività sono un periodo davvero unico, in grado di trasmettere un’atmosfera magica e coinvolgente.
Entra in gioco anche la scienza
In molte persone genera un’onda di gioia contagiosa mescolata a nostalgia, creando ciò che comunemente definiamo lo “spirito natalizio“. La scienza, cercando di andare oltre le suggestioni, ha cercato di scandagliare tutto quella complessa ed articolata massa di aspetti psicologici, sociali e culturali che circondano questa festa così celebrata.
In Danimarca una specifica indagine universitaria
Quanti di noi siamo stati rimproverati di non abbracciare pienamente la magia natalizia? E invece quante volte, alla fine delle feste, abbiamo sperimentato sulla nostra pelle quel senso di malinconia misto a tristezza? Fenomeni che potrebbero essere generati dal cervello umano attraverso aree e processi specifici. Questo il fulcro di uno studio da parte di un gruppo di ricercatori danesi dell’Università di Copenaghen, che ha intrapreso un’affascinante indagine utilizzando la risonanza magnetica funzionale (nota anche con la sigla fMRI) per esplorare le possibili basi neurologiche dello spirito natalizio.
Risonanza magnetica funzionale
Si tratta di una tecnica in grado di rilevare l’attività cerebrale in specifiche aree, valutando i cambiamenti nel flusso sanguigno associati all’attività dei neuroni. In altre parole, quando un’area del cervello diventa più attiva (per esempio durante l’esecuzione di un’azione, formulando un pensiero oppure sperimentando determinate emozioni) si crea un aumento del flusso sanguigno in quella regione, perchè i neuroni attivi richiedono più ossigeno che viene trasportato dai globuli rossi. La fMRI individua le variazioni di flusso sanguigno, permettendo di studiare l’attività cerebrale e di esplorare una vasta gamma di processi cognitivi. Visto che è possibile rilevare emozioni e sentimenti come gioia, dolore e disgusto, i ricercatori universitari hanno pensato che fosse possibile individuare dove si genera il cosiddetto spirito natalizio, facendo luce su una prospettiva sorprendente: la maniera nella quale il nostro cervello interpreta e reagisce a questo periodo così speciale.
Il motivo di una simile analisi
La localizzazione dello “spirito natalizio”, secondo il team di studiosi, rappresenta un passo fondamentale per ampliare la nostra prospettiva sul ruolo del cervello nelle tradizioni culturali legate alle feste, offrendo un contributo di natura medica a diverse celebrazioni culturali e promuovendo un senso di universalità e di benessere collettivo.
Una messinscena che affascina i più piccoli
Il 25 dicembre è legato anche a quella che alcuni psicologi chiamano “la meravigliosa bugia”. Ovvero la narrazione che viene fatta ai bambini su Babbo Natale, che, al di là delle tradizioni e dei festeggiamenti, solleva questioni etiche e filosofiche anche serie sul corretto sviluppo psicologico dei bambini. Mantenere viva questa messinscena potrebbe, secondo una certa scuola di pensiero, influenzare la fiducia dei bambini verso gli adulti una volta che essi vengono a conoscenza della verità. Oltre a scatenare svariati interrogativi sulla natura della fede e sulla capacità critica dei bambini nel comprendere la realtà.
Ad ogni genitore la scelta
D’altro canto, alcuni esperti suggeriscono che svelare la verità su Santa Claus potrebbe aiutare i bambini a sviluppare un senso critico verso le narrazioni degli adulti, comprendendo che non tutto ciò che viene raccontato è necessariamente vero. Tutto questo, però, naturalmente a discapito della magia dell’infanzia… nel momento in cui si scopre che una figura così amata non è reale. Ad ogni genitore la scelta: dire la verità o preservare, almeno per un po’, l’innocenza dei propri figli? Visti i tempi dannati che siamo chiamati a vivere… un pizzico d’incanto proprio non guasta.
Società
Coppie Dink: niente figli, doppio stipendio e un nuovo modello di vita
Le coppie Dink spopolano sui social, specie negli Usa, ma si diffondono anche in Italia.
Le coppie Dink (Double Income, No Kids – doppio stipendio niente figli) rappresentano una nuova realtà sociale in crescita, specialmente sui social media e nei paesi occidentali, Italia compresa. Si tratta di coppie che scelgono consapevolmente di non avere figli, potendo così godere di due stipendi e concentrarsi sulla propria carriera e sulla qualità della vita. Questa scelta, considerata da molti egoista, per altri è simbolo di libertà e consapevolezza, oltre che una risposta ai cambiamenti economici e sociali del nostro tempo.
Cosa significa essere Dink
Le coppie Dink vivono senza figli, ma con due entrate economiche, il che permette loro di concentrarsi su relazioni personali, obiettivi di carriera e interessi individuali. In Italia, secondo i dati Istat, il fenomeno sta crescendo parallelamente al calo della natalità: nel 2023 le nascite sono diminuite del 3,4%, con una media di 1,21 figli per donna nel 2024. Negli Stati Uniti, le famiglie childfree sono passate dal 37% nel 2018 al 44% nel 2021, e in Inghilterra il 51% delle persone tra 35 e 44 anni ha dichiarato di non avere figli né di volerli in futuro. A sorprendere è che i motivi principali di questa scelta non sono legati a difficoltà economiche o problemi di salute, ma piuttosto a una visione diversa della vita e delle priorità.
Perché scegliere di essere Dink?
Secondo la psicologa e sessuologa Eleonora Sellitto, le motivazioni principali includono: il desiderio di libertà personale e tempo per sé stessi. Le coppie danno priorità alla carriera e agli obiettivi personali. Una minore pressione sociale rispetto al passato per avere figli. Il rifiuto del carico emotivo e psicologico legato alla genitorialità. La mancanza di riconoscimento del lavoro familiare, che grava ancora principalmente sulle donne. E infine la percezione della genitorialità è cambiata. Se in passato i figli rappresentavano una “ricchezza sociale”, oggi molte coppie vedono nella mancata genitorialità una strada per una vita più appagante e libera da vincoli. “Non scegliere di avere figli fa parte della nostra libertà, prima individuale e poi di coppia. L’importante è che il concepimento sia una scelta consapevole e d’amore, non un obbligo sociale“, conclude la psicologa.
Un fenomeno tra generazioni e contesti culturali
Sul fenomeno sociale le differenze generazionali sono marcate: la Gen Z e i Millennial (67% e 65% rispettivamente) spesso ritengono troppo gravoso l’impegno di essere genitori. La mancanza di stabilità economica, combinata con il desiderio di realizzazione personale, spinge molti a rinunciare ai figli. Al contrario, per la Generazione X e i Baby Boomer, la genitorialità era vista come una parte inevitabile della vita, in un contesto di maggiori certezze economiche e sociali.
La crescita del pet parenting
In alternativa ai figli, molte coppie Dink optano per un animale domestico, considerato meno impegnativo a livello emotivo ed economico. Per alcuni, un cane o un gatto rappresenta una forma di compagnia che non compromette il tempo o le risorse necessarie per coltivare altre passioni e obiettivi. Il fenomeno sta ridefinendo il concetto di famiglia, portando a un dibattito su priorità personali, valori sociali e cambiamenti culturali. Lungi dall’essere solo una scelta individuale, questa tendenza riflette una trasformazione profonda nella percezione della vita e del ruolo delle coppie nella società contemporanea.
Lifestyle
Che fine hanno fatto i biglietti da visita nell’era digitale?
Il biglietto da visita, sia cartaceo che digitale, continua a essere un elemento essenziale nel mondo professionale, adattandosi e evolvendosi con le tecnologie emergenti. La combinazione di tradizione e innovazione rappresenta la chiave per mantenere vivo questo rituale globale.
Nell’era della trasformazione digitale, potrebbe sembrare che i biglietti da visita siano destinati all’obsolescenza. Tuttavia, un’indagine ha raccolto dati internazionali e pareri di esperti, dimostrando che questo piccolo rettangolo di carta continua a plasmare le relazioni professionali adattandosi all’evoluzione tecnologica. I biglietti da visita cartacei coesistono con quelli digitali dotati di QR Code e quelli realizzati con realtà aumentata, confermando il loro ruolo cruciale nelle interazioni di lavoro.
L’impulso dei biglietti da visita digitali
Secondo HiHello, una delle piattaforme che realizza biglietti da visita, lo scorso anno ne sono stati condivisi oltre 13 milioni digitali. Market Research Future prevede una crescita significativa del 9,8% per questo settore, mentre il mercato globale dei cartacei, stimato a 1,3 miliardi di dollari nel 2021, continua a contrarsi ma a resistere.
Tra tradizione e innovazione
La chiave per il futuro dei biglietti da visita sembra essere un approccio che bilanci tradizione e innovazione. Mentre il biglietto da visita fisico rimane un potente strumento di connessione personale, il suo equivalente digitale offre nuove opportunità di networking interattivo e sostenibile.
Biglietti da visita in realtà aumentata
I biglietti da visita in realtà aumentata sovrappongono contenuti virtuali in 2D o 3D, offrendo una presentazione innovativa e coinvolgente del proprio ruolo e dell’azienda. Secondo Massimo Galli, consulente sulle terapie del linguaggio e delle relazioni “Questa trasformazione ha reso la connessione immediata e semplice, ma ha ridotto l’intimità dell’interazione. Parafrasando McLuhan, il medium digitale è diventato il messaggio, modificando come comunichiamo e cosa siamo. Le identità sono fluide e intercambiabili, dove la solidità del cartaceo lascia spazio alla fugacità del byte. Sta a noi umani riappropriarci della profondità e creare nuovi rituali che arricchiscano l’esperienza, ricordando che dietro ogni contatto digitale c’è comunque una persona reale“.
Una risorsa in vacanza
La natura digitale dei biglietti da visita consente di condividere i propri contatti professionali ovunque ci si trovi, senza la necessità di avere fisicamente con sé i biglietti cartacei.
Il fascino del rituale asiatico del biglietto da visita
Giappone
In Giappone, lo scambio di biglietti da visita, noto come “meishi koukan“, è un’introduzione formale e rispettosa. I biglietti vengono presentati con entrambe le mani, con il testo rivolto verso il destinatario. Ricevere un biglietto richiede un momento di attenta osservazione e un commento rispettoso. È considerato scortese mettere subito il biglietto in tasca; l’attività professionale non può iniziare finché non avviene questo scambio.
Cina
In Cina, i biglietti si presentano e ricevono con entrambe le mani. È apprezzato avere un lato del biglietto tradotto in cinese. Il rango e il titolo sono particolarmente importanti e dovrebbero essere evidenziati.
Corea del Sud
In Corea del Sud, lo scambio avviene all’inizio di un incontro, con la persona di rango inferiore che offre per prima il suo biglietto. È considerato irrispettoso scrivere sul biglietto ricevuto in presenza del proprietario.
India
In India, i biglietti vengono scambiati anche in contesti non lavorativi. Devono essere presentati con la mano destra, considerata la mano pura. Come in altri paesi asiatici, il biglietto va presentato con il testo rivolto verso il destinatario.
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