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Mistero

I guardiani invisibili: storie di elfi, fate e strade deviate

Elfi e le fate difendono la natura. In Islanda e Irlanda sono stati deviati i percorsi di due strade per non distruggere le loro case.

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    C’era una volta, in due terre magiche dove il cielo si tingeva d’argento e il vento cantava antiche melodie, un popolo nascosto e invisibile agli occhi degli uomini: quello composto da elfi e fate. Vivevano da sempre in armonia con la natura, proteggendo boschi, tundre e cespugli che chiamavano casa. In Islanda, li chiamavano Huldufolk, il “popolo nascosto”, mentre in Irlanda, dimoravano attorno ai fairy bush, gli incantati cespugli delle fate. Le loro dimore erano luoghi speciali, intrisi di bellezza e mistero. Non si potevano vedere i loro abitanti, ma se chiudevi gli occhi e ascoltavi il silenzio, sentivi che non eri solo. Questo, gli uomini, lo sapevano bene.

    Un’ombra minacciosa

    Ma un bel giorno come in quasi tutte le favole… qualcosa turbò la quiete di quei luoghi incantati. Grandi macchine e uomini in abiti arancioni arrivarono con mappe e progetti per costruire nuove strade. In Islanda, volevano tagliare una superstrada tra Reykjavik e la penisola di Alftanes. In Irlanda, un’autostrada avrebbe distrutto un fairy bush, una fortezza delle fate. Le creature invisibili, sconvolte, mandarono messaggeri silenziosi. Chi? Il vento sibilava più forte, le foglie danzavano con agitazione, e le notti diventavano stranamente inquietanti. Gli uomini attenti ai segni capirono. Quei luoghi non erano solo boschi o rocce. Erano le case degli elfi e delle fate, e violarle sarebbe stato un errore irreparabile.

    La voce del cuore

    In Islanda, un anziano saggio del dipartimento dei Trasporti, Petur Matthiasson, ascoltò i racconti di chi sentiva gli elfi lamentarsi tra le rocce. “Non accade tutti i giorni di dover deviare una strada per proteggere gli elfi,” disse, eppure comprese che rispettare quelle credenze era importante. La strada fu deviata, e le rocce sacre rimasero intatte. In Irlanda, fu un uomo speciale a difendere le fate: Eddie Lenihan, l’ultimo dei seanchai, i custodi delle antiche storie celtiche. Quando il progetto dell’autostrada minacciò il fairy bush, Eddie raccontò la leggenda che proteggeva quell’albero. “Chi lo danneggia,” avvisò, “sarà vittima di una maledizione.” Il consiglio fu ascoltato, e gli uomini decisero di aggirare l’albero sacro, lasciandolo al sicuro tra le sue radici.

    Le terre incantate rimangono vive

    Così, grazie al rispetto e alla saggezza, sia in Islanda che in Irlanda le strade si piegarono al volere della natura e delle sue creature invisibili. Non era solo una vittoria per elfi e fate, ma per tutti coloro che credono che l’armonia tra uomo e natura sia possibile. Alcuni dicono che siano stati gli uomini a salvare gli elfi e le fate. Ma altri sussurrano che sia stato il popolo nascosto a ricordare agli uomini il valore della terra. E se vi capiterà di camminare tra le tundre islandesi o lungo le colline irlandesi, fermatevi un attimo. Guardate le rocce o ascoltate il fruscio delle foglie. Chissà, forse anche voi potrete sentire il respiro di un mondo antico, che vive nel cuore della natura.

      Mistero

      Dante a la Spezia: non è un ritrovamento, ma un ritorno al futuro!

      Quando un post social accende entusiasmi, ma i documenti erano già in teca da un secolo.

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        Un post del sindaco de La Spezia, Pierluigi Peracchini, è riuscito nell’impresa di trasformare frammenti di manoscritti di Dante Alighierti, noti da decenni, in una “scoperta sensazionale“. Le foto di due pergamene trecentesche, che contengono brani del Purgatorio e del Paradiso della Divina Commedia, accompagnate dall’annuncio di “una scoperta straordinaria“, hanno fatto sognare la città e mandato in fibrillazione la stampa a caccia di scoop. Ma il sogno è svanito rapidamente: quei documenti sono tutt’altro che nuovi, come hanno prontamente ricordato gli esperti. Un vero e proprio abbaglio o una furbata pubblicitaria?

        Il “ritrovamento” che era già noto (da secoli)

        Le due famose pagine sono, in realtà, parte di un codice della Divina Commedia prodotto nel XIV secolo, appartenente al gruppo dei cosiddetti Danti del Cento. Tuttavia, non sono “pagine” nel senso moderno del termine, né fanno parte di una “prima edizione” (la stampa non esisteva ancora!). Si tratta di manoscritti già identificati nel 1890, studiati a lungo e addirittura usati come copertina di un registro notarile del Cinquecento. Da oltre un anno, sono persino visibili sul sito del Ministero della Cultura.

        La Pax Dantis: una pace, non una novità

        Il sindaco ha anche citato la “Pax Dantis”, ossia il documento del 1306 che sancì la pace tra la famiglia dei Malaspina e i vescovi di Luni, con Dante nel ruolo di diplomatico. Anche qui, nessuna scoperta. I documenti sono stati restaurati, pubblicati e ripetutamente esposti, come nella mostra del 2021 intitolata Dante nuncius specialis. Forse il termine latino ha confuso qualcuno, ma questi documenti sono tutto fuorché ignoti.

        Stampa e studiosi non vanno sempre d’accordo

        La vicenda è esplosa soprattutto per la complicità di alcuni media, pronti a dipingere l’Archivio della Spezia come il nuovo Eldorado della filologia dantesca. Tra i titoli più fantasiosi, c’è chi ha suggerito che quelle fossero addirittura “pagine originali” scritte da Dante stesso!!! Ma per chi si è fermato a leggere gli studi degli ultimi cento anni, la realtà era ben chiara. Infatti le reazioni degli studiosi è stata chiara: “State calmi, non è una scoperta“. Le storiche Enrica Salvatori e Eliana Vecchi hanno subito frenato l’entusiasmo. Salvatori ha definito l’annuncio un “cumulo di errori”, mentre Vecchi ha ricordato che i documenti sono già stati restaurati, studiati e perfino esposti in teche apposite. Insomma, si tratta di un patrimonio straordinario, ma conosciuto da tempo.

        Per Dante un malinteso social

        Invece di gridare al miracolo, l’episodio potrebbe rappresentare secondo alcuni spezzini di cultura, un invito a valorizzare davvero l’Archivio di Stato spezzino, con iniziative mirate e narrazioni storiche corrette. Alla fine, Dante resta un ambasciatore straordinario, ma anche lui non avrebbe potuto immaginare di ritrovarsi al centro di un simile “malinteso social“.

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          Cronaca

          Parte la caccia al galeone con un tesoro da 4 miliardi di dollari!

          Indipendentemente dall’esito della ricerca, il fascino e il mistero che circondano la Royal Merchant continueranno a catturare l’immaginazione di persone di tutto il mondo. Che il tesoro venga trovato o meno, la sua storia rimarrà parte integrante del folklore marittimo per sempre.

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            Un’ancora gigantesca, ripescata per caso davanti alle coste della Cornovaglia, ha riportato alla luce una storia leggendaria: quella dell’El Dorado of the Seas, con un tesoro stivato stimato oltre i 4 miliardi di dollari. Ora, parte la caccia per recuperare questo naufragio storico, con la speranza di riportare alla luce una fortuna sommersa per secoli.

            Il naufragio epico

            Nel 1641, la Royal Merchant, ribattezzata El Dorado of the Seas, affondò al largo di Lands End, nell’Inghilterra orientale, mentre tornava dal Messico. A bordo trasportava un carico incredibile: 45 tonnellate d’oro, 400 lingotti d’argento messicano e 500.000 “pezzi da otto”.

            L’ancora ritrovata

            Nel 2019, il peschereccio Spirited Lady tirò su un’ancora enorme, scatenando l’interesse degli esperti che ipotizzano appartenesse alla Royal Merchant. Questo ha dato il via alla nuova ricerca del tesoro secolare.

            La ricerca del tesoro

            La Multibeam Services, una società specializzata nel recupero di carichi marittimi con sede in Cornovaglia, ha pianificato una spedizione per il recupero del relitto. Utilizzeranno tecnologie avanzate come sommergibili telecomandati con sonar e telecamere per coprire un’area di 200 miglia quadrate del Canale della Manica.

            Investimenti e Costi

            La ricerca del tesoro avrà un costo di venti milioni di sterline, ma l’eventuale ritrovamento potrebbe valere miliardi. Multibeam Services assicura di avere il team e la tecnologia necessari per trovare il relitto, con oltre 35 anni di esperienza nel settore.

            La concorrenza

            Tuttavia, Multibeam non è l’unico interessato al tesoro. Altre società e individui potrebbero essere coinvolti nella caccia, poiché 4 miliardi di dollari sono una tentazione irresistibile per molti.

            La tecnologia all’avanguardia

            Multibeam utilizzerà sommergibili senza pilota dotati di sonar e telecamere di ultima generazione per esplorare i fondali marini e individuare il relitto. Questa tecnologia ha dimostrato di essere efficace nel trovare relitti precedenti.

            Le sfide legali

            Ricerche precedenti, come quella condotta dalla Odyssey Marine Exploration nel 2007, si sono scontrate con complicazioni legali riguardanti la proprietà del relitto. Sarà importante affrontare le questioni legali in modo chiaro e trasparente.

            Il ritorno della leggenda

            Il ritrovamento dell’ancora ha riportato alla ribalta una delle storie più leggendarie dei mari. La caccia al tesoro della Royal Merchant promette di essere un’avventura epica e potrebbe cambiare la fortuna di chiunque riesca a trovarla.

            L’attesa

            Mentre la Multibeam Services si prepara per la spedizione, il mondo tiene il fiato sospeso nell’attesa di notizie sul recupero del tesoro. Questo potrebbe essere il naufragio più ricco della storia, con enormi implicazioni finanziarie e storiche.

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              Mistero

              Rituali e miti Egizi: il mistero del vaso di Bes e l’intruglio allucinogeno del passato

              Gli antichi Egizi bevevano un mix di alcol, fluidi corporei e allucinogeni: la prova in una tazza di Bes.

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                Nel cuore del Tampa Museum of Art, tra le collezioni permanenti esposte nella mostra “Prelude: An Introduction to the Permanent Collection”, riproposta dopo varie integrazioni, brilla un pezzo unico che svela un aspetto intrigante dell’Antico Egitto. Si tratta di un vaso di Bes, la cui analisi scientifica ha rivelato segreti di antichi rituali religiosi. Questo manufatto, datato al periodo tolemaico, custodiva al suo interno residui di una miscela affascinante e allo stesso tempo molto inquietante. Si tratta di un intruglio di alcol, sostanze allucinogene e fluidi corporei. Questo miscuglio sembra aver avuto un ruolo simbolico e rituale, aiutando i partecipanti a rievocare la potenza di un mito epico legato alla divinità Bes e alla dea Hathor.

                La scoperta scientifica dietro il mito di Bes

                Il vaso di Bes è stato sottoposto a una serie di analisi avanzate, tra cui la spettroscopia infrarossa in trasformata di Fourier (FTIR) e l’estrazione di DNA antico. Le analisi hanno rivelato la presenza di sostanze come ruta selvatica, loto egiziano e una pianta del genere Cleome, tutte note per le loro proprietà psicotrope. Il contenuto era arricchito con ingredienti simbolici come miele, uva, semi di sesamo e pinoli, che contribuivano a rendere la miscela simile al sangue, evocando il mito dell’Occhio Solare. Secondo la leggenda, Bes riuscì a calmare l’ira della dea Hathor offrendole una bevanda allucinogena camuffata da sangue, inducendo in lei un sonno profondo e pacificante.

                Riti di evocazione e significato religioso

                Questa miscela non era solo una bevanda, ma un ponte verso il trascendente. Gli antichi Egizi la utilizzavano probabilmente in rituali che combinavano l’assunzione della sostanza con danze, canti e preghiere, tentando di ricreare un momento mitico di grande significato. La presenza di fluidi corporei nel composto, come saliva e sangue, potrebbe essere un simbolo di connessione tra umano e divino, oppure il risultato di pratiche di preparazione rituale.

                Bes, il protettore di tutti

                La divinità Bes, rappresentata come un nano grottesco con tratti leonini, è una figura enigmatica del pantheon egizio. Protettore della fertilità, delle partorienti e degli infanti, Bes era anche un dio popolare e accessibile. La sua immagine, spesso associata a rituali di protezione e gioia, viaggiò fino a raggiungere il Mediterraneo occidentale, portata dai navigatori fenici e cartaginesi.

                Una nuova luce sul passato

                Come ha sottolineato il professor Davide Tanasi della University of South Florida, il ritrovamento scientifico non solo conferma la veridicità di certi aspetti dei miti egizi, ma apre una finestra sui rituali poco conosciuti legati al culto di Bes e di altre divinità. Grazie a questa scoperta, la ricca cultura spirituale dell’Antico Egitto si arricchisce di nuovi dettagli, rivelando l’intima connessione tra mito, rituale e sostanze simboliche.

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