Politica
Fratelli d’Italia e il regalo di Natale a Giorgia Meloni: un letto per la nuova casa al Torrino
Con 50 euro a testa, i parlamentari del partito hanno acquistato un letto per la premier, destinato alla sua nuova casa nel quartiere sud di Roma. Un gesto simbolico che fa discutere.
Un regalo di Natale che fa sorridere, discutere e, perché no, alzare qualche sopracciglio. I parlamentari di Fratelli d’Italia hanno deciso di fare un dono alla loro leader, Giorgia Meloni, in occasione delle festività. La scelta è caduta su uno dei più tradizionali complementi d’arredo: un letto, destinato alla nuova casa della premier nel quartiere Torrino, a sud di Roma.
La notizia arriva da fonti interne al partito, che rivelano come l’idea del regalo sia nata da una colletta tra deputati e senatori. Cinquanta euro a testa il contributo richiesto per raccogliere la somma necessaria all’acquisto del cadeau. Una cifra che non grida certo allo sfarzo, ma che ha permesso di acquistare un simbolo di riposo e comfort per una leader impegnata a guidare il Paese.
Un regalo simbolico
Il letto non è solo un elemento d’arredo, ma anche un chiaro messaggio di vicinanza e sostegno a Meloni da parte del suo gruppo parlamentare. Un gesto semplice, che vuole essere un tributo alla fatica e alla dedizione della premier, alle prese con la complessa gestione del governo e i ritmi serrati della politica.
Tuttavia, non sono mancate le battute sul valore simbolico del regalo e sul contributo modesto richiesto ai parlamentari. Con 50 euro a testa, qualcuno ha sottolineato che la generosità non è stata esattamente da record.
Nuova casa al Torrino
La casa al Torrino, dove il letto troverà posto, rappresenta un nuovo inizio per Meloni e la sua famiglia. Un’abitazione lontana dal caos del centro romano, in un quartiere più tranquillo e riservato. Il gesto del gruppo parlamentare si inserisce in questo contesto, unendo l’utile al simbolico.
Un Natale al centro dell’attenzione
Il regalo dei parlamentari di Fratelli d’Italia a Meloni non è passato inosservato, con reazioni che oscillano tra l’apprezzamento e l’ironia. Tra i commenti sui social e nei corridoi della politica, il dono natalizio sembra aver centrato l’obiettivo: far parlare di sé, pur mantenendo un tocco di sobrietà.
In fondo, un letto è il luogo dove riposare, sognare e, chissà, trovare l’ispirazione per le decisioni che contano. Resta da capire se, simbolicamente, questo gesto sarà sufficiente a sostenere Meloni nei prossimi mesi di sfide e lavoro intenso.
Per ora, il letto al Torrino è già diventato un simbolo della politica natalizia italiana.
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Politica
Daniela Santanchè, nuove accuse: indagata per bancarotta fraudolenta nella vicenda Ki Group
Oltre 8,6 milioni di euro di passivo e un patrimonio netto negativo di 9,6 milioni. Santanchè si dichiara estranea alla gestione, ma i giudici parlano di insolvenza conclamata. L’inchiesta si aggiunge al caso Visibilia, dove la procura ha chiesto il rinvio a giudizio per falso in bilancio e truffa aggravata.
Daniela Santanchè, ministra del turismo e figura di spicco di Fratelli d’Italia, è al centro di una nuova bufera giudiziaria. La Stampa ha rivelato che è indagata con l’accusa di bancarotta fraudolenta nella vicenda della Ki Group srl, società dichiarata in liquidazione giudiziale a gennaio 2023. Santanchè avrebbe appreso della sua iscrizione nel registro degli indagati dalla notifica di una richiesta di proroga delle indagini da parte della procura.
Oltre alla ministra, fra gli indagati figurano il suo ex compagno Giovanni Canio Mazzaro, il fratello Michele Mazzaro, Antonino Schemoz e altre due persone. Questa nuova accusa si somma al procedimento già in corso su Visibilia, per cui la procura ha chiesto il rinvio a giudizio con le accuse di falso in bilancio e truffa aggravata ai danni dello Stato.
Il fallimento di Ki Group
La vicenda della Ki Group srl si è conclusa a gennaio con la liquidazione giudiziale, equivalente al fallimento secondo le nuove procedure del diritto civile. Il tribunale fallimentare di Milano ha riscontrato un passivo di oltre 8,6 milioni di euro e una perdita d’esercizio di 11,8 milioni, con un patrimonio netto negativo di 9,6 milioni già nel bilancio precedente.
I giudici hanno definito “manifestamente implausibile” il piano di concordato semplificato presentato dalla società nel tentativo di evitare il fallimento. Le motivazioni parlano di uno “stato di definitiva incapacità dell’impresa di fare fronte regolarmente alle proprie obbligazioni”, aggravato dal mancato deposito del bilancio a dicembre 2022 e dalla mancata soluzione della crisi finanziaria.
Ki Group è solo una delle società della galassia Santanchè a essere finita in liquidazione. Sono state dichiarate fallite anche Biofood, Verdebio e Bioera, quest’ultima coinvolta in un tentativo di salvataggio disperato per finanziare proprio Ki Group. Resta ancora incerto il destino di Ki Group Holding, su cui pende un’altra istanza di liquidazione.
La posizione di Santanchè
La ministra ha sempre sostenuto di essere estranea alla gestione della Ki Group, nonostante abbia ricoperto il ruolo di presidente e legale rappresentante dal 2019 al 2021. Le accuse, tuttavia, continuano ad accumularsi, mettendo ulteriormente in difficoltà la figura politica di Santanchè e sollevando interrogativi sulla trasparenza e sulle responsabilità nei suoi incarichi societari.
Politica
Salvini è stato assolto: appena arrivata da Palermo la sentenza su Open Arms
Il verdetto, letto dal presidente Roberto Murgia, arriva dopo otto ore di camera di consiglio. La procura aveva chiesto sei anni di reclusione. Salvini: “Assolto per aver difeso l’Italia”. Il caso Open Arms si conclude con una sentenza destinata a far discutere.
Matteo Salvini è stato assolto. Dopo tre anni di processo, 24 udienze e un dibattimento che ha polarizzato l’opinione pubblica, il tribunale di Palermo ha deciso che il vicepremier e leader della Lega non ha commesso reati nella gestione della vicenda Open Arms. La sentenza è stata letta oggi dalla seconda sezione penale, presieduta da Roberto Murgia, con i giudici a latere Andrea Innocenti ed Elisabetta Villa. Il verdetto è arrivato dopo otto ore di camera di consiglio.
Salvini era accusato di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio per aver trattenuto, nell’agosto 2019, 147 migranti soccorsi in mare a bordo della nave Open Arms. L’allora ministro dell’Interno aveva adottato la linea dei “porti chiusi”, una decisione che secondo l’accusa configurava un abuso di potere, causando gravi ripercussioni per i migranti coinvolti, tra cui minori e persone in condizioni di salute precarie.
La procura aveva richiesto sei anni di reclusione, ribadendo le sue posizioni anche nella giornata di oggi. Alla lettura della sentenza era presente il procuratore capo di Palermo, Maurizio de Lucia.
Il cuore del processo: atto politico o abuso di potere?
La vicenda ha ruotato attorno a una domanda centrale: il divieto di sbarco imposto da Salvini era un atto politico legittimo o un abuso dei suoi poteri di ministro dell’Interno? La difesa, guidata dall’avvocata Giulia Bongiorno, ha insistito sulla prima tesi, sottolineando che le decisioni di Salvini miravano a tutelare la sicurezza nazionale e la sovranità italiana.
La linea difensiva ha trovato sostegno anche fuori dall’aula, con il magnate Elon Musk che, alla vigilia della sentenza, aveva espresso supporto per il leader della Lega.
Una sentenza che divide
La decisione del tribunale non cancella le polemiche che hanno accompagnato il caso. Gli ex alleati di governo, come Giuseppe Conte e Luigi Di Maio, avevano descritto le scelte di Salvini come unilaterali e non condivise in Consiglio dei Ministri. Ma per la giustizia, quelle azioni non configurano reati penali.
Salvini, visibilmente sollevato, ha commentato: “Sono stato assolto per aver difeso l’Italia. Dedico questa vittoria ai miei figli e agli italiani”. La sentenza, sebbene definitiva in primo grado, segna un punto di svolta per la carriera politica del leader leghista, rinforzando il suo ruolo nell’attuale governo e aprendo nuovi scenari di consenso politico.
Conclusione di una vicenda controversa
Il caso Open Arms è stato molto più di un processo penale: è diventato un simbolo dello scontro tra politiche migratorie, diritti umani e strategie elettorali. La sentenza di oggi chiude formalmente un capitolo, ma il dibattito sulle responsabilità politiche e morali di quei giorni resta aperto. Una cosa è certa: il confine tra difesa nazionale e diritti individuali si conferma una questione centrale per l’Italia e per la sua democrazia.
Politica
La guerra (negata) tra Meloni e Mediaset: un conflitto fatto di ciuffi, dossier e ritorsioni
Dalla vicenda Giambruno agli ultimi sviluppi con Maria Rosaria Boccia, il rapporto tra la premier e il network dei Berlusconi è segnato da continui scontri, smentite e atti ostili. Un conflitto che si gioca tra accuse di dossieraggio e colpi al cuore del Biscione, mentre Mediaset potrebbe tornare a flirtare con la sinistra.
Cosa mai potrebbero avere in comune Maria Rosaria Boccia e Andrea Giambruno, oltre a un ciuffo che sfida le leggi della gravità? Sembrerebbe poco, se non fosse che entrambi sono diventati, loro malgrado, protagonisti di un conflitto silenzioso ma sempre più evidente tra il governo di Giorgia Meloni e l’impero mediatico dei Berlusconi. L’intervista a Mediaset di Boccia, annunciata e poi misteriosamente cancellata dal talk show di Bianca Berlinguer, è solo l’ultimo atto di una guerra fredda che dura ormai da tempo.
Un’invasione inaspettata: Maria Rosaria Boccia a Mediaset
Maria Rosaria Boccia, esperta pompeiana ed ex consulente dell’ormai ex ministro Gennaro Sangiuliano, doveva apparire su Rete4, ma la sua intervista è stata cancellata all’ultimo minuto. Un atto in cui in molti hanno voluto leggere un’intervento della premier Meloni, irritata per le possibili accuse alla sorella Arianna. Dopo un invito, quello di Bianca Berlinguera a Mediaset, che la premier ha subito classificato come un ‘atto ostile’. Ma questa non è certo la prima volta che i rapporti tra il governo e Mediaset sono stati messi alla prova. Il caso Boccia va infatti ad arricchire un archivio già corposo di tensioni, minacce e ritorsioni che si sono susseguite negli ultimi due anni.
Il caso Giambruno: un ciuffo che fa tremare Palazzo Chigi
Ricordiamo tutti la celebre vicenda di Andrea Giambruno, il giornalista di Rete4 e all’epoca compagno della premier. Quando i fuorionda compromettenti sono stati mandati in onda da Striscia la Notizia, a Fratelli d’Italia non hanno certo preso bene l’attacco. Si parlò di “dossieraggio” e si accusò apertamente Mediaset di cannoneggiare Palazzo Chigi. La situazione precipitò rapidamente, portando alla fine della relazione tra Giambruno e Meloni, e a un temporaneo crollo in borsa dell’azienda dei Berlusconi. Solo l’intervento pacificatore di Marina Berlusconi riuscì a calmare le acque, con la presidente di Fininvest che definì Meloni “una donna che stimo molto”.
La guerra degli spot: Rai contro Mediaset
Ma le tensioni non si fermarono lì. Poco dopo, il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, propose di innalzare il tetto della pubblicità per la Rai, una mossa vista da Forza Italia come un colpo diretto al cuore del Biscione. Non era la prima volta che si parlava di tagliare il canone e di aumentare gli spot per la Rai, e non sarebbe stata l’ultima. Quando Forza Italia mostrò una certa rimonta alle Europee a discapito della Lega, Salvini non perse tempo a brandire nuovamente quella pistola sul tavolo, rilanciando l’idea di tagliare il canone Rai.
Pier Silvio Berlusconi e il ruolo di Mediaset
In questo contesto, il rapporto tra Rai e Mediaset continuò a deteriorarsi. Pier Silvio Berlusconi accusò la Rai di mancato servizio pubblico e di comportarsi come una tv commerciale per inseguire ascolti in calo. Tuttavia, il gelo tra Meloni e il figlio del Cavaliere si sciolse temporaneamente dopo un incontro che portò la premier a ritornare negli studi di rete4, a Quarta Repubblica. Seguì una fase di relativa calma, durante la quale il governo sembrava favorire Mediaset con un decreto che riduceva i fondi per le produzioni indipendenti come Sky e Netflix, guadagnandosi l’appellativo di “pro Mediaset”.
L’eskimo della sinistra: Mediaset flirta con la dem Schlein?
Tuttavia, i rapporti si incrinarono di nuovo quando Marina Berlusconi criticò apertamente il governo sui diritti civili, palesando una certa simpatia per Elly Schlein, leader del PD. Una mossa che innervosì non poco gli alleati di destra, preoccupati che Mediaset potesse tornare a indossare l’eskimo della sinistra, come osservò il Foglio nei mesi bui della crisi Giambruno.
Un conflitto negato, ma evidente
Così, tra accuse di dossieraggio, ritorsioni economiche e colpi bassi mediatici, la tensione tra il governo Meloni e Mediaset continua a crescere. Ufficialmente, entrambe le parti negano ogni ostilità, ma i segnali di una guerra fredda sono ormai evidenti. Forse non sarà un conflitto dichiarato, ma le schermaglie tra Palazzo Chigi e la galassia Berlusconi sono destinate a continuare. E mentre il ciuffo di Giambruno e quello di Boccia ondeggiano nel vento delle polemiche, resta da vedere chi vincerà questa battaglia sotterranea.
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