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Punti di svista

Condono No Vax, un precedente che sa di resa

E’ ufficiale la versione definitiva con la “bollinatura” della Ragioneria dello Stato sul decreto milleproroghe che cancella le multe ai no vax del Covid . Ma senza la possibilità per chi ha già pagato la sanzione di chiedere il rimborso. Una decisione che nella maggioranza apre una crepa.

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    E alla fine (forse) il governo ha deciso: niente multe ai No Vax. Un colpo di spugna su quelle sanzioni introdotte per chi, in piena pandemia, ha scelto di ignorare l’obbligo vaccinale. «pace sociale», la spiegazione ufficiale che in realtà si può leggere come una resa.

    Un ceffone verso chi ha rispettato le regole

    La pace sociale infatti non si costruisce premiando l’irresponsabilità, e questa decisione sa tanto di schiaffo a chi, in quei mesi bui, ha fatto sacrifici enormi per proteggere se stesso e gli altri, anche e soprattutto di fronte a chi urlava sui social contro una inesistente «dittatura sanitaria».

    La polemica si scatena

    La decisione ha creato molte polemiche, in ambito medico ovviamente, ma anche politico, pure all’interno della stessa maggioranza di governo dove le voci critiche sono molte. Perché no, non vale tutto. E non si può fare ciò che si vuole quando ci pare. In uno stato democratico e civile, se c’è una legge, piaccia o no, si rispetta. Certo, esiste il diritto di critica ma siamo onesti: i tempi delle battaglie sociali contro leggi liberticide sono, per fortuna, lontani. Almeno nel nostro Paese.

    Un messaggio pericoloso

    Il messaggio, grave, che passa da questo provvedimento è infatti che le regole valgono solo per chi ha la decenza di rispettarle. E non stiamo parlando di un condono per una multa per divieto di sosta ma della mancata volontà di ribadire, una volta di più, che esistono comportamenti collettivi a cui nessuno può sottrarsi senza conseguenze. A prescindere dalla legge. E a maggior ragione secondo la legge.

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      Dalla Milano da bere a quella del… non fumare

      Secondo l’OMS un fumatore è in grado di produrre 5 tonnellate di anidride carbonica nell’arco della vita.
      Dal 1° gennaio 2025 il divieto di fumo nella metropoli sarà esteso a tutte le aree pubbliche all’aperto, incluse vie e strade, a eccezione delle apposite aree isolate in cui è possibile rispettare la distanza di 10 metri dalle persone.

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        E dal primo gennaio, a Milano, accendersi una sigaretta all’aperto sarà come cercare parcheggio in centro: vietato, o comunque quasi impossibile. Colpa, o merito, della decisione del sindaco Beppe Sala di vietare il fumo in parchi, fermate dei mezzi pubblici e anche allo stadio. Se vuoi fumare, o trovi un angolino isolato o te la accendi a casa tua. E stop.

        Dibattito aperto all’ombra della Madonnina

        La Milano da bere si trasforma così nella Milano da non fumare. Un cambio d’immagine epocale per una città che ha fatto del glamour e della libertà chic il suo cavallo di battaglia e che or si scopre improvvisamente proibizionista. Un bene, perché non si impone ai non fumatori di respirare il fumo altrui o un male perché si limita la libertà individuale? Il dibattito in città è aperto.

        Chi esulta e chi si lagna

        Da una parte, si potrà finalmente respirare aria fresca, o meglio, appena meno tossica e inquinata di quella figlia di traffico e cantieri perenni. Dall’altra, gli irriducibili delle bionde sono sulle barricate. Dopo i divieti, sacrosanti, all’interno dei locali, ora anche lo stop all’aperto, che per molti è un’esagerazione del tutto inutile. E poi: chi controllerà se mancano uomini e mezzi?
        Basterebbe un po’ buonsenso, perché finché c’è chi fuma accanto a un bambino o una donna incinta fregandosene bellamente, il problema esiste, al di là delle norme. In ogni caso, Milano si conferma una città laboratorio. Una ventata di aria nuova. Magari non pura e inquinata lo stesso. Ma comunque, nuova.

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          La lezione social a margine della strage di Magdeburgo

          Anche nelle tragedie e nel dolore emerge una piccola ma non banale lezione per tutti, specie per i frequentatori dei social: mai commentare senza conoscere precisamente i fatti.

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            Morti, feriti e un clima di paura nel cuore dell’Europa che non si respirava da tempo. La strage di Magdeburgo ha colpito e scosso tutti anche perché un attentato del genere, in un luogo di pace e festa come un mercatino di Natale non può non generare terrore. Ma mentre le autorità chiariranno con certezza i perché e i come di una strage così assurda, c’è un fatto che è balzato subito agli occhi.

            La necessità di trovare per forza un “nemico” da odiare

            Nei momenti immediatamente successivi alla strage, sui social sono spuntati migliaia di commenti che accusavano a caso immigrati, frontiere aperte, musulmani, islamici e chiunque nel giro di un secondo è stato individuato come «nemico». Senza cognizione di causa. Senza sapere nulla. Migliaia di persone con la bava alla bocca pronte a mettere al rogo chiunque, basta trovare un colpevole che sia affine ai propri gusti.

            Una lezione per tutti

            Nel giro di breve emerge che l’attentatore non è un estremista islamico, un jihadista o un miliziano ma un medico, arabo, estremista sì, ma anti-islam. Ecco che nella tragedia e nel dolore, emerge una piccola ma non certo banale lezione per tutti, soprattutto per i frequentatori del mondo social: mai, mai commentare senza conoscere i fatti precisi!

            Prima di parlare… informati

            Cosa costa informarsi, per bene, prima di vomitare il proprio odio in Rete? Non vale la pena attendere qualche minuto, qualche ora, invece di fare pessime figure? Tra chi lo fa per pura malafede e per fomentare gli animi e chi lo fa per mera ignoranza, in questo caso, poco cambia. Dice il proverbio: «Che silenzio ci sarebbe se si parlasse solo di quel che si conosce». Ecco, vale anche per i social. E vale anche per fatti drammatici come l’attentato di Magdeburgo.

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              Campioni d’ignoranza

              Primi secondo l’OCSE nella particolare “arte” del leggere ma non comprendere: è questo l’amano primato di noi italiani, in un paese dove l’educazione pare rappresentare un èroblema secondario.

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                E andiamo! Siamo di nuovo primi. Cioè, ultimi ma comunque sempre primi. Poco importa che sia ormai l’unico sport in cui eccelliamo a livello globale: l’analfabetismo funzionale. Un recente studio OCSE ci assegna l’oro nella categoria “adulti che leggono ma non capiscono”, surclassando gli altri Paesi industrializzati. Sono soddisfazioni…

                Leggo ma non comprendo

                Secondo i dati, un terzo degli italiani adulti è incapace di interpretare un testo semplice o risolvere un problema quotidiano basilare. Sa leggere sì, ma non capisce ciò che legge. E molto spesso poi pontifica al bar o sui social mostrando competenze che in realtà non ha.
                Ma non è un caso. L’educazione, si sa, non è prioritaria nel Belpaese. Magari lo sarà dopo l’ennesima riforma scolastica che nessuno legge perché scritta in burocratese.

                Selfie prioritario

                O forse, il problema è il contesto: come si fa a concentrarsi su un testo scritto quando sei impegnato a fotografare il piatto che hai ordinato per postarlo sui social? E a cosa serve leggere un articolo quando dal titolo abbiamo già capito tutto? E dai… è questione di priorità.

                Guardiamo il bicchiere mezzo pieno

                Ma c’è anche un lato positivo: l’analfabetismo funzionale è fantasticamente inclusivo. Vale per i politici, gli influencer, le casalinghe disperate e anche gli studenti. Un bel segnale di uguaglianza sociale per un Paese dove tutti sanno tutto, tutti parlano di tutto ma molti, moltissimi, non sanno nulla di quello di cui parlano.

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