Italia
Mario Tozzi: «I Campi Flegrei sono il nostro supervulcano. Non si può vivere sopra a un rischio così»
I Campi Flegrei, un pentolone sotterraneo di magma ribollente, rappresentano una minaccia concreta. Tra crisi bradisismiche e terremoti, Mario Tozzi invita alla prevenzione e critica l’urbanizzazione selvaggia che ha cancellato la memoria dei vulcani. Senza un piano d’azione e cittadini consapevoli, anche un allarme con 72 ore d’anticipo potrebbe essere inutile.
Mario Tozzi, primo ricercatore del Cnr e noto volto di Sapiens su Rai3, non usa mezzi termini per descrivere il rischio rappresentato dai Campi Flegrei: «Sono il nostro supervulcano, quello davvero pericoloso, più del Vesuvio. È un pentolone sotterraneo pieno di magma ribollente, capace di sprigionare eruzioni esplosive potenzialmente devastanti». Tozzi punta il dito contro l’urbanizzazione selvaggia che ha portato 500-600mila persone a vivere in quest’area ad altissimo rischio: «Piuttosto che persuadere la gente ad andarsene, abbiamo invitato a costruire e vivere lì. È stato cancellato tutto: la memoria, i vulcani stessi, nascosti sotto ospedali, quartieri, città».
Il supervulcano nascosto
Il geologo sottolinea come dei 29 vulcani e centri eruttivi dell’area, solo la Solfatara e gli Astroni siano ancora visibili. Gli altri sono stati sepolti da asfalto e cemento. «Nel 1538 nacque in pochissimi giorni un vulcano di tutto rispetto, il Monte Nuovo», ricorda Tozzi, «e continuiamo a trattare i Campi Flegrei come un territorio qualsiasi».
Con l’attuale crisi bradisismica, che potrebbe sfociare in terremoti di magnitudo fino a 5, Tozzi non nasconde la sua preoccupazione: «Non sappiamo se è il magma che spinge, ma i terremoti continueranno». L’ultimo sisma di Casamicciola, di magnitudo 4.2, è stato sufficiente a causare morti e distruzioni, e lo scenario flegreo potrebbe essere ben peggiore.
Prevenzione e consapevolezza
«I parametri come i terremoti, il rigonfiamento della crosta terrestre e la temperatura delle fumarole vengono monitorati costantemente dall’Osservatorio Vesuviano-Ingv», spiega Tozzi. «Se dovesse avvicinarsi un’eruzione, potremmo avere un preavviso di 72 ore. Ma la domanda è: sapremmo utilizzare quel tempo?».
Secondo Tozzi, mancano esercitazioni adeguate e un’effettiva consapevolezza da parte dei cittadini. «Convincere mezzo milione di persone a scappare lasciando tutto a casa, auto comprese, e recarsi in un punto di raccolta per salire su mezzi pubblici diretti chissà dove non è semplice. Senza una preparazione adeguata, rischiamo di sapere dell’eruzione con anticipo ma di ritrovarci con le strade intasate».
Un rischio che dipende da noi
Tozzi critica anche le richieste di un sisma-bonus per mettere in sicurezza le abitazioni. «Contro i terremoti è utile, ma contro le eruzioni esplosive non serve a nulla. In quel caso, l’unica soluzione è andarsene».
Infine, Tozzi invita a un cambiamento culturale: «Il rischio vulcanico nei Campi Flegrei non dipende solo dal supervulcano, ma soprattutto da noi. Serve una mentalità diversa, amministratori che facciano rispettare le regole e uno Stato che investa seriamente in prevenzione per le regioni a rischio».
La crisi dei Campi Flegrei è un monito: affrontare il rischio significa non solo monitorarlo, ma prepararsi ad affrontarlo, consapevoli che la natura non fa sconti.
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Italia
Papa Francesco contro le suore “acide” e il bullismo: “Facce d’aceto? Non attirano nessuno!”
Durante un’udienza alle missionarie della scuola e ad associazioni cattoliche, Papa Francesco ha parlato di bullismo, cultura della pace e il ruolo della Chiesa nell’educazione. Con un monito ironico: “Le suore con la faccia di aceto non fanno bene a nessuno!”.
Papa Francesco non le manda a dire, nemmeno alle suore. Durante un’udienza con le partecipanti al XV Capitolo generale elettivo dell’Unione Santa Caterina da Siena delle Missionarie della Scuola, il Pontefice ha affrontato diversi temi con la schiettezza che lo contraddistingue. E non ha risparmiato una tirata d’orecchi alle religiose meno affabili: «A volte nella mia vita ho trovato qualche suora che aveva la faccia ‘di aceto’. Questo non è affabile, non aiuta ad attirare la gente. L’aceto è brutto e le suore con la faccia di aceto… non parliamone!».
Il suo invito, che suona quasi come un imperativo morale, è quello di adottare “uno stile di vita affabile e amorevole verso tutti, specialmente verso i giovani”, come insegnava la fondatrice dell’Unione, la venerabile Luigia Tincani. Non bastano preparazione teologica e professionale: l’affabilità è il vero biglietto da visita per chi rappresenta la Chiesa.
Il discorso di Francesco, però, non si è fermato a qualche sorriso in più. Ha esortato le religiose a vivere una fede attiva, sempre in cammino: «Capire il presente per immaginare il futuro. Essere ferme? No, i morti sono fermi. Bisogna camminare insieme con la Chiesa».
Ma l’ironia ha lasciato spazio anche alla severità quando il Papa ha parlato ai rappresentanti dell’Uciim, dell’Aimc e dell’Agesc, affrontando il tema del bullismo nelle scuole: «Con il bullismo ci si prepara alla guerra, non alla pace». Un’affermazione forte, ma necessaria, secondo Francesco, che ha poi coinvolto direttamente i presenti: «Mai fare il bullying! Lo diciamo tutti insieme? Mai fare il bullying! Coraggio e avanti».
L’educazione, per il Pontefice, non è solo trasmissione di nozioni, ma il fondamento di una cultura che mira all’inclusione, al discernimento e alla responsabilità collettiva: «La scuola deve porre le basi per un mondo più giusto e fraterno, un luogo dove immaginare la pace e affrontare le sfide globali come le crisi ambientali, sociali ed economiche».
Francesco non si è limitato a indicare la strada, ma ha sottolineato anche l’importanza della speranza come motore del cambiamento: «La speranza supera ogni desiderio umano, perché apre le menti e i cuori sulla vita e sulla bellezza eterna».
Insomma, che si tratti di educatori o suore, il messaggio del Papa è chiaro: un atteggiamento cupo e rigido non costruisce ponti, mentre sorrisi e affabilità possono cambiare il mondo, un gesto alla volta.
Italia
Le origini del mito della Befana: tra antichi riti e tradizioni popolari
Dietro la storia della Befana, simbolo dell’Epifania, si intrecciano tradizioni pagane, miti legati alla natura e significati cristiani. La vecchietta che porta doni ai bambini ha attraversato secoli di credenze e riti, evolvendosi in un’icona senza tempo della cultura italiana
La Befana, la simpatica vecchietta che vola su una scopa portando doni o carbone ai bambini la notte tra il 5 e il 6 gennaio, è una figura profondamente radicata nella tradizione italiana. Ma da dove nasce questo mito? La sua origine è antichissima e affonda le radici in riti pagani legati alla natura e alla fertilità, successivamente adattati e cristianizzati nel contesto dell’Epifania.
I legami con i riti pagani
Prima dell’avvento del cristianesimo, molte popolazioni europee celebravano la fine dell’anno con riti dedicati alla natura e alla rinascita. In questo contesto, la figura della Befana potrebbe essere collegata alle antiche divinità femminili come Perchta, dea germanica della fertilità e protettrice della terra, oppure alla dea Diana, venerata dagli antichi Romani come signora della caccia e della natura.
Secondo alcune teorie, la Befana rappresenta la vecchia madre natura, che, con l’inizio del nuovo anno, si trasforma per lasciare spazio alla rinascita. La sua immagine anziana e non più fertile riflette la terra che si prepara al risveglio primaverile dopo il freddo dell’inverno.
Il simbolismo del carbone e dei doni
Il carbone, temuto dai bambini che non si sono comportati bene, rappresenta simbolicamente i residui dell’anno passato: un ammonimento, ma anche un augurio di purificazione. I dolci e i regali, invece, sono segni di abbondanza e prosperità, che rimandano alle offerte che gli antichi facevano alle divinità durante i riti di passaggio tra l’anno vecchio e quello nuovo.
La cristianizzazione della Befana
Con la diffusione del cristianesimo, molte tradizioni pagane furono reinterpretate in chiave religiosa. La figura della Befana si intreccia con la celebrazione dell’Epifania, che ricorda la visita dei Re Magi a Gesù Bambino. Secondo una leggenda, i Magi, nel loro viaggio verso Betlemme, chiesero indicazioni a una vecchietta e la invitarono a unirsi a loro. La donna, inizialmente restia, cambiò idea troppo tardi e, non riuscendo più a raggiungerli, iniziò a distribuire doni a tutti i bambini nella speranza di trovare il piccolo Gesù.
La Befana nella cultura popolare
Nel corso dei secoli, la Befana è diventata una figura centrale della cultura popolare italiana. Le sue rappresentazioni variano da regione a regione, ma l’immagine più comune è quella di una vecchietta con un naso adunco, vestiti logori e una scopa, che rappresenta l’umiltà e la semplicità.
In molte città italiane, come Urbania nelle Marche, si tengono ancora oggi feste spettacolari in onore della Befana, con sfilate, spettacoli e la distribuzione di dolci ai bambini.
La tradizione della calza
Il rito di appendere una calza al camino o vicino alla finestra nasce probabilmente dalla tradizione contadina di lasciare offerte ai visitatori divini o agli spiriti benevoli. La calza simboleggia l’attesa e la speranza di ricevere qualcosa di buono, e la Befana risponde riempiendola con dolci per i bambini buoni e carbone per quelli monelli.
Una figura che resiste al tempo
Oggi la Befana rimane un’icona della cultura italiana, unendo tradizione e magia. È amata da grandi e piccini, rappresentando il fascino di una festa che chiude il periodo natalizio con un sorriso e un pizzico di mistero.
La sua leggenda, pur evolvendosi nel tempo, continua a essere tramandata di generazione in generazione, mantenendo vivo uno dei simboli più autentici delle nostre radici culturali.
Italia
Milano mia, portami via… ma lasciami qualche spicciolo!
All’ombra della Madonnina si spende e si spande… anche se – visti i prezzi – uno stile di vita più morigerato sarebbe consigliato.
Il Professore e cantautore Roberto Vecchioni, prima di diventare il pigmalione del giovane Alfa (col quale l’anno scorso a Sanremo si è pure esibito), cantava in Luci a San Siro:
Milano mia, portami via,
fa tanto freddo, ho schifo e non ne posso più…
E visto che il cantautore di Luci a San Siro è stato anche uno stimato professore di liceo classico, per quei pochi che non lo sanno cosa sia esattamente la figura del “pigmalione” urge una breve spiegazione. Nell’uso comuno, chi assume il ruolo di maestro nei confronti di persona rozza e incolta – non se ne abbia a male Alfa che, musica a parte, appare un ragazzo carino ed educato – viene definito tale. Personaggio del mito greco, sovrano di Cipro – secondo Arnobio – o semplice cittadino cipriota stando a Clemente Alessandrino, si sarebbe innamorato di una statua della dea Afrodite conservata dai cretesi da lungo tempo. Il pigmalione è colui che plasma la personalità del suo protégé, sviluppandone le doti naturali ed affinandone i modi.
L’Istat sentenziò
Probabilmente il “Proff”, con quella frase, mostrava insofferenza verso una città della quale non riconosceva più i tratti distintivi di un tempo. Eh sì… perchè la metropoli meneghina, secondo i recenti dati Istat legati al tasso d’inflazione, in termini di aumento del costo della vita risulta fra le prime. All’ombra della Madonnina l’inflazione dell’1,4% si traduce nella maggior spesa aggiuntiva su base annua, equivalente a 400 euri (sì, euri… al plurale!) per una famiglia media. Una città, come canta Ivano Fossati, risulta “livida e sprofondata per sua stessa mano“…
Rimini, simbolo estivo dell’italiano medio
In testa alla top ten delle città più care d’Italia c’è Rimini (altra località alla quale è stata dedicata una memorabile canzone, quella di Fabrizio De Andrè), dove l’inflazione pari al 2,5%, la seconda più alta d’Italia dopo Brindisi (+2,6%), si traduce nella maggior spesa aggiuntiva su base annua, equivalente a 679 euro per una famiglia media.
Spesa media da capogiro
Tornando a Milano – quella che ti fa una domanda in tedesco e ti risponde in siciliano (cit. Lucio Dalla) – lo sapevate che il turismo del lusso ha qui la sua capitale? Anche noi tapini meneghono possiamo fingere di essere ricchi indossando la tuta gold chiusa nell’armadio e passeggiare con spavalda riccanza per via Montenapo. Anche se le vetrine, noi comuni mortali, possiamo solo ammirarle. Visto che – in media – ogni persona che fa shopping in uno dei negozi del Quadrilatero della moda spende circa 2.350 euro. Parola di Guglielmo Miani, presidente di MonteNapolene District. Milano tra l’altro richiama turisti da tutte le parti del mondo: il 2024 è stato un anno record con 9 milioni, Valuta pregiata che viene dall’estero, della quale però la gran parte dei milanesi godrà poco o nulla.
Ah Lucio, quanto manchi, a milanesi e non…
Milano perduta dal cielo
Tra la vita e la morte continua il tuo mistero…
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