Storie vere
L’uomo a piedi nudi che sfida il dolore e i limiti umani: la storia di Antonio Peretti
Conosciuto come “l’uomo a piedi nudi”, Antonio Peretti percorre distanze impossibili e condizioni estreme. Dall’alpinismo senza scarpe ai 150 km in Himalaya, la sua storia è un inno al coraggio e alla determinazione. «In 14 minuti spengo il dolore, ma l’organismo poi presenta il conto». Un esempio di resilienza che ispira giovani e meno giovani.
Erano in trecento a Breganze, per ascoltare la storia di Antonio Peretti, 64 anni, originario di Sovizzo, nel Vicentino, noto come “l’alpinista scalzo” o “l’uomo a piedi nudi”. Una vita fatta di sfide estreme, luoghi ai confini dell’umano e situazioni che mettono alla prova i limiti del corpo e della mente. Da vent’anni, Peretti, conosciuto anche con il nome di Tom Perry, ha deciso di reinventarsi, creando un personaggio fuori dagli schemi per spingersi oltre ogni confine immaginabile. «Tom Perry è il personaggio che mi sono creato, quello che mi spinge ad andare oltre i limiti», racconta.
La sua passione nasce all’età di 42 anni, ma il suo rapporto con lo sport ha radici più profonde. «Sono stato un forte atleta di mezzofondo, ho corso con campioni del calibro di Alberto Cova e Gelindo Bordin», spiega. «Poi mi sono accorto della deriva dell’atletica e del fatto che circolavano sostanze strane. Mi sono chiamato fuori, avevo 18 anni e non volevo quello per la mia vita. Mi iscrissi al corso ufficiale per diventare paracadutista della Folgore. La scelta migliore che potessi fare: il militare ti fa capire il valore del sacrificio».
Nonostante una carriera da agronomo, Antonio sentiva di non aver raggiunto le soddisfazioni che avrebbe meritato. «Ho creato Tom, un personaggio fuori dai canoni regolari, qualcosa di mio che mi sono costruito. Avevo solo me stesso da seguire, con sfide sempre più fuori dagli schemi», prosegue. La svolta arriva quando, durante una scalata, decide di togliersi gli scarponi. «Volevo superare i limiti. Una volta mi tolsi gli scarponi e decisi di proseguire senza, accorgendomi di avere una predisposizione. Cominciai con piccole salite e piccole discese, fino a quando capii che il dolore “si chiudeva” dopo 14 minuti».
Da quel momento, le imprese diventano sempre più ambiziose. Dalle Piccole Dolomiti al Kilimangiaro, dalla Bolivia al Nepal, passando per il Messico e il Guatemala, Antonio guida un team di fotografi e operatori video in condizioni estreme. «Nel 2004 creammo un team con un giornalista e un fotografo, a cui poi si aggiunse un operatore video, Massimo Belluzzo. Lo scoprii tramite Ferruccio Gard. Da lì in poi andammo ovunque». Tuttavia, l’alpinismo diventa una definizione stretta per il suo operato. «Capii che l’alpinismo era solo una nicchia, il Cai continuava a contestare me e le mie imprese. Mi tolsi questo appellativo e mi definii “l’uomo a piedi nudi”».
Ma come riesce a sopportare dolori così intensi? «Costringendo il cervello con una tecnica tibetana. Lo martello, a tal punto che se prima ci mettevo quattordici minuti a “chiudere” il dolore, adesso ci metto due secondi. Poi, quando l’organismo si sveglia, mi fa pagare il conto, e lì son dolori veri». E il limite? «Devo ancora scoprirlo. Mi curo i denti senza anestesia, non prendo alcun antidolorifico. Sono riuscito a sconfiggere il dolore fisiologico umano. Fare 150 chilometri a piedi nudi in Himalaya salendo dai 3000 ai 7000 è qualcosa di difficilmente spiegabile», dice con orgoglio.
Tra le sue imprese più difficili c’è l’Etna, nel marzo 2007. «Salire e scendere dall’Etna dopo un’eruzione a piedi nudi è stata una delle esperienze più dure della mia vita. Rischiai seriamente di morire. Ho convissuto per sei mesi con ustioni in tutto il corpo e avevo costantemente la pressione da 180 ai 240. Mi sentivo come Hulk», racconta. Eppure, nonostante le difficoltà, continua a sfidare se stesso e la natura, spinto da una forza interiore che definisce quasi mistica. «Qualcuno lassù mi protegge, mi ha messo una sorta di protezione. Io voglio far capire ai giovani il senso della fatica. Vorrei creare uno spot televisivo che desse un significato alla mia storia».
Antonio non risparmia critiche alla società moderna. «La gente non fa più figli e preferisce avere un cane. Ci rendiamo conto? Vedo troppe persone spente e senza stimoli. Lo chiamo il malessere del benessere». Nonostante tutto, il suo spirito rimane indomito, come dimostra la sua ultima impresa in Perù. «L’ho raccontata a Breganze nel mio nuovo documentario Alla scoperta del Perù segreto. C’erano 300 persone, sono rimaste a bocca aperta. Spero di averle colpite».
Il viaggio di Antonio Peretti, alias Tom Perry, continua, spinto dalla volontà di dimostrare che i limiti umani possono essere sfidati e superati, un passo alla volta.
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Storie vere
Il mondo che vorremmo: due coniugi trovano 100mila euro e li consegnano ai Carabinieri
Cosa faresti se vi capitasse di rinvenire per strada degli assegni immediatamente esigibili, oltretutto per una somma di grande rilevanza? Una coppia della provincia di Foggia non ha avuto nessuna tentazione, consgenandoli immediatamente alle forze dell’ordine. Un esempio di grande senso civico e di specchiata onestà.
Dopo aver rinvenuto per strada due assegni circolari del valore complessivo di 100mila euro, una coppia di coniugi di Cerignola non ha avuto esitazione: immediatamente li hanno consegnati ai carabinieri per permettere ai legittimi proprietari di tornarne in possesso. Questo l’esemplare comportamente civico di Nicola e Donata che, mentre camminavano per il centro cittadino, hanno notato sull’asfalto i due assegni da 50mila euro ciascuno, prontamente esigibili.
Questa dovrebbe rappresentare la normalità
Dopo un comprensibile, iniziale momento di smarrimento, i due si sono recati alla caserma dei carabinieri per denunciarne il ritrovamento. Dopo aver iniziato i controlli di routine, attraverso il numero identificativo degli assegni gli agenti potranno risalire al titolare. “Senza alcuna esitazione abbiamo deciso di consegnare ai carabinieri gli assegni, che erano subito esigibili. Queste azioni devono essere qualificate come gesti normali e non eccezionali. Le persone oneste e perbene devono farli”, hanno commentato i due coniugi
Un esempio per i loro figli
Nessun pensiero differente, neanche per un istante hanno pensato di trattenere qualcosa per loro: “Anche perché già in passato, altre volte, abbiamo trovato per strada denaro in contante e lo abbiamo sempre restituito. E aggiungo che lo abbiamo fatto anche senza sperare in una ricompensa. Quello che abbiamo fatto per noi è del tutto normale. È quello che ogni giorno insegniamo ai nostri figli”.
Cosa prevede il codice in questi casi
In caso di restituzione di oggetti di valore smarriti, il codice prevede una ricompensa. Esistono alcune sentenze “rilevanti”, che vengono prese come riferimento in casi di questo tipo. la Corte di Cassazione con una sentenza del 2015 stabilisce che “L’omessa consegna di un oggetto trovato può configurare il reato di appropriazione indebita, con conseguenze penali per il ritrovatore.” Nel 2018 è stato deciso che “il ritrovatore ha diritto a una ricompensa pari al 10% del valore dell’oggetto trovato, a meno che non rinunci espressamente a tale diritto”. Una sentenza che evidenzia come il ritrovatore, pur dovendo consegnare l’oggetto, ha diritto a una ricompensa, incentivando così il comportamento etico e legale. Ai due coniugi pugliesi spetterebbe quindi la somma di 10mila euro. Ma loro hanno fatto sapere di non essere interessati a nessun corrispettivo: “Non ci interessa nessuna ricompensa, l’importante è aver fatto il nostro dovere di cittadini”.
Storie vere
Una lettera d’amore datata 1943 rinvenuta al supermercato: è caccia all’autrice
Valentina, laureata in Antropologia culturale, ha rinvenuto una missiva d’amore in un carrello, recandosi a fare la spesa. Ha chiesto informazioni sulla lettera ai dipendenti della struttura ma nessuno ne sapeva niente. Ha poi postato un appello anche sui social, ma nessuno finora ha risposto. “Mi piacerebbe ritrovare il proprietario e restituirgli questo bellissimo ricordo. Sicuramente è caduta dalla tasca o dal portafogli di qualcuno che teneva molto a questa lettera, per portarla sempre con sé”.
Potrebbe essere l’inizio di un film… ed invece è successo davvero, precisamente all’esterno di un supermercato di Ostia, presso il quale una donna ha ritrovato quel foglietto di carta in un carrello. Inizialmente deve aver pensato ad una lista della spesa… ma dandogli un’occhiata più attenta non ha creduto ai suoi occhi. Si trattava di un’accorata lettera d’amore scritta a mano, datata 20 febbraio 1943. Una lettera scritta a Modena.
L’ha trovata un’antropologa mentre si recava a fare compere
La mittente dello scritto è Luciana, il destinatario si chiama Tito. Che fossero semplici amici oppure fidanzati, poco importa. La cosa importante è un’altra: quelle righe sono pregne di desiderio irrefrenabile di libertà, che in quegli anni si respirava in naturale reazione alla guerra. A rinvenire questa lettera, come raccontato dal quotidiano La Repubblica, è stata la 36denne Valentina, un’antropologa appena entrata nel supermercato insieme alla figlia.
Una relazione a distanza
“Caro Tito – comincia così la lettera – scusa la carta poco elegante ma in questo momento non ne ho altra sottomano. Avendo tu scritto che verrai a trovarmi fra qualche giorno non pensavo che intendessi poco meno di un mese. Come ti va la vita – scrive ancora Luciana – Che ne dici dell’inverno di Modena e di tutta questa neve? Io sto tutto il giorno in casa vicino alla stufa e a studiare naturalmente”. Poi la scrivente cambia discorso e parla della sua famiglia e della sua voglia di speranza: “Finalmente mio padre da sette giorni è con noi, puoi immaginare la mia gioia e sarà completa quando anche Alberto sarà qui. Ma per ora non viviamo che di speranza”.
Padre e figlio probabilmente sul fronte russo
La lettera entra nel vivo, parlando del padre tornato a casa mentre Alberto (probabilmente il fratello) ancora no. È presumibile pensare che entrambi fossero sul fronte russo: a febbraio ‘43 i soldati italiani erano in ritirata, e alcuni avevano già fatto ritorno in Italia.
L’ha scritta una studentessa da Modena
Si tratta di una lettera scritta a mano in data 20 febbraio 1943 da Luciana, una studentessa di Modena, il destinatario è Tito, forse il fidanzato o comunque un amico molto stretto. Un foglio unico, scritto sul fronte e sul retro con calligrafia molto curata e fitta. Valentina – che l’ha rinvenuta – e la figlia la leggono tutta d’un fiato fra gli scaffali del supermercato.
Alla fine del testo Luciana conclude dicendosi d’accordo all’arrivo di Tito da lei a Modena. È l’annuncio di una nuova vita in tempo di piena guerra mondiale. Erano gli ultimi mesi del regime di Mussolini: a luglio sarebbe stato sfiduciato e imprigionato.
Riprendendo il concetto espresso all’inizio… sarebbe bello che – come in un film – si potesse conoscere il destino che ha successivamente segnato le esistenze di Luciana e Tito. Che vita avranno condotto, quale sarà stato il loro futuro nell’Italia del dopoguerra e della ricostruzione. A noi piace pensarli insieme, con lo sguardo – come cantava Pierangelo Bertoli – “dritto e aperto nel futuro”…
Storie vere
Mario e la legge salva suicidi: da una vita in auto alla rinascita. Come un operaio ha sconfitto i debiti e ritrovato speranza
La vicenda di Mario, cinquantenne dell’hinterland di Bergamo, racconta un percorso drammatico ma pieno di riscatto. Dopo aver perso casa, lavoro e famiglia, ha vissuto per mesi nella sua auto sotto la pressione dei creditori. Grazie alla legge salva suicidi e al supporto di Protezione Sociale Italiana, è riuscito a cancellare i suoi debiti e ricominciare. Una normativa che, come dimostra anche il caso di Cristina Chiabotto, si rivela un’ancora di salvezza per chi è sopraffatto dalle difficoltà economiche
Mario, cinquantenne operaio metalmeccanico dell’hinterland bergamasco, non è mai stato un uomo incline alle lamentele. La sua è sempre stata una vita di sacrifici e impegno, di ore passate in fabbrica e di serate spese tra amici e famiglia. Ma quando il destino ha deciso di accanirsi contro di lui, Mario si è ritrovato in un abisso apparentemente senza via d’uscita: prima la perdita del lavoro, poi un incidente stradale che lo ha lasciato con una moto distrutta e una piccola pensione d’invalidità, infine il crollo della relazione con la sua compagna.
La discesa agli inferi è stata rapida. I debiti hanno iniziato a moltiplicarsi come funghi dopo la pioggia: un mutuo da 101 mila euro che non riusciva più a sostenere, la casa venduta all’asta senza coprire l’intero importo, le chiamate incessanti dei recuperatori di crediti che lo perseguitavano giorno e notte. «Mi sembrava di essere in un lockdown personale, ancora peggiore di quello del Covid», ha raccontato Mario. Isolato da tutti, ha passato 149 notti a dormire in un’auto, il suo unico rifugio.
Ma proprio quando stava per arrendersi, sono arrivate le prime luci di speranza. I Servizi Sociali del Comune di Lallio gli hanno trovato un alloggio temporaneo, e il comandante della polizia locale di Treviolo, Matteo Copia, lo ha indirizzato verso Protezione Sociale Italiana. Lì, con il supporto dell’avvocato Pietro Aiello, Mario ha potuto accedere alla legge 3/2012, meglio conosciuta come “salva suicidi”.
La legge, concepita per aiutare chi è schiacciato dai debiti, ha permesso a Mario di avviare una procedura di esdebitazione completa. Il Tribunale, riconoscendo la sua buona fede e l’origine non dolosa della sua situazione economica, ha finalmente approvato la richiesta. «Ora posso guardare avanti con speranza», ha dichiarato Mario, visibilmente commosso.
Il caso di Mario non è isolato. La legge 3/2012 si è dimostrata una vera ancora di salvezza anche per personalità molto distanti da lui, come Cristina Chiabotto. L’ex Miss Italia, soffocata da un debito fiscale di oltre 2,5 milioni di euro, ha utilizzato la normativa per avviare una procedura di liquidazione del patrimonio. Pur affrontando polemiche e critiche, Cristina ha sempre ribadito: «Voglio pagare tutto ciò che devo».
La legge salva suicidi offre a chiunque, indipendentemente dalla posizione sociale o economica, la possibilità di risalire la china. Che si tratti di un operaio senza più nulla da perdere o di una celebrità con guai finanziari, il principio resta lo stesso: ricostruire una vita che sembrava perduta.
Mario, con il suo piccolo appartamento e una nuova determinazione, è oggi l’immagine della resilienza. Ha ricominciato a lavorare su se stesso, affrontando anche quei problemi psicologici che per troppo tempo aveva ignorato. La sua storia, fatta di dolore e rinascita, è un monito per ricordare che, con il giusto aiuto e una legge che funziona, anche dal baratro si può risalire.
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