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Televisione

Perfidia scoperchia le bugie dei politici: quando il confessionale si trasforma in un’arena trash senza esclusione di colpi

Un talk show al vetriolo, dove le bugie politiche si trasformano in puro spettacolo. Antonella Grippo, regina del sarcasmo, orchestra confessionali trash, risse dialettiche e colpi di scena, svelando con ironia graffiante l’arte di mentire senza un briciolo di vergogna di tanti politici italiani

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    Parte col botto il nuovo anno di Perfidia ed è subito Antonella Grippo show. Come di consueto, la sulfurea signora di casa non delude le aspettative del suo pubblico e apre le danze con un saluto che non lascia spazio a fraintendimenti: “Cattivissimo anno alle anime perse di Perfidia, non per aggiungere nuovi guai a quelli dell’anno appena finito, ma per riuscire a trovare quel minimo di cattiveria necessario per opporsi a qualsivoglia potere costituito”. Tradotto: qui non si fanno prigionieri. Un incipit che è una dichiarazione di guerra e che prepara il terreno per un’altra serata all’insegna del graffio e del sarcasmo.

    E cosa ci si può aspettare da una trasmissione che parte con un biglietto da visita simile? Molto, naturalmente. Specie quando l’argomento della serata si rivela un irresistibile stimolo per le sinapsi di un pubblico che la stessa Grippo definisce “di peccatori, che non ha alcuna intenzione di farsi redimere”. Il bersaglio di turno è la montagna di promesse, bugie, panzane e mezze verità che i politici di ogni schieramento rifilano ai loro elettori, puntuali come le tasse a gennaio. E quale miglior titolo per questa puntata se non “Sarà tre volte Pasquale”? Un gioco di parole caustico e irriverente che prende di mira chi “le spara grosse” con il sorriso sulle labbra e la coscienza più leggera di una piuma.

    Caro amico ti scrivo, così mi distraggo un po’, cantava Lucio Dalla nella sua immortale hit L’anno che verrà. Ma il vero spunto della serata sta proprio in quella lista di promesse surreali e irrealizzabili che il cantautore infilava una dopo l’altra, come il miraggio di un leader politico perfetto: “Sàrà tre volte Natale e festa tutto il giorno…”. E siccome Natale è già passato, “Sarà tre volte Pasquale” si trasforma in un’occasione d’oro per mettere alla berlina l’arte della sparata politica. Chi mente meglio? Chi lo fa con più classe?

    A contendersi il premio per il miglior acrobata della retorica è un parterre di ospiti di tutto rispetto: Giuseppe Mangialavori di Forza Italia, presidente della commissione bilancio del Senato, la lucida e affascinante Vittoria Baldino del Movimento 5 Stelle, il politologo Gianfranco Pasquino (definirlo inflessibile è quasi un eufemismo), la scrittrice Ginevra Bompiani, Antonio Lo Schiavo di Liberamente Progressisti e Giuseppe Mattiani della Lega. E come se non bastasse, ci sono i contributi video di Carlo Calenda e Matteo Salvini che viene sottoposto al confessionale più sulfureo della tv italiana. Insomma, uno spettacolo che promette scintille.

    Peccato solo che il tempo sia tiranno, e si abbia la sensazione di correre sempre un po’ troppo, sacrificando la possibilità di gustarsi appieno le provocazioni della conduttrice. Ma tant’è: si va al sodo, senza troppi fronzoli. Mentre i politici in studio sembrano tanti piccoli Maradona impegnati a dribblare la fatidica domanda della Grippo – “Qual è la bugia più grossa raccontata dal vostro partito?” – ci pensa una vecchia clip del neo-ricarcerato Gianni Alemanno a fare da detonatore: “Purtroppo le poltrone del potere sono molto comode. È bello apparire, avere le copertine dei giornali. Questo mainstream a cui non puoi più rinunciare ti porta verso una morte dolce”. L’ex sindaco di Roma, recentemente arrestato per aver violato i termini della libertà condizionale, offre una verità incontestabile che accende subito il dibattito: la politica mente per restare incollata alla poltrona.

    La polemica si infiamma quando la Grippo punta il dito contro Mangialavori, riportandogli le malelingue che lo accusano di essersi mobilitato solo per finanziare la fondazione della mistica Natuzza Evolo. La reazione veemente e stizzita del diretto interessato è il preludio a una serata sempre più vivace.

    Poi arriva il turno di Gianfranco Pasquino. Il suo ingresso in scena è sempre un evento: diretto, spietato e senza peli sulla lingua. “Le balle della politica? Il centrosinistra continua a parlare di un federatore che possa unirlo, ma almeno nel 2025 non avverrà…”. E il centrodestra? “La Meloni che favoleggia di contare qualcosa in Europa…”, sbotta con il candore di chi non teme le reazioni. Ed è qui che scoppia la rissa. Mangialavori e Baldino si affrontano in un duello rusticano, senza esclusione di colpi, tra partigianerie partitiche e slogan di parte. Una scena che lo ieratico professore interrompe con una tirata d’orecchie generale: “Se coloro che dovrebbero saper comunicare finiscono per parlarsi sopra, come fanno a spiegare alla gente quello che vogliono dire?”. Uno a zero e palla al centro.

    Ma il tutto non è che l’antipasto. Primo, secondo e dolcetto arrivano con un Salvini d’antan prono sull’inginocchiatoio di Perfidia e sottoposto all’ecumenico interrogatorio di sora Grippo. Una scena che mescola avanspettacolo trash e iconografia social, in cui il Capitano si muove a suo agio, alternando prontezza di riflessi, lingua tagliente e battuta pronta. “Lo ammetto, ho detto bugie. Sì, certo, in 46 anni di vita…”, confessa, salvo poi ravvedersi e aggiungere: “Non in politica, magari a casa. Il problema delle bugie è ricordarsi quella che hai detto…”. E chissà come sarebbe se, come per Pinocchio, si allungasse il naso a ogni menzogna. Il pubblico in studio ride, ma è chiaro che qui il gioco si fa serio.

    Subito dopo è il turno di Carlo Calenda, che tenta di confessare i suoi peccati. Tradimenti, desideri proibiti, peccati di aggressività: tutto è messo sul piatto. Ma la gara con Salvini è impari. Il leader di Azione finisce per sembrare poco più di un ammazzacaffè, mentre il Capitano regna incontrastato sul terreno della politica da (avan)spettacolo.

    Il tempo stringe e la serata si chiude in fretta, quasi con un senso di accelerata insoddisfazione. La scrittrice Ginevra Bompiani lancia la sua potente elegia sulla pace, Giuseppe Mattiani viene sottoposto a un confessionale sprint e una spassosa biografia romanzata del presidente Roberto Occhiuto serve da chiusura. Ma il pubblico resta con la voglia di almeno mezz’ora in più per gustarsi senza fretta le perfidie di Perfidia. Appuntamento a venerdì prossimo!

    Qui per rivedere la puntata su LaCplay

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      Televisione

      Squid Game 2: l’algoritmo colpisce ancora e il pubblico risponde

      Netflix ha trasformato Squid Game nel suo cavallo di battaglia, seguendo un modello di successo che gioca su meccaniche collaudate e un restyling superficiale. È la formula dell’algoritmo applicata al massimo: innovazione apparente e familiari confort narrativi che seducono il pubblico senza mai metterlo davvero alla prova. Funziona, ma per quanto?

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        Ormai è chiaro: Squid Game è molto più di una serie, è il manifesto di come funziona la creatività nell’epoca delle piattaforme. La seconda stagione, con i suoi numeri da record – 68 milioni di spettatori al 3 dicembre – non lascia dubbi sul fatto che Netflix abbia ancora una volta centrato il bersaglio. Ma il come solleva domande.

        In un contesto dove ogni produzione è strettamente legata alle logiche dell’algoritmo, la creatività sembra piegarsi alla volontà di massimizzare l’engagement. Netflix, maestra nell’arte del mix tra innovazione apparente e ripetitività rassicurante, ha fatto di Squid Game 2 il figlio perfetto di questa filosofia. L’idea di partenza è brillante: un’immersione nella violenza sociale resa metafora attraverso giochi letali. Tuttavia, la seconda stagione mostra chiaramente come il successo abbia spinto lo streamer a confezionare una narrazione che non si distacca mai troppo dalla formula vincente.

        E non è un caso. Gli abbonati non devono mai sentirsi troppo destabilizzati: l’algoritmo richiede attenzione continua, ma senza sorprese che possano alienare il pubblico. Lo spettatore deve essere accompagnato, quasi cullato, con espedienti narrativi che rendano impossibile perdere il filo: personaggi che dichiarano le proprie azioni, easter egg disseminati per creare interazioni sui social, e un’estetica familiare che rassicura anziché sfidare.

        Questo approccio funziona, almeno per ora. Le critiche secondo cui Squid Game 2 sarebbe solo un more of the same vengono superate dai numeri, ma mostrano anche i limiti di una produzione che punta tutto su ciò che è già noto. Si tratta di un equilibrio delicato: abbastanza novità per giustificare una nuova stagione, ma non abbastanza per stravolgere il formato.

        Guardiamo i fatti: Netflix ha impiegato tre anni per lanciare la seconda stagione e ha già pianificato la terza, forse girandola in back-to-back. Ma nel frattempo, la piattaforma ha visto calare il numero di abbonati in alcuni mercati e ha dovuto rivedere i suoi piani tariffari. È evidente che lo streamer punta su prodotti come Squid Game per consolidare la propria posizione, ma la pressione per replicare il successo si traduce in un processo creativo sempre più rigido.

        La seconda stagione rappresenta questo processo nella sua massima espressione: una presentazione curata, un restyling superficiale e una struttura narrativa che non si discosta mai troppo dalla prima. Nuovi personaggi, certo, e qualche colpo di scena, ma il tutto al servizio di una trama che è essenzialmente la stessa. Il risultato? Un prodotto che non osa troppo, ma che mantiene saldo il legame con il pubblico.

        Il problema, però, è che questa formula non è infallibile. Altri show hanno provato a seguire lo stesso percorso, con esiti decisamente meno fortunati. La vera domanda è se Squid Game riuscirà a mantenere la sua attrattiva nella terza stagione, o se anche il suo pubblico finirà per stancarsi di una narrazione che rischia di diventare prevedibile.

        Eppure, nonostante le critiche, Netflix sembra aver trovato la chiave per il suo pubblico: un mix di familiarità e novità che tiene incollati gli spettatori, anche a costo di sacrificare parte della creatività. È il prezzo da pagare nell’era dell’algoritmo, dove ogni scelta è calibrata per massimizzare il successo e ogni serie è un tassello di un puzzle più grande.

        Per ora, Squid Game sembra resistere a questa dinamica, ma il vero test sarà la capacità di reinventarsi senza perdere la sua identità. Fino ad allora, possiamo solo osservare e chiederci quanto a lungo il pubblico continuerà a premiare una formula che, per quanto raffinata, non può evitare di mostrare i suoi limiti.

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          Televisione

          Squid Game 2 frantuma record di visualizzazioni: Netflix annuncia la stagione 3 con un nuovo poster

          Dopo il successo dei nuovi episodi, la piattaforma streaming rilascia il poster del terzo capitolo, che promette di concludere la saga. I fan hanno già iniziato a speculare sul futuro di Gi-hun e sugli indizi lasciati nel cliffhanger finale e nei titoli di coda.

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            La seconda stagione di Squid Game non delude le aspettative e si conferma un fenomeno globale. Dopo il debutto degli episodi il 26 dicembre, la serie ha raggiunto un nuovo record, totalizzando 68 milioni di visualizzazioni in soli quattro giorni. Netflix ha subito cavalcato l’onda dell’entusiasmo annunciando l’arrivo di Squid Game 3 nel 2025 e rilasciando un poster ufficiale che ha già fatto impazzire i fan.

            Un record impressionante per Squid Game 2

            I dati di visualizzazione della seconda stagione, riportati da The Hollywood Reporter, sono stati calcolati dividendo le 487,6 milioni di ore totali di streaming per la durata complessiva degli episodi, pari a 7 ore e 10 minuti.

            Con queste cifre, Squid Game 2 si avvia a replicare il successo della prima stagione, che aveva raggiunto 256,2 milioni di visualizzazioni nei primi 91 giorni. Un risultato straordinario per una serie che, già al suo debutto, aveva rivoluzionato il modo di raccontare storie di sopravvivenza.

            La trama di Squid Game 2: il ritorno del Giocatore 456

            La seconda stagione riprende tre anni dopo il torneo mortale che ha trasformato il Giocatore 456, Seong Gi-hun, in un uomo ricco ma tormentato. Rinunciando a trasferirsi negli Stati Uniti, Gi-hun decide di tornare con un obiettivo ben preciso: scoprire la verità dietro il gioco e vendicare le vite spezzate.

            Questa volta, nuovi partecipanti vengono attirati nel macabro torneo con la promessa di vincere 45,6 miliardi di won. Tuttavia, le regole del gioco si fanno più spietate, e i legami tra i concorrenti vengono messi a dura prova.

            Il cliffhanger e il futuro della saga

            Il finale della stagione 2 lascia i fan con il fiato sospeso, grazie a un cliffhanger che promette di alzare la posta in gioco nel prossimo capitolo. Nei titoli di coda, un misterioso indizio sembra anticipare una nuova fase del gioco, collegandosi direttamente al poster della terza stagione appena rilasciato.

            Il poster mostra un’enigmatica figura incappucciata con il simbolo del cerchio, circondata da numeri e sagome che potrebbero rappresentare i prossimi partecipanti. L’atmosfera oscura e inquietante suggerisce che il terzo capitolo concluderà la saga in grande stile, rivelando finalmente i segreti più nascosti del gioco.

            Squid Game 3: cosa aspettarsi

            Le riprese della terza stagione sono già state completate, e Netflix promette di alzare ulteriormente l’asticella con una conclusione che sarà al tempo stesso scioccante e catartica. Gli spettatori si chiedono quale sarà il destino di Gi-hun e se il protagonista riuscirà a distruggere il sistema che governa il gioco o se, al contrario, verrà risucchiato ancora più in profondità.

            Nel frattempo, il successo della serie conferma che Squid Game è molto più di una semplice narrazione: è un fenomeno culturale che continua a catturare l’immaginazione di milioni di spettatori in tutto il mondo.

            Con il 2025 all’orizzonte, l’attesa per Squid Game 3 è già alle stelle. Riuscirà la serie a superare i record già stabiliti o ci attende un finale che metterà a rischio la sua fama leggendaria? Per ora, ai fan non resta che speculare, sognare e prepararsi al gran finale.

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              Televisione

              Ilary Blasi sbarca su Netflix: “Hanno lasciato pure la scena in cui faccio la pipì nel bosco”

              Dal “mi fa male la patata” in bicicletta con Nicola Savino alla pipì nel bosco: la serie-documentario promette di svelare tutto di Ilary Blasi, tra confessioni sul gossip, retroscena sul rapporto con Silvia Toffanin e la voglia di cimentarsi nel cinema.

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                Ilary Blasi sarà la regina di Netflix per gennaio 2025. La sua nuova serie-documentario Ilary segue le orme del filone di successo di Unica, e l’ex moglie di Francesco Totti si prepara a conquistare gli spettatori con una formula che la consacra come una sorta di Kim Kardashian all’italiana. Il lancio stampa ha già scatenato la curiosità, grazie a una serie di dichiarazioni irriverenti e momenti di quotidianità che promettono di intrattenere e far discutere.

                La Blasi, famosa per la sua spontaneità disarmante, ha accettato di mostrarsi senza filtri, e a quanto pare Netflix non ha risparmiato nulla. Come racconta in un’intervista con Silvia Fumarola per Repubblica, la serie conserva ogni dettaglio, compresi i momenti più “crudi”:
                “Hanno lasciato tutto, pure la scena in cui faccio la pipì nel bosco”, rivela Ilary con la schiettezza che la contraddistingue.

                Ilary in bicicletta e quella battuta già virale

                Nel trailer, un momento iconico la vede pedalare accanto a Nicola Savino, mentre esclama senza freni: “In bicicletta mi fa male la patata”. Un’uscita che, come spesso accade con Ilary, è destinata a diventare virale. Alla domanda della giornalista se trovasse “normale” quella battuta, la conduttrice risponde con ironia, lasciando intendere che il docu-racconto sarà una cavalcata di momenti altrettanto genuini.

                Ilary e il gossip: nessuna rivalità con Silvia Toffanin

                Non mancano poi i riferimenti ai gossip che l’hanno vista al centro dell’attenzione negli ultimi mesi, compreso il presunto gelo con Silvia Toffanin. “Questa cosa mi fa così ridere”, chiarisce Ilary. “Silvia scherza: ‘Quindi ci siamo separate?’. Ci sentiamo sempre e non parliamo mai di lavoro”.

                La Blasi affronta anche il tema del suo distacco dalla televisione con un inaspettato candore:
                “Non sono bulimica di televisione. Spesso dico no, non so se sia un bene o un male. Mi devo appassionare al progetto. Preferisco stare a casa a guardare la tv, più che farla. Ho iniziato piccolissima, con gli spot, ho girato due o tre film. Mi ero messa in testa che volevo presentare. Il cinema mi incuriosisce, ma se sei troppo televisiva non va bene. Vediamo, mi divertirebbe provare”.

                Un ritratto senza filtri

                La serie, che sarà disponibile dal 9 gennaio 2025, promette di regalare uno sguardo intimo e divertente sulla vita della Blasi. Ilary sembra destinata a conquistare gli abbonati Netflix, grazie a una formula che bilancia leggerezza e autoironia, e che lascia emergere tutta la personalità della conduttrice.

                Dalla “pipì nel bosco” alle battute iconiche, passando per riflessioni sulla carriera e retroscena personali, questa produzione ha tutte le carte in regola per diventare un piccolo fenomeno pop. A giudicare dal trailer, il pubblico può aspettarsi una Ilary Blasi più sincera che mai, pronta a raccontare la sua vita con lo stile unico che l’ha resa un’icona.

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