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Cinema

Gli anziani vogliono più film e serie tv con personaggi della loro età: ecco lo studio che smonta gli stereotipi

I dati parlano chiaro: gli anziani vogliono storie e protagonisti simili a loro, ma Hollywood li ignora. La lista dei Movie for Grownups Awards svela il divario tra ciò che piace agli over 50 e le scelte degli Oscar.

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    Gli anziani non solo vanno al cinema e si abbonano alle piattaforme di streaming, ma vogliono anche vedersi rappresentati sullo schermo in modo realistico e positivo. È quanto emerge dallo studio dell’AARP, l’associazione americana dei pensionati, intitolato Breaking Stereotypes: The Push for Real Representation of Older Adults in Movies and Television, presentato in occasione della 24ª edizione dei Movie for Grownups Awards, considerati una sorta di Oscar della terza età.

    Secondo il report, la maggior parte degli over 50 si sente trascurata dall’industria cinematografica. Non solo si vedono poco rappresentati, ma anche quando compaiono sullo schermo, spesso le loro storie vengono raccontate in modo superficiale o stereotipato. «Gli anziani hanno molto a cuore vedere le proprie esperienze riflesse in modo accurato sullo schermo», spiega Heather Nawrocki, vicepresidente di AARP.

    E i numeri danno loro ragione. Negli Stati Uniti, gli spettatori sopra i 50 anni rappresentano un target di mercato enorme: oltre 61 milioni sono andati al cinema nel 2024 e più di 84 milioni si sono abbonati a piattaforme di streaming. La loro spesa complessiva supera i 10 miliardi di dollari l’anno. Un potenziale che gli studios non possono più ignorare. «Chi riesce a catturare le esperienze e le prospettive degli anziani beneficia non solo del loro potere d’acquisto, ma anche della loro fedeltà come pubblico», sottolinea Nawrocki.

    Le barriere della ageist society

    Lo studio ha intervistato 1.010 adulti di età pari o superiore ai 50 anni, rivelando che il 52% del campione ritiene che il pubblico preferisca attori più giovani. Il 46% e il 42%, invece, identificano come barriere principali le limitate opportunità per gli attori più anziani e i pregiudizi del settore verso le storie legate alla terza e quarta età.

    Il 69% degli intervistati ritiene cruciale garantire una rappresentazione accurata degli anziani nel casting e nelle trame dei film e delle serie tv. Ben quattro su cinque sono convinti che attrici e attori sopra i 50 anni offrano prospettive uniche che arricchiscono le storie sullo schermo, così come registi, sceneggiatori e produttori della stessa fascia d’età.

    Oltre la metà degli intervistati (55%) chiede rappresentazioni più positive degli anziani e pari opportunità per gli over 50 nel settore, sia davanti che dietro la macchina da presa.

    Il disallineamento con le scelte degli Oscar

    Questo divario tra le preferenze degli anziani e l’offerta dell’industria si riflette chiaramente nelle nomination agli Oscar 2025. Degli otto titoli candidati dall’Academy nella shortlist per il miglior film, solo tre – A Complete Unknown di James Mangold, Conclave di Edward Berger ed Emilia Pérez di Jacques Audiard – coincidono con le scelte dei Movie for Grownups Awards.

    Gli altri due film selezionati dall’AARP, Il gladiatore II di Ridley Scott e September 5 – La diretta che cambiò la storia di Tim Fehlbaum, sono stati completamente ignorati dall’Academy. Nella categoria miglior attrice, spiccano nomi importanti come Pamela Anderson per The Last Showgirl, Marianne Jean-Baptiste per Hard Truths, June Squibb per Thelma e Nicole Kidman per Babygirl, tutte snobbate dagli Oscar, mentre Demi Moore per The Substance ha ottenuto una candidatura in linea con le scelte ufficiali.

    Tra gli attori, solo Adrien Brody (The Brutalist), Colman Domingo (Sing Sing) e Ralph Fiennes (Conclave) trovano posto sia agli Oscar sia ai Movie for Grownups Awards. Le altre due nomination dell’AARP vanno a Daniel Craig per Queer e Jude Law per The Order, esclusi dall’Academy.

    Verso una rappresentazione più equa?

    Il report dell’AARP lancia un messaggio chiaro: c’è fame di storie più autentiche e variegate. E gli studios farebbero bene a raccogliere questa sfida. Non si tratta solo di abbattere pregiudizi, ma di rispondere a un’esigenza di mercato sempre più forte.

    Hollywood ascolterà? Se la risposta è sì, il prossimo passo sarà più film che celebrano l’esperienza, la saggezza e la forza di una generazione spesso messa da parte. Anche perché gli anziani non sono solo spettatori, ma una parte fondamentale delle storie che meritano di essere raccontate.

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      Cinema

      Angelina Jolie: per Clint Eastwood è “buona la prima”, al massimo la seconda…

      L’ex di Brad Pitt si è recentemente pronunciata sulla sua esperienza con un mito del cinema americano come Clint Eastwood. Che l’ha diretta in una pellicola per la quale, anni fa, ha ricevuto una prestigiosa nomination.

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        L’ultima nomination agli Oscar, Angelina Jolie l’ha ottenuta con il film Changeling (2008), nel ruolo di una madre alla ricerca del suo figlio misteriosamente scomparso. A dirigerla c’era Clint Eastwood, vero maestro del cinema. Un professionista che dopo aver raggiunto la fama mondiale grazie a Sergio leone e ai suoi spaghetti western, ha ottenuto pari successo come regista.

        94 anni ancora sulla breccia

        Eastwood, alla bellezza di 94 anni ha diretto un film – Giurato Numero 2 – che vedremo prossimamente in sala. Juror #2 (questo il titolo originale) è un dramma giudiziario con protagonisti Nicholas Hoult e Toni Collette. Un avvincente racconto del dilemma morale di un giurato, nei cinema dal 30 ottobre.

        Le parole di Angelina

        Eastwood è stato descritto come una presenza “terrificante” da Angelina Jolie. L’attrice non intendeva dire nulla di negativo, anzi… il modo in cui Eastwood si comporta con gli attori sul set ottiene da loro sempre il massimo: “È molto deciso – ha spiegato in un’intervista – ed anche proverbialmente famoso per girare solo uno o due ciak, il che può sembrare terrificante per un’attrice. Grazie a questo approccio, però, sai che non ti lascerà emotivamente prosciugata”. D’altronde i vari successi dei quali l’attore-regista ha goduto nel tempo dimostrano la bontà del suo metodo quando dirige.

        Un metodo che funziona

        Tutto sommato, Jolie ha trovato, nel modo di lavorare di Eastwood, un’occasione di crescita ed è per questo che quel “terrificante” non va inteso in senso negativo: “È fin da subito molto preparato – ha dichiarato Jolie nella stessa intervista – e quindi hai la sensazione di dover dare il massimo. (…) Lui lo catturerà su pellicola e non ti chiederà di rifarlo altre 20 volte. Quindi, ti permette di spingerti davvero oltre. E poiché fa tutto in una sola ripresa, tutto è molto fresco”.

        Tutto in favore della spontaneità

        In pratica, l’attrice sostiene che la buona riuscita di un film, quando Eastwood è seduto sulla sedia di comando, si risolve in un paio di ciak, durante i quali l’attore è chiamato a dare il massimo. Una sorta di sprint che privilegia la spontaneità, in antitesi con quei registi che fanno girare e rigirare le scene infinite volte.

        Recitare quasi… improvvisando

        E sempre rifacendosi alle dichiarazione dell’ex di Brad Pitt, il risultato finale appare estremamente “fresco” e veritiero perché l’attore, in questo modo, lavora in un contesto più vicino all’improvvisazione. Paradossalmente, anche se non ha avuto il tempo di mettere a fuoco ogni dettaglio, sarebbe propria la sua tecnica a far sembrare tutto molto finto.

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          Cinema

          Hugh Grant tra vulnerabilità e talento: «Tre anni schiavo dell’alcol. Ancora non capisco cosa mia moglie trovi in me»

          Un attore iconico, un uomo complesso: Hugh Grant ripercorre le sfide della sua vita, tra dipendenze, il matrimonio felice con Anna Elisabet Eberstein e un ritorno al cinema che ribalta ogni cliché

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            Hugh Grant è un uomo dalle mille sfaccettature. L’attore britannico, che per decenni ha incarnato il fascino impacciato del “Mr. Romantico” grazie a film cult come Quattro matrimoni e un funerale e Notting Hill, oggi si è trasformato in un maestro della complessità, interpretando personaggi oscuri e controversi. In un’intervista rilasciata a Vanity Fair, Grant si racconta senza filtri, tra successi, dipendenze, un matrimonio felice e la battaglia contro il suo stesso mito.

            La vera faccia di Hugh Grant: «Mr. Impacciato è stato un errore»

            Grant ammette che, dopo il successo travolgente di Quattro matrimoni e un funerale nel 1994, ha cercato di replicare nella vita reale il personaggio che il pubblico amava sullo schermo: «Facevo interviste sbattendo le palpebre e balbettando, cercando di essere quell’uomo timido e impacciato. Alla fine, giustamente, il pubblico si è stancato».

            Quella maschera, però, non gli è mai appartenuta davvero. Negli ultimi anni, l’attore ha ribaltato l’immagine costruita su di lui, scegliendo ruoli imprevedibili: da eleganti criminali (The Undoing, The Gentlemen) a personaggi moralmente ambigui (Paddington 2), fino al prossimo horror religioso Heretic.

            Una vita personale segnata dagli eccessi

            Dietro i riflettori, Grant ha affrontato battaglie personali che hanno messo a dura prova la sua stabilità. Dopo la fine di una lunga relazione, si è ritrovato «schiavo dell’alcol per circa tre anni», come racconta lui stesso.

            La svolta è arrivata nel 2010, quando ha incontrato Anna Elisabet Eberstein, una produttrice svedese che, nonostante le sue insicurezze, ha scelto di sposarlo otto anni dopo. «Non riesco ancora a credere che io possa piacerle», confessa Grant, che oggi è padre di cinque figli. «La mia famiglia mi rende terribilmente sentimentale, tanto che piango persino leggendo libri per bambini.»

            Il coraggio di combattere contro i tabloid

            Tra i momenti più intensi della sua vita pubblica c’è stata la battaglia legale contro i tabloid britannici. Vittima di intercettazioni telefoniche illegali, Grant è diventato uno dei volti principali di Hacked Off, l’organizzazione che denuncia gli abusi dei media.

            Recentemente, ha risolto una causa contro il Sun, accusando il tabloid di aver piazzato microfoni nella sua casa. «Vorrei che tutto fosse dimostrato in tribunale», ha twittato, annunciando che donerà il risarcimento ricevuto per sostenere altre vittime.

            Un talento unico e sottovalutato

            Sebbene Grant ami definirsi uno scettico della recitazione, chi ha lavorato con lui lo descrive come un perfezionista. «Sul set improvvisa, trova dettagli che trasformano un personaggio», racconta Sophie Thatcher, sua collega in Heretic. Anche le battute più memorabili, come l’iconico «Ciao, mamma!» de Il diario di Bridget Jones, sono farina del suo sacco.

            Hugh Bonneville, collega in Notting Hill e Paddington 2, lo elogia come «un attore di enorme talento, capace di rendere tutto naturale sullo schermo grazie a un impegno meticoloso».

            L’eredità di un uomo tra ironia e sincerità

            A 64 anni, Grant continua a essere una figura affascinante e contraddittoria. Con il suo tipico humour britannico, scherza su tutto – dalla politica alla religione – senza perdere mai quella scintilla di ironia che lo rende irresistibile. Ma dietro il sarcasmo si nasconde un uomo che ha imparato a fare pace con le proprie insicurezze e a trovare la felicità nella famiglia e nel lavoro.

            E se qualcuno gli chiede quale sia il segreto per essere Hugh Grant, lui risponde con un sorriso enigmatico: «Sono tanti, e lascio agli altri il compito di decidere quale vogliono conoscere».

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              Cinema

              La coach del sesso che lavora sui set del cinema per prevenire gli abusi

              Si chiama Arianna Quagliotto, ha 31 anni e, di professione fa la coordinatrice dell’Intimità sui set: una novità fra le professioni legate al grande schermo, figlia della rivoluzione culturale #metoo.

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                Quello che accende le fantasie più viscerali del pubblico come le scene hot, i baci e in genere in momenti passionali sul grande schermo sono, in realtà, frutto di un lavoro certosint. Per far sì che il senso del pudore degli attori venga tutelato, occorreva una figura professionale ad hoc, oggi in via di consolidamento. Si chiama intimacy coordinator (“coordinatrice dell’intimità”). Il suo compito è quello di contribuire alla desessualizzare dell’atto che viene messo in scena per rendere i performer sereni e a proprio davanti alle telecamere e alla troupe. Nelle produzioni americane è realtà ormai da tempo, tutte le piattaforme ne prevedono l’obbligo. E, non senza fatica, la professione si sta facendo largo anche qui da noi in Italia.

                Come ha cominciato

                Arianna Quagliotto è nata a Montebelluna, in provincia di Treviso. Laureatasi al Dams di Bologna, con alle spalle già quasi un decennio di lavoro in produzione e poi sul set. All’ultima Mostra del Cinema di Venezia è stata invitata al panel Professioni cinema. Slightly of focus, curato dalle Pari Opportunità della Regione Veneto. La Quagliotto racconta: «Ho scoperto che esisteva un ruolo del genere solo all’inizio del 2023. Ero a Bologna, sul set di una serie televisiva, Love Club, col ruolo di Covid manager. Tra le persone a cui ho fatto il tampone c’era Luisa Lazzaro, la prima Intimacy coordinator italiana. Da anni coltivo l’interesse di raccontare la sessualità in modo più libero. A Bologna faccio parte del collettivo Inside porn in cui si promuove la visione di prodotti pornografici queer e indipendenti di taglio artistico, per un dibattito senza pregiudizi. Mi interessa perché rappresentano tematiche che vengono prevalentemente relegate al privato e spesso non hanno spazio».

                Consenso obbligatorio per le scene intime

                Ma in che modo è arrivata la prima opportunità da coordinatrice delle scene di sesso? «A settembre 2023 ho fatto uno dei primi corsi con Anica Academy (sponsorizzato da Netflix e Sky), docente proprio Luisa Lazzaro. Il corso era composto da otto moduli online in call che esploravano vari aspetti teorici. Per prima cosa, un focus sul consenso e le dinamiche e problematiche e le infinite sfumature che ha. Il consenso è cruciale per le scene di sesso, ma non sempre nella dinamica attore-regista questo consenso avviene con modalità veramente libere. Noi siamo lì per verificare anche quello».

                Nel pratico, in cosa consiste il suo lavoro

                «Durante il corso in presenza seguito successivamente a Roma, abbiamo appreso le tecniche di mascheramento. In pratica, trattandosi di sesso simulato, noi dobbiamo saper spiegare come girare determinate scene sul set. Quindi, prima imparare e poi saper mostrare posizioni che non prevedano il contatto tra genitali. Anche inquadrature di sesso orale simulato, baci oppure atti sessuali che vediamo nel cinema senza che in realtà avvengano».

                A diretto contatto con gli interpreti

                Un lavoro che prevede un particolarissimo rapporto diretto con gli attori: «Dobbiamo capire se ci sono imbarazzi, studiare i piccoli movimenti per comprendere se c’è del disagio. Qualcuno, a volte, dice sì ad una determinata scelta ma si trattava di un sì “libero”. Siamo, in pratica, una figura di mediazione. Ci preoccupiamo che un membro del cast, che magari non trova il coraggio per parlare apertamente con il regista, possa esprimersi liberamente con noi. Ma attenzione: non siamo psicologhe. Siamo formate per assistere e dare supporto al cast però non ci possiamo sostituire ad una terapeuta, facciamo molta attenzione a questa cosa».

                Tutto quello che occorre ad una intimacy coordinator

                Un altro aspetto che in pochi conoscono è la cosidetta “valigia del mestiere”, che la Quagliotto spiega nei dettagli. Un corredo che contiene i modesty garment, gli indumenti che vengono indossati dagli attori per coprire i genitali o il seno. Ma anche barriere di diverso tipo cuscinetti e palle da yoga tra i corpi per evitare che si tocchino. Pure copricapezzoli e tappetini se le scene si svolgono sul pavimento o in luoghi scomodi o anche mentine in fogli per rinfrescare l’alito tra un take e l’altro. E anche amuchina e coperte isotermiche se si gira all’aperto.

                Set chiusi e controllo del livello di nudità

                Attualmente, in Italia, questa particolare figura viene richiesta a riprese avanzate. Con funzioni di controllo della scena, per verificare che la persona sia a proprio agio. Ma anche per il controllo concordato del nudity rider (per conoscere il livello di nudità e tocco). Controllando che venga rispettato il protocollo del set chiuso (obbligatorio nel caso di sesso simulato).

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