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Trump-Zelensky, la realtà capovolta in tre punti chiave: resa, arbitro e assenza dell’Europa

Nel clamoroso faccia a faccia nello Studio Ovale, Trump ribalta la realtà: la guerra in Ucraina si può chiudere solo con la resa di Zelensky, la Casa Bianca non riconosce più un aggressore e un aggredito, e l’Europa è esclusa da ogni discussione.

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    Non era un incontro diplomatico, né un colloquio per cercare soluzioni. Il vertice tra Donald Trump e Volodymyr Zelensky alla Casa Bianca è stato un agguato politico studiato a tavolino. Un modo per ribaltare tre anni di narrativa occidentale sulla guerra in Ucraina e riscrivere le regole del gioco secondo lo schema del tycoon americano.

    Dimenticate la distinzione tra aggressore e aggredito. Dimenticate il ruolo storico degli Stati Uniti come alleati di Kiev. Dimenticate l’Europa, perché per Trump non è nemmeno un soggetto degno di sedere al tavolo delle trattative. Tre punti chiave raccontano il capovolgimento della realtà messo in scena nello Studio Ovale.


    1. La resa dell’Ucraina come unica via d’uscita

    La frase che ha gelato Zelensky è stata ripetuta più volte: “Non hai carte da giocare”. Tradotto dal linguaggio trumpiano: arrenditi. Per Trump, il conflitto può concludersi solo a una condizione: Kiev deve accettare l’accordo scritto secondo le regole dettate da Putin e dallo stesso Trump.

    Non c’è spazio per negoziati equi, né per concessioni che possano salvaguardare l’integrità territoriale dell’Ucraina. Le condizioni sono già stabilite, e a Zelensky non resta che firmare. L’occupazione di territori ucraini? Un dettaglio. I civili uccisi? Non rilevanti. Tre anni di resistenza, distruzione e morte cancellati in venti minuti di “colloquio”.


    2. Gli USA non stanno più dalla parte dell’Ucraina

    Dopo aver delegittimato Zelensky come interlocutore, Trump passa al punto successivo: gli Stati Uniti non sono più un alleato di Kiev, ma un arbitro neutrale tra le parti.

    “Senza di noi sei finito”, gli ha detto in più momenti, sottolineando che senza il supporto economico e militare di Washington, la guerra sarebbe finita in due settimane. Il messaggio è chiaro: l’era del sostegno incondizionato è finita.

    Nella narrazione trumpiana, la Casa Bianca non ha più interesse a difendere l’Ucraina. L’America non è più il bastione della democrazia contro l’autocrazia russa, ma un mediatore cinico, pronto a trattare “da pari” con Putin. Il prezzo? La fine del sostegno militare e la trasformazione di Kiev in una pedina sacrificabile.


    3. L’Europa? Semplicemente non esiste

    Se c’è una grande assente in questo teatro di guerra inscenato da Trump è l’Europa.

    Nella visione dell’ex presidente, non c’è spazio per un terzo attore nella trattativa: l’unico schema che conta è USA-Russia-Ucraina, con Washington nel ruolo dell’arbitro e Mosca in quello del giocatore che detta le condizioni.

    L’idea che la sicurezza del continente sia direttamente collegata all’esito del conflitto viene completamente ignorata. Come se l’Ucraina non fosse parte dell’Europa, come se Putin non avesse ambizioni espansionistiche ben oltre Kiev, come se il futuro geopolitico del continente potesse essere deciso a porte chiuse tra Trump e il Cremlino.

    La mancata firma dell’accordo sulle terre rare è il simbolo perfetto di questo approccio: Trump voleva far firmare a Zelensky una resa mascherata da accordo economico, che di fatto avrebbe consegnato il destino dell’Ucraina nelle mani di Putin e degli Stati Uniti, con l’Europa ridotta a semplice spettatrice.


    E ora? L’Occidente cerca risposte senza gli USA

    Se il vertice di Washington ha sancito la morte della diplomazia tradizionale, il vertice di Londra di domani diventa il primo test per un’Europa che dovrà imparare a difendersi da sola.

    Senza il sostegno incondizionato degli Stati Uniti, tocca a Regno Unito e Unione Europea trovare una strategia per contrastare la narrativa trumpiana e impedire che il destino dell’Ucraina venga scritto a Mosca e siglato a Washington.

    La domanda ora è una sola: l’Europa saprà finalmente agire da potenza autonoma, o resterà a guardare mentre Trump e Putin decidono il futuro del continente?

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      Clima esplosivo a Washington: il Secret Service spara a un uomo armato vicino alla Casa Bianca, mentre l’America si spacca

      Un uomo armato intercettato nei pressi della Casa Bianca e ferito dal Secret Service riaccende il dibattito sulla sicurezza interna e sulla crescente ostilità nei confronti di Trump. Il suo allineamento con Putin e la minaccia di abbandonare l’Europa stanno lacerando il paese, aumentando il rischio di tensioni sociali.

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        L’episodio avvenuto nella notte nei pressi della Casa Bianca, dove un uomo armato è stato colpito dagli agenti del Secret Service, è solo l’ennesimo segnale del clima sempre più teso negli Stati Uniti. Un paese diviso, attraversato da tensioni che non riguardano più soltanto la tradizionale spaccatura tra repubblicani e democratici, ma che vede crescere una nuova e inquietante frattura: quella tra il trumpismo più radicale e una parte dell’elettorato, anche conservatore, che inizia a ribellarsi alle posizioni estremiste dell’ex presidente.

        Donald Trump, che al momento dell’incidente non si trovava a Washington, continua a portare avanti una campagna elettorale basata su messaggi incendiari, posizioni sempre più filorusse e anti-UE e un ritorno al nazionalismo isolazionista. L’idea di disimpegnare gli Stati Uniti dal sostegno all’Ucraina e di smantellare i legami con l’Unione Europea sta scatenando malumori non solo tra i democratici, ma anche tra una fetta dell’elettorato repubblicano più moderato e tra gli ambienti militari e diplomatici.

        L’uomo fermato dal Secret Service, secondo le prime informazioni, sarebbe arrivato a Washington dall’Indiana ed era stato segnalato come un “individuo suicida”. Quando è stato intercettato dagli agenti nei pressi dell’incrocio tra 17th Street e F Street NW, a meno di cinque minuti a piedi dalla Casa Bianca, avrebbe brandito un’arma da fuoco, provocando la reazione immediata delle forze dell’ordine. Non è chiaro se abbia aperto il fuoco o meno, ma è certo che l’intervento è stato rapido e diretto: l’uomo è stato colpito e trasportato in ospedale, mentre le autorità stanno cercando di ricostruire il suo profilo e le sue reali intenzioni.

        Anche se l’episodio potrebbe essere catalogato come un caso isolato, il contesto politico in cui si inserisce lo rende particolarmente significativo. Negli ultimi mesi si sono moltiplicati gli episodi di tensione, con una crescente rabbia nei confronti di Trump e del suo progetto politico. Le sue dichiarazioni sul possibile abbandono dell’Ucraina in balia della Russia hanno allarmato non solo gli alleati europei, ma anche parte della stessa amministrazione americana.

        L’ex presidente continua a polarizzare l’opinione pubblica con dichiarazioni che, se da un lato infiammano la sua base più radicale, dall’altro creano una crescente opposizione anche tra chi, in passato, lo ha sostenuto. Il sostegno aperto a Vladimir Putin, le minacce di indebolire la NATO, la retorica anti-UE e il ritorno a una politica isolazionista stanno creando una spaccatura profonda nel partito repubblicano stesso. Sempre più voci critiche emergono tra ex funzionari della sicurezza nazionale, diplomatici e persino alcuni membri del Congresso, preoccupati per le possibili conseguenze geopolitiche di una seconda presidenza Trump.

        Intanto, gli Stati Uniti si avvicinano alle elezioni in un clima che somiglia sempre di più a una polveriera. I toni si fanno sempre più aspri e gli episodi come quello accaduto nella notte vicino alla Casa Bianca non fanno che alimentare la percezione di un paese sull’orlo del caos. Il Secret Service ha evitato che la situazione degenerasse, ma l’episodio resta un campanello d’allarme: la rabbia nei confronti di Trump non è più solo una questione democratica, ma si sta insinuando anche tra chi, fino a poco tempo fa, lo vedeva come una guida sicura per l’America.

        Il vero interrogativo ora è fino a che punto questa tensione crescerà e se, in un paese sempre più armato e diviso, questi episodi diventeranno sempre più frequenti.

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          Mondo

          Il Vaticano spiega l’assenza di immagini fotografiche di Papa Francesco ricoverato

          Stando a quanto riferito, dalla Santa Sede si tratterebbe di una scelta dello stesso Bergoglio: “Ognuno è libero di scegliere come e quando farsi vedere”.

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            Da quando Papa Francesco è stato ricoverato al Policlinico Gemelli di Roma per una bronchite, poi aggravata in polmonite bilaterale, non sono state diffuse sue foto. Questo ha alimentato speculazioni e fake news. Fonti vaticane hanno spiegato che si tratta di una scelta dello stesso Bergoglio. Sottolineando che “ognuno è libero di scegliere come e quando farsi vedere“. Le fonti vaticane hanno anche commentato le teorie complottiste che circolano sui social. Hanno chiarito che “per alcuni forse neanche questo basterebbe“, riferendosi alla possibilità di avere una foto del Papa ricoverato. Eppure dopo il primo audio del Papa dopo il suo ricovero in molti si chiedono: ma come sta veramente Bergoglio? Cosa ci nascondono?

            Per la Santa Sede il processo clinico è regolare e sotto controllo

            Secondo i diversi aggiornamenti pubblicati dalla Santa Sede – che da quotidiani vengono emessi ogni due giorni, Papa Francesco trascorre notti tranquille. “Per il Papa la notte è trascorsa tranquilla, sta ancora riposando“, si legge nei comunicati mattutini. Quasi fosse un mantra. In settimana il Papa ha avuto ricadute pesanti con l’uso di intubazione e comunque è stato aiutato nella respirazione con l’ossigeno. In alucne notti è stato sottoposto a ventilazione meccanica non invasiva come prescritto dai medici. La situazione clinica rimane seria ma stabile. Il bollettino di ieri, sabato 8 marzo, ci racconta di graduali miglioramenti, con condizioni cliniche stabili e una buona risposta alla terapia. Il Papa rimane apiretico, gli scambi gassosi migliorano e gli esami del sangue sono stabili. Tuttavia, la prognosi resta riservata per prudenza. Bergoglio continuerà quindi con le terapie prescritte dai medici, tra cui l’ossigenoterapia ad alti flussi e la fisioterapia respiratoria e motoria attiva.

            Ma come sta davvero Papa Francesco?

            Il lait motive degli ultimi giorni è quindi lo stesso. “Il Papa si è svegliato, prosegue la terapia e fa la fisioterapia fisica“, continuano a riferire fonti vaticane. “In considerazione della complessità del quadro clinico, la prognosi rimane riservata“, spiegano i medici. Insomma sulle sorti del Papa come spesso accade l’ermetismo del Vaticano è secolare.

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              Cena a lume di dollari: Trump offre un pasto con lui a Mar-a-Lago per cinque milioni

              La campagna di Donald Trump non si ferma: dopo i gala da un milione di dollari a posto, ora arriva la cena privata per pochi (e ricchissimi) eletti. Tra raccolta fondi e dubbi sulla sicurezza, l’ex tycoon continua a macinare milioni.

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                Se avete sempre sognato di cenare con il presidente degli Stati Uniti, ora potete farlo. Basta avere a disposizione almeno due milioni di dollari, meglio ancora cinque, e la porta di Mar-a-Lago si aprirà per voi. Donald Trump ha lanciato il Candlelight Dinner, un evento esclusivo in cui il donatore si ritroverà seduto a lume di candela con il presidente, faccia a faccia nel suo lussuoso resort a Palm Beach, in Florida.

                Non è la prima volta che l’ex tycoon utilizza il cibo come pretesto per raccogliere fondi. Già nel fine settimana ha organizzato una cena di gala nel suo resort, dove ogni ospite ha dovuto versare un milione di dollari per partecipare. Eventi simili erano stati proposti anche a novembre e gennaio, alla vigilia del suo ritorno alla Casa Bianca.

                Un affare milionario (e qualche dubbio di sicurezza)

                L’iniziativa, svelata da Wired, solleva inevitabilmente interrogativi: quanto è sicuro un presidente che offre una cena privata a chiunque sia disposto a sborsare milioni? La Casa Bianca avrà previsto un protocollo per verificare che tra i donatori non ci sia un aspirante villain da romanzo di spionaggio?

                Ma a Trump interessa soprattutto un’altra questione: i soldi. Secondo Axios, la sua campagna punta a raccogliere mezzo miliardo di dollari entro l’estate, denaro destinato a rafforzare il suo apparato politico e, pare, anche a vendicarsi dei suoi nemici. Un dettaglio che fa sorgere una domanda ancora più inquietante: perché un presidente al secondo mandato ha bisogno di raccogliere così tanto denaro?

                Cena con Trump: il network dei grandi donatori

                Dietro l’operazione Candlelight Dinner c’è il comitato Maga Inc., che vede tra i suoi volti noti Miriam Adelson, vedova del magnate dei casinò Sheldon Adelson. Il gruppo fa parte di un network di potenti finanziatori trumpiani, che include Never Surrender e Building America’s Future, una no-profit collegata a Elon Musk.

                La cena di gala dello scorso weekend era riservata ai grandi donatori della campagna. Gli invitati hanno ricevuto un invito diretto da Meredith O’Rourke, consigliera e responsabile finanziaria del tycoon, con la precisazione che Trump non avrebbe chiesto donazioni, ma semplicemente parlato. Il prezzo per ascoltarlo? Un milione di dollari.

                Il messaggio, insomma, è chiaro: i soldi non dormono mai, nemmeno quando si spengono le luci e si accendono le candele di Mar-a-Lago.

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