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Storie vere

Tra cielo e mare: l’amore di Silvia Baldussu per la Sardegna vola sempre più in alto

Ecco un esempio di successo ottenuto con determinazione in una professione declinata prevalentemente al maschile.

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    Silvia Baldussu è pilota di Poste Air Cargo e va molto fiera del suo ruolo. Incarna la determinazione e il successo in una professione ancora a prevalenza maschile. Un ruolo dove la presenza femminile alla cloche fatica a decollare, con solo il 3,6% di piloti donna. “Si è lavorato tanto per la parità di genere e Poste Italiane ne è un esempio concreto, ma c’è ancora molta strada da fare“, racconta Silvia. “Oggi che sono mamma di due figli, mi rendo conto ancora di più di quanto sia fondamentale il supporto della famiglia per conciliare vita privata e professionale

    Sardegna, una terra a parte

    Nata a Roma nel 1977 da genitori sardi – il padre di Dolianova e la madre di Carbonia – Silvia ha sempre sentito forte il richiamo della sua terra. Fin da bambina sognava il cielo e, con passione e impegno. Ha realizzato il suo sogno diventando primo ufficiale sui Boeing 737 per Poste Air Cargo, la società del Gruppo Poste Italiane che assicura il trasporto aereo commerciale e la logistica per il recapito di posta e pacchi. Il suo traguardo è il risultato di anni di studio, addestramento e costante crescita professionale. Nel 2007 ha superato con successo le selezioni nel centro addestramento della compagnia. Da allora la sua carriera ha preso il volo tra aggiornamenti continui e la capacità di affrontare le sfide del settore aeroportuale. “Sono cresciuta in una famiglia in cui la parità di genere era un valore naturale. Non c’è mai stato il pensiero che una donna non potesse fare ciò che un uomo fa“, spiega.

    Il cuore di Silvia resta sempre legato alle sue origini

    Ogni volta che Silvia sorvola l’Isola, le emozioni si accendono. “Mi sento sarda a tutti gli effetti. Nell’Isola ho tutta la mia famiglia d’origine. Ogni volta che la vedo dall’alto, con il suo mare cristallino e la sua natura incontaminata, il mio cuore si riempie di orgoglio e nostalgia“. Il volo, per lei, non è solo un mestiere, ma anche un modo per rimanere connessa con la sua terra. Una terra che può ammirare dall’alto sentendola sempre vicina, come un abbraccio che la accompagna tra cielo e mare.

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      Storie vere

      Anna Possi, la barista centenaria che ti accoglie con il sorriso più bello del mondo

      Anna Possi, la barista più anziana d’Italia compie cento anni ma non se li sente proprio. Il suo elisir? “Mangio sempre poco, quanto basta”.

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        Anna vive a Nebbiuno, in provincia di Novara. E’ li che la barista più anziana d’Italia illumina la giornata a tutti i clienti del suo bar dove il tempo sembra essersi fermato. Anna si affaccia al bancone, con la sua solita eleganza e con un sorriso che ti strega, capace di cambiarti la giornata. E proprio nel suo bar Anna ha voluto festeggiare insieme ai suoi amici e alla clientela più affezionata i suoi 101 anni.

        Un milione di caffè e un cuore d’oro

        Sessantacinque anni dietro al bancone del suo amato Bar Centrale: un traguardo straordinario che la signora Anna ha raggiunto con la stessa leggerezza e passione di sempre. “Centun ‘anni? Ma io, davvero, non so mica come sono riuscita ad arrivare a questa età“, confessa con la sua proverbiale modestia. Eppure, la sua energia e la sua voglia di vivere sono contagiose. Si stima che Anna abbia servito oltre un milione di caffè in tutti questi anni. Un numero impressionante che testimonia la sua dedizione al lavoro e l’affetto che la lega alla sua clientela. Ma oltre ai numeri, ciò che colpisce di Anna è la sua umanità. “Mi piace il contatto con le persone“, dice con semplicità. E questa sua attitudine l’ha resa un punto di riferimento per tutta la comunità.

        Possiamo sapere qual è il segreto della sua longevità?

        Lei si schernisce e sorride. “Non ho segreti particolari. Mangio poco e di tutto, e cerco di mantenere la mente attiva. Poi, naturalmente, c’è il lavoro, che mi tiene in movimento e mi fa sentire utile“. E aggiunge, con un pizzico di ironia: “Ah, e la limonata gassata la sera, prima di andare a dormire!“. Quella di Anna è la storia di una donna forte, determinata e piena di vita, che ha affrontato le sfide con coraggio e positività. A proposito come le piace il caffè? Non ha dubbi ama il caffè espresso all’italiana, forte e aromatico. Lo prepara con una macchinetta tradizionale, seguendo una ricetta segreta tramandata dalla nonna. Dice che il segreto sta nella giusta miscela di caffè e nella quantità d’acqua.”Ma soprattutto la qualità dell’acqua che vale il 50% della bontà del caffè espresso“, quello consumato al Bar Centrale di Nebbiuno.

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          Storie vere

          Il Pantheon e la bottega delle salsicce di carne umana, il mistero che inquieta Piazza della Rotonda

          Sulla storia del Pantheon ci sono tanti dettagli ancora inesplorati. Come la bottega condotta da una coppia di norcini che produceva salsicce composta anche di carne umana.

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            Il Pantheon è uno dei monumenti simbolo di Roma, un’opera maestosa che ancora oggi incanta milioni di visitatori con la sua imponenza e il mistero che lo avvolge. Nel corso dei secoli, Piazza della Rotonda dove si affaccia il monumento, è stata teatro di numerose trasformazioni e storie macabre. Uno degli episodi più sinistri riguarda una piccola bottega di norcineria che si trovava proprio di fronte al Pantheon. Nel Settecento, l’area era popolata da taverne e ritrovi frequentati da malviventi e ubriaconi. Papa Pio VII ordinò un radicale intervento per “ripulire” la zona, facendo demolire molte delle botteghe malfamate. Tuttavia, una bottega resistette. E qual era questa bottega che riuscì a non essere demolita? Era quella di una coppia di norcini famosi per le loro salsicce di Norcia, rinomate in tutta Italia per il sapore inconfondibile. Ma che nascondevano un misterioso segreto…

            La salsiccia di “carne umana”…

            La leggenda narra che queste salsicce, tanto apprezzate, nascondessero un ingrediente terribile: carne umana. Si diceva che i due proprietari selezionassero attentamente i clienti prima di servirli, e che alcuni di loro venissero attirati nei sotterranei, dove si svolgeva una macabra operazione. Qui i coniugi li uccidevano e li macellavano, aggiungendo le loro carni a quelle di maiale in proporzioni misteriose. Le voci di questo segreto sconvolsero la città e spinsero il Papa ad intervenire. I due furono arrestati e giustiziati pubblicamente proprio davanti al Pantheon, come monito per la popolazione. La leggenda della bottega del Pantheon continua a vivere, ricordata da una targa che Papa Pio VII fece incidere, elogiandosi per aver ripulito la zona.

            Divinità, delitti e la bottega maledetta del Pantheon

            Ancora oggi, il Pantheon e la piazza che lo circonda sono simbolo di una Roma che unisce sacro e profano, antico e moderno, monumentale e macabro. Luogo di leggende, il Pantheon resta un’icona della città eterna, dove la storia si intreccia con il mistero, tra templi, taverne e antiche storie mai del tutto dimenticate.

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              Storie vere

              Chi era il bimbo del cioccolato Kinder Ferrero? Il modello Matteo Farneti dice basta: “Sono io quel bambino, non rubatemi l’immagine!”

              Non basta sorridere accanto a una scatola di cioccolato per diventare il volto Kinder. Ma chi è il bimbo di quell’immagine?

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                Ce lo ricordiamo un po’ tutti anche quelli che non consumavano le barrette della Kinder. Occhi azzurri, capelli biondi, sorriso rassicurante, era quel bimbo la cui immagine troneggiava su tutte le confezioni del cioccolato made in Ferrero. Per anni il suo volto è entrato nelle case di milioni di famiglie con le barrette della merenda. Una vera e propria icona. Dal 2004 al 2019, quello sguardo apparteneva a Matteo Farneti, oggi modello di Castel Maggiore (Bologna). Il cruccio di Farneti è il fatto che praticamente ogni giorno si trova a dover difendere la sua identità contro una schiera di usurpatori, millantatori e “pretendenti al trono” del bambino della Kinder. E tra questi troviamo anche il modello e attore Alessandro Egger, concorrente della trasmissione La Talpa.

                La conferma ufficiale della Ferrero: “Il bambino è Farneti!”

                A certificare la verità ci pensa la stessa multinazionale con sede ad Alba (Cn), che ha redatto e condiviso una nota ufficiale: “Possiamo confermare che il volto del bambino rappresentato sulle confezioni di Kinder Cioccolato dal 2004 al 2019 è stato quello di Matteo Farneti“. Eppure nonostante la dichiarazione, Farneti deve fronteggiare una situazione che definisce snervante. “Vedere persone che usano la mia immagine e si vantano di essere quel bambino è frustrante. Io devo giustificarmi per una cosa assurda: sono io il vero bambino Kinder, dovrebbero essere loro a spiegarsi!“. E incalza “Se davvero Egger ha lavorato per la Kinder, lo dimostri e usi una sua foto invece della mia! È spiacevole vedere la propria immagine in mano ad altri“.

                Il caso Egger che si vende come Kinder-boy

                La questione più spinosa riguarda Alessandro Egger, volto noto della televisione e dei social. Nel 2019, Egger ha pubblicato una foto su Instagram con una scatola di Kinder Cioccolato, lasciando intendere di essere lui il celebre bambino. Anche se non lo ha mai detto esplicitamente, i commenti sotto il post lo hanno immediatamente consacrato come l’ex bimbo Kinder, senza sapere, senza conoscere. Senza informarsi. Le dichiarazioni di Farneti del resto trovano un fondamento, considerando che Ferrero ha incluso il modello in un video ufficiale per celebrare il “ritiro” del volto dalla confezione, confermando ancora una volta la sua identità. Oggi Matteo lavora come modello e partecipa a campagne pubblicitarie, ma la confusione sull’iconico ruolo di bambino delle barrette non è senza conseguenze. Le false affermazioni lo hanno reso vulnerabile anche sul posto di lavoro. Ma come non era tutto chiarito? “Purtroppo nel mondo della moda e dello spettacolo qualcuno mi considera un bugiardo e questo mi danneggia professionalmente. È una storia che mi segue ovunque e mi costringe a giustificarmi continuamente“.

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