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Italia

Hai una casa da affittare a MIlano o nel suo hinterland? Preparati a guadagnare con le Olimpiadi di Milano-Cortina 2026

Affittare casa per le Olimpiadi di Milano-Cortina 2026 non è solo un’occasione di guadagno personale, ma anche un modo per contribuire al successo di un evento che promette di lasciare un’eredità economica duratura al territorio.

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    Le Olimpiadi Invernali di Milano-Cortina 2026 non sono soltanto un evento sportivo di portata globale, ma anche un’opportunità unica per i proprietari di case di trasformare le loro abitazioni in una fonte di guadagno. Con un afflusso previsto di oltre 2 milioni di visitatori nel Nord Italia, l’evento si prospetta un’occasione irripetibile per chi abita nelle zone interessate, tra Lombardia, Veneto e Trentino-Alto Adige.

    Quanto si può guadagnare?

    Secondo un’indagine condotta da Deloitte, i proprietari che decideranno di affittare la loro casa durante le olimpiadi potrebbero guadagnare cifre considerevoli. I redditi medi per notte variano a seconda della località:

    Lombardia: circa 161 euro a notte

    Veneto: fino a 401 euro a notte

    Trentino-Alto Adige: intorno ai 311 euro a notte

    Con una media stimata di 2.400 euro di entrate durante i 19 giorni delle olimpiadi, gli host avranno la possibilità di ammortizzare i costi e generare profitti significativi. La domanda di alloggi porterà inoltre a un incremento dell’80% dei prezzi rispetto alle tariffe abituali.

    Il ruolo di Airbnb

    Airbnb, partner ufficiale dei Giochi Olimpici e Paralimpici, giocherà un ruolo cruciale nel colmare il gap di posti letto disponibile. Senza il contributo della piattaforma, le località ospitanti avrebbero difficoltà a gestire il fabbisogno giornaliero stimato in 52.000 posti letto, con un totale di 4,2 milioni di pernottamenti previsti. Grazie ad Airbnb, non solo sarà possibile rispondere alla domanda crescente, ma anche distribuire i visitatori in aree meno turistiche. Questo contribuirà a sostenere le economie locali e ad incentivare lo sviluppo di borghi e piccoli centri limitrofi alle sedi di gara.

    Un impatto economico diffuso

    Le Olimpiadi Invernali non beneficeranno solo gli host- L’impatto economico complessivo, stimato in 154 milioni di euro, avrà effetti positivi sull’intero tessuto commerciale delle regioni coinvolte. I visitatori spenderanno in media 150 euro al giorno, destinandone circa la metà a cibo e bevande, con il resto suddiviso tra shopping, trasporti e intrattenimento. La Lombardia ospiterà la maggior parte delle competizioni e potrebbe accogliere fino a 31.000 ospiti al giorno. Veneto e Trentino-Alto Adige, con rispettivamente 8.000 e 4.700 ospiti al giorno, giocheranno un ruolo altrettanto fondamentale, garantendo un’offerta diversificata di alloggi e servizi.

    Olimpiadi e futuro: eredità e sostenibilità

    Gli effetti economici dell’evento si estenderanno ben oltre il periodo dei Giochi. Secondo Deloitte, nei successivi 18 mesi l’evento genererà ulteriori ricavi per le aree ospitanti, contribuendo a migliorare le infrastrutture, sostenere la digitalizzazione e finanziare progetti di contrasto ai cambiamenti climatici. Inoltre, grazie alle imposte derivanti dagli affitti e dalla spesa dei turisti, le regioni potranno investire in modo significativo nel loro sviluppo economico e ambientale.

    Come ti devi preparare all’evento

    Chi possiede una casa nelle zone interessate può già da ora iniziare a prepararsi, rendendo la propria abitazione attrattiva per i visitatori. Airbnb offre un supporto completo per i nuovi host, inclusi consigli su come arredare e gestire l’accoglienza. Non solo sarà possibile sfruttare l’opportunità durante l’evento, ma l’interesse per le località ospitanti potrebbe crescere anche nei mesi precedenti e successivi, attirando turisti che desiderano esplorare le bellezze naturali e culturali dell’area.

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      Italia

      Smaltimento rifiuti, la Sicilia è ancora la regione dove si paga di più

      Le differenze nei costi della TARSU tra le diverse regioni italiane riflettono in gran parte le variazioni nell’efficienza della gestione dei rifiuti e nelle infrastrutture disponibili. Mentre le regioni del Nord tendono a beneficiare di un sistema più avanzato e sostenibile, il Sud e le isole spesso devono fare i conti con inefficienze che si traducono in tariffe più elevate per i cittadini

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        In questi giorni stanno arrivando gli avvisi da parte dei comuni per il pagamento della TARSU, ovvero la Tassa per lo Smaltimento dei Rifiuti Solidi Urbani, è una delle voci di spesa che i cittadini italiani devono affrontare ogni anno. Si può estinguere in una rata unica oppure in tre rate già determinate dal comune di residenza con bollettino F24 allegato. Questo tributo, che è stato in parte sostituito dalla TARI (Tassa sui Rifiuti) nel 2014, varia notevolmente tra le diverse regioni italiane. Vediamo come si differenziano i costi della TARSU nelle principali regioni.

        Le regioni del nord sono le più efficienti

        Lombardia, Piemonte e Veneto da sempre mostrano una gestione più efficiente del servizio di smaltimento dei rifiuti, con costi relativamente contenuti. In Lombardia i costi medi della TARSU sono tra i più bassi. Variano dai 150 ai 250 euro annui per una famiglia di quattro persone. A Milano, in media si resta al di sotto dei 300 euro anche se la gestione dei rifiuti urbani è sempre più sostenibile. Il Piemonte applica tariffe che variano dai 180 ai 270 euro annui. Il capoluogo Torino garantisce tariffe moderate, beneficiando di un sistema di raccolta differenziata ben organizzato che in media è di 250 euro annui. Il Veneto ha dei costi medi che oscillano tra i 160 e i 260 euro, con Venezia che però supera i 300 euro annui a famiglia.

        Nel centro Italia un leggero aumento

        Nel Centro Italia, i costi della TARSU cambiano e crescono con alcune aree che presentano tariffe più elevate rispetto al Nord. In Toscana per esempio i costi medi sono tra i 200 e i 300 euro annui. Firenze riesce a mantenere le tariffe nella media di 290 euro. Nel Lazio a Roma, i costi possono essere più elevati, con una media che varia dai 250 ai 350 euro. La capitale ha problemi di gestione e smaltimento dei rifiuti. Nelle Marche le tariffe si mantengono tra i 190 e i 280 euro, con una buona performance nella raccolta differenziata che contribuisce a contenere i costi.

        Le dolenti note del Sud Italia e delle Isole

        Le regioni del Sud Italia e le isole, come Sicilia e Sardegna, hanno costi della TARSU più alti del Paese. La causa molto spesso è l’inefficienze nella gestione dei rifiuti e il minori numero delle infrastrutture disponibili. Napoli per esempio è tra le città con i costi più alti, con tariffe che possono raggiungere i 400 euro annui con problemi cronici nella gestione dei rifiuti. Ma la cifra più alta viene pagata in Sicilia a Palermo e Catania che soffrono di mancanza di impianti. I costi medi dell’isola vanno dai 250 ai 400 euro. Palermo e Catania, in particolare, registrano tariffe più elevate che sfiorano i 500 euro annui per famiglia. Diversa la situazione in Sardegna dove il costo per lo smaltimenti dei rifiuti urbani costi medi annui scendono da 220 e i 340 euro. L’isola deve affrontare la sfida della raccolta nelle aree più remote difficili da raggiungere.

        Ma perché questa tassa in Sicilia costa di più

        In Sicilia la Tarsu ha cifre maggiori per una serie di motivi che vanno dalla difficoltà a organizzare una raccolta e uno smaltimento efficaci, con conseguenti costi operativi elevati, a una mancanza di pianificazione e una inefficienza amministrativa generalizzata. Inoltre l’Isola soffre della carenza di impianti moderni di trattamento e riciclaggio. Questo significa che una grande quantità di rifiuti deve essere trasportata in altre regioni o gestita in discariche locali, aumentando i costi. Per ridurre questi costi sarebbe necessario un intervento su più fronti. Migliorare l’efficienza gestionale, investire in nuove infrastrutture, aumentare la raccolta differenziata e combattere la corruzione. Passaggi fondamentali per ridurre le tariffe e migliorare il servizio per i cittadini. La cooperazione tra amministrazioni locali, regionali e nazionali è essenziale per affrontare questi problemi in modo efficace e sostenibile.

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          Italia

          Dottore si svegli deve andare in guerra! Chi sarebbe coinvolto in Italia in caso di conflitto

          Una panoramica sui criteri, categorie esonerate e nuove norme per il ripristino della leva obbligatoria in caso di guerra.

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            Ma nel caso in cui scoppiasse una guerra o ci fossero delle tensioni davvero speciali ai nostri confini, chi scende in campo? Se lo sono chiesti in diversi in queste ultime settimane. In uno scenario di conflitto in Italia, il richiamo alle armi coinvolgerebbe diverse categorie di persone. In prima linea verrebbero mobilitati i militari professionisti appartenenti a Esercito, Marina, Aeronautica, Carabinieri e Guardia di Finanza. E poi? Seguirebbero gli ex militari che hanno lasciato le Forze Armate da meno di cinque anni. E noi civili? No i civili potrebbero essere chiamati solo in caso di estrema necessità. Siamo sicuri? Ma, sì, forse…

            In caso di guerra per prima cosa andrebbe ripristinato il servizio militare obbligatorio

            Il servizio militare obbligatorio, sospeso dal 1° gennaio 2005, potrebbe essere reintrodotto con un decreto ministeriale qualora il contingente professionale fosse insufficiente. La sospensione del servizio di leva obbligatoria è entrato in vigore grazie alla Legge 23 agosto 2004, n. 226, conosciuta anche come “Legge Martino”. I cittadini italiani non sono più tenuti a prestare servizio militare obbligatorio. Le Forze Armate italiane quindi sono composte da personale volontario. In caso di guerra le donne, anche se al momento escluse dalla leva obbligatoria, potrebbero essere incluse con un aggiornamento legislativo. Il richiamo sarebbe esteso alle persone di età compresa tra i 18 e i 45 anni, ma in situazioni straordinarie il limite di età potrebbe essere aumentato.

            Esoneri ne abbiamo?

            Diversi fattori determinerebbero l’esonero dal servizio, tra cui idoneità fisica e morale, condizioni familiari particolari (orfani, genitori a carico, soggetti con prole) e situazioni economiche critiche. Gli arruolati verrebbero assegnati principalmente all’Esercito, con ruoli specifici in Marina o Aeronautica basati sulle personali esperienze e le attitudini.

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              Italia

              Salari reali in Italia: una crisi senza paragoni nel G20

              L’Italia è il Paese del G20 dove i salari hanno subito la più forte perdita di potere d’acquisto dal 2008 a oggi: – 8,7%.

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                Secondo il Rapporto mondiale sui salari 2025-26 dell’Oil (Organizzazione internazionale del lavoro), l’Italia si colloca all’ultimo posto tra i Paesi del G20 per perdita di potere d’acquisto dei salari dal 2008. Con un calo dell’8,7%, il nostro Paese registra una performance negativa, mentre nazioni come Germania (+15%) e Francia (+5%) vedono un aumento significativo nello stesso periodo.

                Ingabbiati tra inflazione e produttività

                Negli ultimi tre anni, i salari reali in Italia hanno subito una diminuzione significativa, con un calo del 3,3% nel 2022 e del 3,2% nel 2023. Nonostante l’incremento del 2,3% nel 2024, questo aumento non è sufficiente a compensare l’impatto dell’inflazione, che nel 2022 ha toccato il picco dell’8,7%. L’inflazione, che colpisce maggiormente i salari più bassi, insieme a fattori strutturali come la scarsa produttività, il nanismo industriale e i limitati investimenti in innovazione tecnologica, ha contribuito a questa crisi salariale.

                Contrattazione inadeguata

                Nonostante la crescita della produttività negli ultimi anni, l’Oil sottolinea che i contratti nazionali di lavoro, pur diffusi, non sono riusciti a mantenere i salari in linea con l’aumento dei prezzi. Il riferimento all’indice Ipca, che esclude i prezzi dei beni energetici importati, e la distribuzione dei guadagni di produttività limitata ai contratti aziendali hanno penalizzato una larga fascia di lavoratori.

                Diseguaglianze salariali

                Il quadro è aggravato da forti diseguaglianze tra lavoratori italiani e stranieri, con una differenza mediana del 26% a sfavore dei secondi. Inoltre, le donne percepiscono salari inferiori agli uomini, spesso costrette al part-time, mentre i giovani, anche con titoli di studio elevati, ricevono stipendi nettamente inferiori rispetto ai loro coetanei in altri Paesi avanzati.

                Le risposte del mondo del lavoro

                Questa complessa situazione ha portato a interventi della magistratura per garantire retribuzioni dignitose, come richiesto dall’articolo 36 della Costituzione. Tuttavia, le risposte di governo, imprese e sindacati appaiono insufficienti. Il leader della Cgil, Maurizio Landini, ha dichiarato la necessità di una vertenza sui salari, promuovendo uno sciopero dei metalmeccanici previsto per il 28 marzo.

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