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Musica

Per Pavarotti 90 lirica e pop a Verona: tutti insieme appassionatamente

Il prossimo 30 settembre all’Arena di Verona un omaggio epico al Maestro, tra grandi voci liriche e stelle del pop. Da Laura Pausini a Carreras, il cast fa tremare le mura dell’Arena.

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    Modena non ne rappresentarà il palco… ma resta sicuramente il cuore. Il 12 ottobre 2025 Luciano Pavarotti avrebbe compiuto 90 anni. Per celebrarlo, il 30 settembre l’Arena di Verona ospiterà “Pavarotti 90”, un concerto-evento tra lirica e pop che riunisce alcuni dei più grandi interpreti del panorama musicale internazionale. Un omaggio al Tenorissimo, all’artista e all’uomo che ha fatto della musica un linguaggio universale.

    Bocelli, Domingo, Carreras & co: la lirica risponde presente

    A svelare i primi nomi ci hanno pensato Nicoletta Mantovani, presidente della Fondazione Pavarotti, e Ferdinando Salzano di Friends & Partners. E il cast è già da pelle d’oca: Placido Domingo, José Carreras, Andrea Bocelli, Vittorio Grigolo, Francesco Meli, Fabio Sartori, Jonathan Tetelman, Marcelo Alvarez. Con loro, regine della lirica come Angela Gheorghiu, Carmen Giannattasio, Mariam Battistelli e Giulia Mazzola. Un vero dream team vocale, unito nel nome di Luciano.

    Anche il pop fa la sua parte: Laura Pausini in prima fila

    Non poteva mancare la musica leggera, nel solco del leggendario Pavarotti & Friends. Ad aprire le danze del pop sarà Laura Pausini, grande amica di Pavarotti, con cui duettò più volte e che lo accompagnò nel celebre viaggio in Guatemala nel 2001. Ma non sarà sola: altri big della canzone italiana e internazionale verranno annunciati a breve.

    Giovani promesse e un sogno chiamato Accademia

    Oltre ai nomi noti, saliranno sul palco anche i giovani della Fondazione Pavarotti, coltivati con masterclass e concorsi. “È quello che mio padre avrebbe voluto: dare spazio ai nuovi talenti”, ha raccontato Alice Pavarotti. Il grande sogno? Aprire un’Accademia dedicata a Luciano. Ma, ammette Nicoletta Mantovani, “servono aiuti concreti”.

    Musica e solidarietà: perché Luciano è ancora qui

    A dirigere il tutto, l’Orchestra Fondazione Pavarotti, nata proprio per mantenere viva l’eredità musicale del Maestro. Parte del ricavato sarà destinato a Operazione Pane dell’Antoniano di Bologna e alla Casa Museo di Santa Maria Mugnano. E sì, molto probabilmente il concerto sarà anche trasmesso in TV e distribuito all’estero.

    E Modena? Nel cuore, se non sul palco

    Certo, c’è chi avrebbe voluto vedere questo evento a Modena, la sua città. Ma l’Arena di Verona è un tempio che ben si presta a questa liturgia musicale. E Luciano, ne siamo certi, avrebbe sorriso vedendo tutti questi artisti riuniti non per sé, ma per la musica.

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      Musica

      Freddie, i suoi ricordi e la sorella in incognito: l’asta che ha spaccato la famiglia Mercury

      Non voleva che i gilet, le giacche, i testi manoscritti e gli oggetti più personali di Freddie Mercury finissero sparsi per il mondo. Così la sorella dell’artista ha fatto offerte in incognito per più di quaranta cimeli, comprati da Sotheby’s. Mary Austin, custode dell’eredità di Freddie, aveva deciso di venderli. Un gesto che Kashmira ha vissuto come un tradimento. E che riapre vecchie ferite mai sopite.

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        Una giacca militare da mezzo milione, un gilet con i gatti di Freddie, pagine di testi scritti a mano, un jukebox, una lampada. E il dolore, silenzioso e personale, di chi non voleva che tutto questo diventasse oggetto da vetrina. Kashmira Bulsara, sorella di Freddie Mercury, ha fatto quello che nessuno si aspettava: ha ricomprato in incognito oltre 40 cimeli appartenuti al fratello, messi all’asta dalla storica compagna e amica dell’artista, Mary Austin.

        Una spesa di circa tre milioni di sterline. Non per investimento, non per nostalgia. Ma per salvare ciò che restava. Per riportare a casa frammenti di un fratello amato, che stava per essere frantumato all’incanto. “Capisce l’amore del mondo per Freddie – ha riferito una fonte vicina – ma non accettava che oggetti così intimi finissero in mani sconosciute”. Ogni oggetto, ogni fibra di quel guardaroba iconico, parlava di lui.

        Il più caro? Una giacca militare realizzata per il trentanovesimo compleanno del cantante: 457.200 sterline. Poi il gilet con i suoi sei gatti, immortalato nel video di These Are the Days of Our Lives, uno degli ultimi prima della morte: 139.700 sterline. E ancora: il jukebox Wurlitzer (406.400), i testi di Killer Queen (279.400), una lampada Art Deco, un secchiello per il ghiaccio. Ogni oggetto, un affondo.

        E ogni rilancio, un atto d’amore. O di dolore. Perché quella collezione, per Kashmira, non doveva nemmeno finire in vetrina. Dopo trent’anni di silenziosa custodia, Mary Austin aveva deciso di vendere tutto. Ma a chi appartiene davvero la memoria di un uomo? Alla donna che ha vissuto con lui gli anni della gloria e della solitudine, o al sangue del suo sangue?

        Lui stesso non aveva mai fatto mistero del legame profondo con Mary. “È come se fossimo sposati”, diceva. Le lasciò metà del suo patrimonio, mentre l’altra metà fu divisa tra i genitori e Kashmira. Ma alla morte di Jer e Bomi, le quote tornarono a Mary. Fu lei a riportare le ceneri di Freddie a Garden Lodge. Fu lei, nel tempo, a restare. Ma non senza ombre.

        Pochi mesi dopo la morte dell’artista, fu lei a chiedere a Jim Hutton, il compagno con cui Freddie aveva vissuto i suoi ultimi sei anni, di lasciare la casa. Garden Lodge, acquistata nel 1978 per 300.000 sterline, è oggi sul mercato per 30 milioni. E l’anno scorso, con la vendita del catalogo musicale dei Queen a Sony, Mary avrebbe ricevuto un dividendo personale di 187,5 milioni di sterline.

        Non stupisce, quindi, che la decisione di vendere gli oggetti più personali di Freddie non sia stata presa bene da tutti. Soprattutto dalla sorella, che ha agito con riservatezza, ma anche con rabbia. Nessuno doveva sapere. Nessuno doveva sospettare. Ha visitato l’esposizione da Sotheby’s da sola, in anticipo. Il giorno dell’asta, ha mandato l’assistente personale a fare le offerte. Lei, da lontano, ha seguito tutto.

        Un gesto familiare, più che patrimoniale. Un modo per non vedere dissolversi un pezzo di sé. Perché ci sono cimeli che diventano reliquie, ma prima ancora sono resti d’affetto. E mentre il mondo celebra Mercury come icona globale, la sua famiglia – quella di sangue – continua a combattere in silenzio per non perderlo del tutto.

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          Musica

          L’incredibile storia de “L’arcobaleno”, la canzone che Battisti avrebbe dettato a Mogol dall’aldilà

          Negli ultimi giorni è tornata alla ribalta una vicenda affascinante e al limite del paranormale: Mogol, storico paroliere e amico di Lucio Battisti, ha raccontato al Corriere della Sera un episodio che ha dell’incredibile. Secondo quanto dichiarato, sarebbe stato proprio Battisti – scomparso nel 1998 – a contattarlo dall’aldilà, tramite una medium, per consegnargli una nuova canzone: “L’arcobaleno”, interpretata da Adriano Celentano e pubblicata nel 1999 nell’album “Io non so parlar d’amore”.

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            Tutto comincia quando una medium di Sassuolo si mette in contatto con la segretaria di Mogol, affermando di avere un messaggio urgente da parte di Battisti. Mogol, inizialmente scettico, decide di ignorare la richiesta. Tuttavia, qualche giorno dopo, sfogliando una rivista, nota una fotografia di Lucio circondato da un arcobaleno. Un dettaglio apparentemente banale, ma che gli provoca un forte turbamento.

            L’episodio spinge Mogol a incontrarsi con Adriano Celentano, Claudia Mori e Gianni Bella. Durante quel pranzo, Bella gli fa ascoltare una melodia che aveva già composto: Mogol sente immediatamente che quella musica è perfetta per il testo che aveva iniziato a scrivere. Pochi giorni dopo, in auto da Lodi a Milano, completa il brano in soli 15 minuti. La chiave del testo arriva quando un arcobaleno appare proprio davanti a lui, attraversando l’autostrada: “L’arcobaleno è il mio messaggio d’amore / può darsi un giorno ti riesca a toccare”.

            Un successo immediato: Celentano e L’arcobaleno

            Pubblicata nel 1999, L’arcobaleno diventa subito un successo. La voce intensa di Celentano, unita alla suggestione del testo e alla storia che la precede, trasformano la canzone in un vero inno alla spiritualità, all’amicizia e alla memoria. Il brano si apre con versi che sembrano proprio un messaggio postumo da parte di Battisti:

            “Io son partito poi così d’improvviso
            Che non ho avuto il tempo di salutare
            L’istante è breve, ancora più breve
            Se c’è una luce che trafigge il tuo cuore…”

            Le polemiche: la verità sulla medium e la lettera della moglie di Battisti

            La vicenda ha suscitato forti reazioni. Paola Guidelli, indicata inizialmente come la medium, ha poi dichiarato a Rockol di non essere mai stata realmente in contatto con lo spirito di Battisti. Ha spiegato che il suo gesto era motivato solo da una grande stima verso l’artista.

            Anche la famiglia di Battisti non è rimasta in silenzio. Grazia Letizia Veronese, vedova del cantautore, ha pubblicato una dura lettera in cui ha espresso dissenso per il modo in cui è stata raccontata la storia, facendo luce su aspetti privati e controversi del rapporto tra Mogol e Battisti, interrotto da tempo e per motivi, a quanto pare, economici.

            Un sogno, un arcobaleno e un’immagine simbolica

            Non meno suggestiva è la parte della storia che coinvolge Giulio Caporaso, direttore del magazine Firma. Dopo aver partecipato a un concerto tributo in onore di Battisti, Caporaso sogna di incontrarlo su una spiaggia sotto un arcobaleno. Il giorno dopo commissiona un’immagine di Lucio con l’arcobaleno, la stessa che tanto colpì Mogol. Il cantautore, nel sogno, gli avrebbe detto: “L’arcobaleno rappresenta l’alleanza tra Dio e l’uomo”.

            Tra mito, memoria e musica

            Quella di L’arcobaleno non è solo la storia di una canzone, ma di un legame profondo tra due anime artistiche. È un racconto che unisce amicizia, spiritualità e musica, destinato a restare impresso nella memoria collettiva.

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              Musica

              Le canzoni della Resistenza: la colonna sonora del 25 aprile

              Dai canti partigiani ai brani contemporanei, un viaggio tra note e parole che tengono viva la voce della Liberazione

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                Non è festa, il 25 aprile. È una promessa. Un giuramento collettivo, sottoscritto ogni anno da chi sa che la libertà è una conquista da difendere giorno per giorno. E la musica, come spesso accade, è il veicolo più potente per custodire la memoria e tramandarla. Perché se le parole si dimenticano, le canzoni no.

                A fare da apripista, naturalmente, è “Bella Ciao”. Non un semplice canto partigiano, ma l’inno universale dell’antifascismo. Nato dal cuore della Resistenza italiana, cantato sulle montagne e nelle piazze, oggi è stato reinterpretato in mille versioni, ma quella dei Modena City Ramblers resta una delle più iconiche. Una bandiera sonora, capace di attraversare le generazioni.

                Accanto a lei, “Fischia il vento”, scritto dal medico e poeta Felice Cascione, suona come una marcia solenne verso l’ideale. La versione di Maria Carta restituisce tutta la forza struggente di quel canto, con versi che non lasciano spazio all’equivoco: “E se ci coglie la crudele morte / Dura vendetta verrà dal partigian”.

                C’è poi “Oltre il ponte”, firmata da Italo Calvino e musicata da Sergio Liberovici: “Avevamo vent’anni e oltre il ponte… tutto il bene del mondo avevamo nel cuore”. Parole che fotografano il coraggio di una generazione che ha scelto da che parte stare.

                Ma non è solo il passato a cantare. “Guardali negli occhi” dei C.S.I., contenuta nella raccolta “Materiale resistente 1945-1995”, è una testimonianza diretta di quanto la Resistenza non sia affare d’archivio, ma materia viva. “Perché se libero un uomo muore, non importa di morire”, canta Giovanni Lindo Ferretti, e il verso resta scolpito nell’anima.

                Anche Francesco Guccini, in “Quel giorno d’aprile”, rievoca la Liberazione con lo sguardo del bambino che era: “L’Italia cantando ormai libera allaga le strade…”. La musica si fa racconto, memoria intima e collettiva.

                Lo stesso vale per “La Libertà” di Giorgio Gaber, una riflessione profonda, quasi filosofica, sulla libertà come scelta e responsabilità. E per “Le storie di ieri” di Francesco De Gregori, scritta nel cuore degli anni ’70 e reinterpretata anche da Fabrizio De André, che mette a nudo il rischio del ritorno dei fantasmi del passato.

                A proposito di De Gregori, “Viva l’Italia” è una canzone che andrebbe insegnata a scuola: “L’Italia liberata… l’Italia che resiste”. Un atto d’amore per un Paese imperfetto, ma capace di rinascere.

                La voce ironica ma profondamente tragica di Enzo Jannacci in “Ma Mi”, brano scritto da Giorgio Strehler, racconta in dialetto milanese il dolore e la dignità di chi ha resistito senza mai tradire.

                Poi ci sono gli anni recenti, quelli in cui la memoria ha dovuto cercare nuove forme. “Liberi tutti” dei Subsonica e Daniele Silvestri è una di queste: una fuga a tutta velocità dalle catene invisibili del presente. Un grido contro l’omologazione, un invito a resistere.

                Infine, “Lettera del compagno Laszlo al colonnello Valerio” di Giorgio Canali. Una canzone cruda, diretta, che restituisce l’eco della giustizia sommaria che ha chiuso il ventennio fascista. Una voce fuori dal coro, ma necessaria.

                Ecco, il 25 aprile è anche questo: un jukebox della memoria. Una playlist che pulsa sotto la pelle dell’Italia, tra bande musicali, vinili graffiati e playlist Spotify. Ogni nota, un fiore sul sentiero della libertà.

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