Auto e moto
Ferrari, il ritorno all’endurance: genio, bellezza e la sfida senza tempo
La 499P conquista i cuori degli appassionati e domina sulle piste: un progetto tutto italiano che fonde libertà creativa, ingegneria e passione, riportando la Ferrari alle sue origini più autentiche.

“Un sogno che ci ha riportato alle radici”. Così raccontano a Maranello la straordinaria avventura della Ferrari nelle gare di endurance, un ritorno che profuma di storia e di leggenda.
La scelta di dedicarsi esclusivamente alla Formula Uno, nel 1973, sembrava aver chiuso un’epoca. E invece, cinquant’anni dopo, la Ferrari ha ceduto di nuovo al richiamo del sangue: quello che pulsa tra motori, asfalto e sogni.

La 24 Ore di Le Mans del 2023 ha segnato l’inizio di una nuova epopea: la vittoria della Ferrari 499P sul circuito Bugatti, nel centenario della corsa più suggestiva del mondo, è stata un capolavoro di tecnologia e cuore italiano.
Un successo replicato nella stagione successiva, a confermare che il ritorno non era solo una parentesi romantica, ma un progetto solido e vincente.
Domani, tre equipaggi del Cavallino saranno protagonisti alla 6 Ore di Imola, il secondo appuntamento del WEC, il Mondiale endurance che, per prestigio, guarda negli occhi perfino la Formula Uno.
Un’avventura tutta italiana, che parla di passione, innovazione e coraggio.

Antonio Coletta, responsabile delle attività endurance e corse clienti di Maranello, racconta: «All’inizio sembrava impossibile. Non potevamo permetterci un progetto dai costi simili alla F1. Quando la FIA ha cambiato il regolamento abbassando i costi, abbiamo iniziato a pensarci seriamente. Alla fine del 2020 l’azienda ci ha dato l’ok. Era ancora un sogno, ma ci abbiamo creduto».
Un sogno che oggi è una realtà trionfante, sostenuta da un lavoro di squadra che ha coinvolto ogni settore Ferrari: dalle auto stradali alla Formula Uno, in una fusione di competenze e orgoglio.
Già tutte vendute le Ferrari protagoniste in pista: i gioielli rossi, dal 2023 al 2027, sono stati acquistati da collezionisti appassionati.
Un modello economico virtuoso: sponsor e vendite hanno garantito un bilancio in pareggio, rendendo la Ferrari l’unico team a non gravare sul campionato.
Dal primo schizzo a matita a un capolavoro d’ingegneria.
Ferdinando Cannizzo, ingegnere aeronautico e direttore tecnico del progetto, racconta la nascita della 499P: «Siamo partiti sapendo di voler creare una Ferrari vera, non una copia delle tante macchine anonime della categoria. Prima lo scheletro, poi la carrozzeria. All’inizio era funzionale, forse anche brutta. Solo dopo aver raggiunto il massimo delle prestazioni, ci siamo confrontati con gli stilisti e gli aerodinamici. E piano piano la bellezza è emersa».
Un lavoro durato otto mesi senza sosta. Lo shake-down nel luglio 2022 con Alessandro Pier Guidi al volante fu un atto di fede: nessuno sapeva nemmeno se l’auto sarebbe partita.
Poi, l’idea geniale: sviluppare contemporaneamente due macchine, una per testare le prestazioni, l’altra per l’affidabilità.
Un metodo rischioso, ma geniale. Come solo gli italiani, raccontano Coletta e Cannizzo, sanno fare: «Genio, incoscienza, capacità di gestire l’imprevedibile. Solo noi potevamo costruire un piano simile».
E i risultati sono già leggenda.
Dopo il trionfo a Le Mans, il dominio nell’esordio stagionale in Qatar con tre equipaggi sul podio.
E ieri, nella prima giornata di prove libere della 6 Ore di Imola, miglior tempo per la 499P numero 51 di Pier Guidi, Giovinazzi e Calado, seguiti dagli altri due equipaggi di Maranello in quarta e settima posizione.
Un cammino che è solo all’inizio, ma che ha già ridato alla Ferrari quella dimensione epica che sembrava irrimediabilmente legata agli anni d’oro.
La libertà creativa, il talento tecnico, la capacità di trasformare un sogno in un progetto vincente: tutto questo è tornato a battere forte nel cuore del Cavallino.
E come tutte le grandi storie Ferrari, anche questa parla una lingua fatta di emozione, coraggio e bellezza.
Una lingua che, ancora una volta, il mondo intero sa riconoscere senza bisogno di traduzioni.
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Auto e moto
Tesla e il contachilometri impazzito: scoppia il caso sulla garanzia truccata
Una causa legale accusa Tesla di manipolare a distanza i contachilometri delle auto usate, accelerandone l’usura apparente per far decadere la garanzia. Un nuovo scandalo che si inserisce in una serie di pratiche discutibili, dai limiti occulti alle batterie ai sequestri digitali dei veicoli.

I veicoli Tesla stanno diventando protagonisti di un trend inquietante: la manipolazione dei dati digitali a danno dei consumatori. Un recente caso giudiziario ha portato alla luce una pratica tanto subdola quanto allarmante, sollevando interrogativi fondamentali sul controllo che i produttori mantengono sui veicoli, attraverso aggiornamenti remoti e interfacce digitalizzate.
La causa legale, depositata lo scorso febbraio, accusa il colosso di Elon Musk di alterare a distanza i valori dei contachilometri sui veicoli considerati “particolarmente problematici”, con l’obiettivo di farli superare artificialmente il limite di garanzia delle 50.000 miglia.
Il caso emblematico riguarda un proprietario californiano che, dopo aver acquistato una Tesla usata con 36.772 miglia all’attivo, ha notato anomalie inspiegabili: pur percorrendo circa 20 miglia al giorno, il contachilometri registrava aumenti quotidiani di oltre 72 miglia. Un’anomalia tanto eclatante quanto, paradossalmente, difficile da rilevare senza un monitoraggio costante.
Non si tratta di un episodio isolato. I forum dedicati a Tesla raccolgono segnalazioni simili: picchi improvvisi del chilometraggio, poi il ritorno alla normalità subito dopo lo scadere della garanzia. Una dinamica che si inserisce in un più ampio ventaglio di pratiche controverse adottate dal costruttore californiano.
Già nell’estate del 2023, Tesla era finita sotto accusa per aver deliberatamente fornito dati ingannevoli sull’autonomia reale delle sue batterie. Era emerso che l’azienda aveva creato un centro operativo fittizio in Nevada, il “diversion team”, incaricato di deviare le chiamate dei clienti insoddisfatti. Gli operatori, istruiti a mantenere le conversazioni sotto i cinque minuti, fingevano di eseguire diagnosi sui veicoli per rassicurare gli utenti, senza in realtà verificare nulla.
Ciò che rende Tesla un caso unico nel panorama automobilistico è la sua architettura digitale: i suoi veicoli sono progettati per ricevere aggiornamenti “over-the-air” che possono modificare profondamente le funzionalità dell’auto, spesso senza il consenso – o addirittura contro l’interesse – dei proprietari.
Se, ad esempio, un utente smette di pagare l’abbonamento che consente di utilizzare tutta la capacità della batteria, Tesla può ridurre a distanza l’autonomia disponibile, limitandola alla metà. Non solo: può bloccare le portiere, immobilizzare l’auto, suonare il clacson, lampeggiare i fari e sbloccare il veicolo al momento dell’arrivo dell’incaricato al sequestro.
Il problema di fondo risiede nel Digital Millennium Copyright Act (DMCA) del 1998. Nonostante il nome, la legge protegge più i modelli di business delle aziende che i diritti d’autore. La Sezione 1201 del DMCA rende infatti un crimine federale qualsiasi tentativo di aggirare i blocchi software: modificare una Tesla per impedirle di “automanipolarsi” costituisce un reato, punibile con cinque anni di carcere e 500.000 dollari di multa, anche senza violazione di copyright.
Un sistema che Jay Freeman, esperto di sicurezza informatica, ha definito come “oltraggio criminale al modello di business”: la legge non difende il consumatore, ma tutela pratiche aziendali al limite dell’etico, impedendo agli utenti di riprendere il controllo sui propri dispositivi.
Le automobili moderne, Tesla in testa, sono ormai diventate computer su ruote progettati per servire più gli interessi del produttore che quelli del proprietario. Auto capaci di rubare dati sulla posizione, rivenderli ai broker, immobilizzarsi in caso di mancato pagamento e spiare lo stile di guida per favorire le compagnie assicurative.
Il rischio? Possedere un veicolo che non risponde più ai comandi del suo proprietario, ma solo a quelli di un server distante migliaia di chilometri.
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