Cronaca
La tanatoprassi di Papa Francesco: così è stato preparato il corpo per l’ultimo saluto
Con l’iniezione di fluidi speciali e cure estetiche, il corpo di Papa Francesco è stato trattato secondo la tecnica della tanatoprassi, garantendo un aspetto integro per l’ultimo omaggio dei fedeli. Una pratica già utilizzata per Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, in attesa della sepoltura.

Per consentire ai fedeli di rendere omaggio alla salma di Papa Francesco, esposta in Basilica di San Pietro nei giorni successivi alla sua morte, era stata eseguita una procedura particolare di conservazione: la tanatoprassi. Si è trattato di un trattamento post-mortem che ha permesso di preservare l’aspetto del corpo per alcuni giorni, prima della sepoltura, come da tradizione consolidata per i Pontefici.
Iniezione nel sistema arterioso di un fluido conservante
La tanatoprassi consiste nell’iniezione nel sistema arterioso di un fluido conservante, unita a cure igieniche ed estetiche volte a rallentare il processo di decomposizione. Grazie a questa tecnica, la salma di Papa Francesco ha potuto mantenere un’immagine integra, consentendo a migliaia di persone di tributargli l’ultimo saluto senza che il tempo ne alterasse l’aspetto.
Dura circa 15 giorni
Solitamente, il trattamento consente di preservare il corpo fino a 10-15 giorni, indipendentemente dalle condizioni ambientali. Era la stessa tecnica utilizzata anche in passato per i predecessori di Francesco, come Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.
Parla l’esperto
A guidare il procedimento è stato, come già avvenuto in precedenti occasioni, l’esperto Andrea Fantozzi, presidente dell’Associazione Italiana di Tanatoprassi (AIT) e dell’Istituto Nazionale Italiano di Tanatoprassi (INIT). Fantozzi aveva spiegato come il procedimento odierno si basi su un prodotto innovativo chiamato Fluytan, sostituto della formalina, ritenuta ormai obsoleta e tossica. Il nuovo fluido, totalmente innocuo, ha il vantaggio di preservare anche il Dna del defunto, rendendo il trattamento utile persino in ambito di medicina legale e polizia scientifica.
“Con la tanatoprassi – aveva spiegato Fantozzi – si ottiene una conservazione altamente igienica e un aspetto molto più naturale e presentabile del corpo”. Inoltre, rispetto alle pratiche tradizionali, il trattamento moderno non ha richiesto il recupero completo del sangue, semplificando e migliorando il procedimento.
In Italia, come ricordato dall’esperto, la tanatoprassi non gode ancora di un pieno riconoscimento giuridico e viene applicata principalmente in casi eccezionali, o per i defunti stranieri in attesa di rimpatrio nei Paesi d’origine. Ma quando si tratta di un Pontefice, la prassi si trasforma in rito: non è solo un trattamento tecnico, è un gesto di rispetto verso la figura pubblica e spirituale che ha segnato un’epoca.
Così è stato anche per Papa Francesco, il cui corpo è stato curato con discrezione e precisione, affinché potesse restare dignitosamente esposto alla devozione del popolo di Dio. Un’ultima carezza terrena, prima del sigillo definitivo della sepoltura.
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Italia
Stop ai voli brevi se c’è il treno veloce come alternativa. Una bella suggestione
L’idea di sostituire i voli brevi con i treni ad alta velocità in Italia, sebbene interessante per ridurre le emissioni, appare applicabile solo a una piccola porzione di rotte, soprattutto a causa delle peculiarità geografiche del Paese e delle limitazioni della rete ferroviaria esistente.

L’idea di ridurre i voli brevi a favore dei treni ad alta velocità per diminuire le emissioni nocive è stata già adottata in Francia. Ed è in discussione anche in Italia. Uno studio dell’Itsm (Iccsai transport and sustainable mobility center) dell’Università di Bergamo ha evidenziato che l’applicazione di questa misura in Italia sarebbe limitata a poche rotte a causa di specifiche caratteristiche geografiche e infrastrutturali del Paese. Ma comunque male non fa. E’ una bella suggestione…
Le 12 rotte sostituibili
Lo studio ha individuato solo 12 rotte, il 2,8% di tutti i collegamenti nazionali, in cui il treno potrebbe essere una valida alternativa all’aereo, con un tempo di viaggio non superiore del 20% rispetto al volo. Le 12 rotte individuate finora.
Roma Fiumicino – Milano Linate
Roma Fiumicino – Milano Malpensa
Milano Malpensa – Napoli
Roma Fiumicino – Genova
Bergamo – Napoli
Roma Fiumicino – Napoli
Milano Linate – Napoli
Bologna – Roma Fiumicino
Roma Fiumicino – Firenze
Roma Fiumicino – Pisa
Bergamo – Pescara
Bergamo – Roma Fiumicino.
L’impatto ambientale
Nel 2019, su queste rotte sono stati operati circa 45.000 voli, responsabili dell’1,45% delle emissioni di CO2 del trasporto aereo nazionale. Tuttavia, la soppressione di tali voli potrebbe non portare a una riduzione significativa delle emissioni, poiché parte dei passeggeri potrebbe optare per l’uso di automobili, annullando il beneficio ecologico previsto.
Le sfide geografiche
L’Italia presenta delle sfide particolari, come la presenza di isole maggiori. Per le quali l’aereo rimane è l’unica alternativa efficace. Inoltre, l’orografia complessa e la presenza di zone sismiche o idrogeologiche rendono la costruzione di nuove linee ferroviarie difficoltosa e costosa. Più del 50% delle rotte aeree interne riguarda le isole, e quindi non può essere sostituito da treni ad alta velocità.
Estensione della rete ferroviaria
Sebbene l’estensione della rete ferroviaria possa sembrare una soluzione, questa risulta economicamente e ambientalmente sostenibile solo con un elevato volume di traffico. La realizzazione di nuove infrastrutture sarebbe vantaggiosa solo se la domanda riuscisse a coprire i costi, altrimenti l’intero progetto potrebbe diventare insostenibile.
Cronaca
Becciu e la possibile esclusione dal Conclave: spuntano due lettere firmate dal Papa

Due lettere, un nome, una questione aperta. Il caso di Angelo Becciu rischia di segnare uno dei momenti più delicati dell’avvicinamento al prossimo Conclave. Secondo quanto riportato dal quotidiano Domani, ieri sera il cardinale Pietro Parolin, già segretario di Stato, avrebbe mostrato a Becciu due lettere dattiloscritte e siglate da Papa Francesco – riconoscibili per quella caratteristica firma con la sola lettera “F” – che formalizzerebbero la sua esclusione dall’ingresso in Cappella Sistina.
La prima lettera sarebbe stata scritta nel 2023, la seconda risalirebbe al marzo scorso, in piena emergenza sanitaria del Pontefice, mentre Francesco affrontava la malattia che lo avrebbe condotto alla morte. Due documenti che, se confermati, costituirebbero un segnale inequivocabile: Francesco non voleva che Becciu partecipasse all’elezione del suo successore.
Il cardinale sardo, che già nel settembre 2020 era stato privato da Francesco dei diritti legati al cardinalato a seguito dell’inchiesta vaticana sullo scandalo finanziario di Londra, avrebbe preso atto della comunicazione. Tuttavia, il suo destino non è ancora definitivamente chiuso: sarà infatti l’assemblea delle congregazioni generali pre-Conclave a decidere formalmente se Becciu potrà entrare o meno nella Cappella Sistina.
Il quadro si complica ulteriormente. Sempre secondo la ricostruzione di Domani, il cardinale Giovanni Battista Re, decano del Collegio cardinalizio e domani celebrante dei funerali di Papa Francesco, avrebbe detto a Becciu di non aver ricevuto disposizioni scritte dal Pontefice sulla sua esclusione, e quindi di essere favorevole al suo ingresso in Conclave. Ma il cardinale camerlengo, Kevin Joseph Farrell, avrebbe ricordato a Re la volontà espressa a voce da Francesco, quella di escludere Becciu dall’assemblea elettiva.
Due lettere dattiloscritte, un’indicazione orale, pareri contrastanti tra i vertici della Curia. E un verdetto, quello delle congregazioni generali, che si preannuncia teso e senza precedenti.
Il Codice di diritto canonico e la Costituzione Universi Dominici Gregis stabiliscono infatti che, sebbene tutti i cardinali sotto gli ottant’anni abbiano diritto a votare, spetta alle congregazioni decidere caso per caso in presenza di situazioni particolari, come quella di un cardinale coinvolto in gravi procedimenti giudiziari.
Non era mai successo prima che un Papa lasciasse indicazioni esplicite – sia pur informali – per escludere un cardinale da un Conclave. Un segnale della delicatezza e della straordinarietà di questa transizione.
Ora tocca all’assemblea dei cardinali decidere se rispettare le volontà postume di Francesco o aprire comunque le porte della Sistina anche ad Angelo Becciu.
Cronaca
Chi è Pietro Parolin, il cardinale che ha parlato con i cinesi (e ha sussurrato al Papa)
Settant’anni, veneto, figlio di un ferramenta e uomo di Vangelo. Ha lavorato per anni nell’ombra costruendo intese storiche, dall’accordo con la Cina sui vescovi al riavvicinamento tra Castro e Obama. Con Papa Francesco ha condiviso dieci anni di pontificato e un progetto ecclesiale globale. E ora il Conclave lo guarda.

Bisognava vederlo, all’inizio di settembre, con le lacrime agli occhi nella piccola chiesa di Schiavon, nel Vicentino, a dare l’ultimo saluto a sua madre Ada Miotti. Il cardinale Pietro Parolin, uno degli uomini più potenti e riservati della Chiesa cattolica, aveva scelto parole semplici: «Grazie mamma, sulle tue ginocchia abbiamo imparato il Vangelo». Lì, dove è nato 70 anni fa, non è il Segretario di Stato vaticano. È solo don Pietro, come lo chiamano tutti. Quello che da bambino celebrava finte Messe sul balcone, con il grembiule della nonna come pianeta liturgica.
La sua storia comincia così, tra oratorio e seminario, tra parrocchia e studi classici, passando per il seminario di Vicenza, la laurea in diritto canonico alla Gregoriana e poi la scelta della diplomazia. Entrato nel servizio diplomatico della Santa Sede nel 1986, ha vissuto in Nigeria, Messico e poi nella segreteria vaticana, dove nel 2002 diventa sottosegretario per i rapporti con gli Stati.
Parolin è uno che non alza mai la voce. Ma che sa usare ogni parola come una chiave. Ha trattato nei teatri più difficili del mondo, dall’America Latina alla Cina, e ha costruito ponti dove altri vedevano solo muri. Il primo grande tentativo fu proprio con Pechino. Nel 2007 Benedetto XVI gli affida la missione di dialogare con il governo comunista per risolvere la questione della nomina dei vescovi. È un’impresa quasi impossibile. Va a Pechino, prova ad aprire un varco, ma l’accordo sfuma. E Parolin viene spedito a Caracas. Una promozione? Una punizione? Entrambe, forse.
Ma la storia cambia nel 2013, quando viene eletto Papa Francesco, il primo gesuita, con una visione chiarissima: «L’Asia è il futuro della Chiesa». Parolin torna al centro: Francesco lo richiama dalla Venezuela e lo nomina Segretario di Stato. L’anno dopo lo crea cardinale. Il segnale è chiaro: l’uomo del dialogo, anche quello più scomodo, è ora il più vicino al Papa.
E infatti, sotto la sua regia, l’accordo con la Cina sulla nomina dei vescovi prende finalmente forma: firmato il 22 settembre 2018, rinnovato più volte, criticato da molti, ma considerato da Parolin un passo necessario: «Non è perfetto, ma è un processo», ha detto. Un processo che ha permesso almeno una forma di comunicazione ufficiale tra Santa Sede e Partito Comunista Cinese dopo decenni di silenzi e persecuzioni.
Non è il solo capolavoro diplomatico. Nel 2014, Parolin gioca un ruolo chiave nella riapertura delle relazioni tra Stati Uniti e Cuba. Mentre i media si concentravano sul Sinodo della famiglia, lui accoglieva in segreto, tra le mura vaticane, le delegazioni di Obama e Castro. Il 17 dicembre, a dieci minuti l’uno dall’altro, i due presidenti annunciano lo storico disgelo. Entrambi ringraziano Papa Francesco. Ma dietro la cortina, c’era lui. Sempre lui. Parolin.
Con Francesco ha avuto un rapporto strettissimo, fatto anche di correzioni diplomatiche. Quando il Papa parlò del “coraggio della bandiera bianca” per l’Ucraina, scatenando polemiche, fu Parolin a chiarire il senso delle parole del Pontefice: «La prima condizione è mettere fine all’aggressione», disse, ristabilendo l’equilibrio tra diplomazia e dottrina.
Oggi Parolin è uno dei nomi forti del Conclave. Non è un outsider, non è un rivoluzionario, non è un prete da palcoscenico. È un uomo di Chiesa che conosce il mondo, i suoi meccanismi e i suoi dolori. Ha servito Francesco con lealtà e misura, ha rappresentato la Santa Sede nei dossier più intricati, ha messo la sua intelligenza al servizio di una visione cattolica che non rinuncia a trattare, ma non svende la propria anima.
La sua forza? La pazienza. La discrezione. E un realismo antico, veneto, educato nelle pieghe della provincia e nei silenzi del Vaticano. Uno capace di far parlare Washington e L’Avana, Pechino e Roma. Uno che ha abbattuto la muraglia cinese. Con un Vangelo tascabile e un’agenda diplomatica sotto il braccio.
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