Arte e mostre
Ecce Homo di Caravaggio: Il tesoro anonimo svelato al mondo
L’iconica opera di Caravaggio sarà in mostra in Spagna dal 28 maggio, dopo la sua scoperta nel 2021 in una casa d’aste. Un team di studiosi ha confermato definitivamente l’attribuzione al celebre pittore, suscitando grande interesse nel mondo dell’arte.

Nel 2021, l’opera ha rischiato di essere venduta per soli 1500 euro, ma fortunatamente un intervento tempestivo ha impedito la sua vendita. Gli esperti hanno riconosciuto l’opera come una perduta creazione del celebre pittore italiano Caravaggio. Dal 28 maggio fino a ottobre, sarà esposta a Madrid, offrendo ai visitatori un’opportunità unica di ammirare questo capolavoro. Dopo la mostra, il nuovo proprietario intende rendere l’opera disponibile per il pubblico, consentendo a tutti di apprezzare la magnificenza dell’Ecce Homo.
Quindi, c’è stato un momento critico nel 2021 in cui una delle 60 opere di Caravaggio esistenti rischiava di andare perduta per sempre. L’Ecce Homo era stato inizialmente attribuito a José de Ribera, allievo di un pittore spagnolo del XVII secolo, e si stava preparando per essere messo all’asta. Tuttavia, le autorità spagnole hanno prontamente bloccato la vendita quando è emerso il sospetto che si trattasse di un’opera originale di Caravaggio. Dopo che la paternità è stata ufficialmente attribuita al maestro italiano, il dipinto sarà ora presentato al pubblico in una mostra esclusiva al Museo del Prado di Madrid, offrendo a tutti l’opportunità di ammirare questo straordinario capolavoro dal 28 maggio fino a ottobre.
Il nuovo proprietario del quadro “Ecce Homo” di Caravaggio ha richiesto di rimanere anonimo, ma si ritiene che sia un cittadino straniero residente in Spagna. Si dice abbia acquistato il quadro dalla famiglia Pérez de Castro Méndez per circa 30-35 milioni di euro. Secondo l’agenzia stampa spagnola Efe, Jorge Coll, responsabile della galleria d’arte Colnaghi, ha spiegato che il proprietario intende mantenere il dipinto esposto al pubblico, anche dopo i nove mesi in prestito concessi al Prado. Sebbene Coll non abbia confermato i dettagli della vendita, si stima che il quadro potrebbe valere oltre 100 milioni di euro se non fosse stato dichiarato “bene di interesse culturale”, rendendolo non vendibile all’estero.

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Arte e mostre
Lutto nel mondo dell’arte italiana e mondiale: si è spento Arnaldo Pomodoro
Nella serata di ieri, presso la sua casa di Milano, ci ha lasciati Arnaldo Pomodoro. Oggi avrebbe festeggiato 99 anni. Con lui se ne va uno dei più grandi artisti italiani del Novecento, scultore visionario e inconfondibile, celebre in tutto il mondo per le sue monumentali “sfere di bronzo”, opere che hanno ridefinito il linguaggio della scultura contemporanea. La notizia della sua scomparsa è stata diffusa dalla Fondazione Arnaldo Pomodoro, da lui stesso fondata nel 1995, che oggi ne custodisce il lascito artistico e culturale. «Il mondo dell’arte perde una delle sue voci più lucide e originali», ha dichiarato la direttrice Carlotta Montebello. «Pomodoro lascia un’eredità imponente: un pensiero plastico che continua a interrogare il presente».

Nato a Montefeltro di Romagna nel 1926, Pomodoro ha attraversato quasi un secolo con una ricerca coerente e al tempo stesso in continua evoluzione. Le sue opere fondono rigore geometrico e tensione interiore, bellezza e inquietudine, facendo della materia un mezzo di indagine filosofica. Il bronzo, il suo materiale d’elezione, è trattato come fosse carne viva: inciso, fratturato, scavato, trasformato in paesaggio interiore.
Famoso per le sue sfere
Le celebri Sfere con sfera, visibili in musei e spazi pubblici di tutto il mondo – da New York a Dublino, da Mosca a Tokyo – sono diventate icone del nostro tempo. Una superficie liscia e perfetta si apre, si lacera, rivelando ingranaggi, ferite, meccanismi: simboli di un’umanità complessa, in equilibrio precario tra ordine e caos, luce e buio.
Una carriera costellata di riconoscimenti
Dagli esordi nella Milano degli anni Cinquanta, Pomodoro ha costruito un linguaggio unico, distinguendosi da ogni corrente e moda. Ha ricevuto alcuni dei più prestigiosi riconoscimenti internazionali, come il Gran Premio Henry Moore (1981) e il Praemium Imperiale conferito dalla Japan Art Association (1990). Tra le sue opere più rappresentative si ricordano Disco Solare (Mosca, 1991), Papyrus (Darmstadt, 1992), Lancia di Luce (Terni, 1995), Portale del Duomo di Cefalù (1998) e Cuneo con frecce (Torino, 2007).
Scenografie, architettura e spiritualità
Pomodoro non si è mai limitato alla scultura. Ha esplorato con passione la scenografia teatrale, firmando allestimenti memorabili come Semiramide di Rossini al Teatro dell’Opera di Roma (1982), L’Orestea a Gibellina (1983–85), La Passione di Cleopatra (1989) e Un ballo in maschera all’Opernhaus di Lipsia (2005). Anche l’arte sacra ha avuto un ruolo centrale nella sua visione, come testimoniano le sue opere nella Chiesa di Padre Pio a San Giovanni Rotondo e nel Duomo di Cefalù.
Il legame con Pesaro e la “Sfera Grande”
Tra i luoghi più legati alla memoria pubblica di Pomodoro c’è sicuramente Pesaro. Qui, in piazzale della Libertà, si erge la maestosa Sfera Grande, fusione in bronzo realizzata nel 1998, divenuta in breve tempo un simbolo della città. I pesaresi la chiamano affettuosamente “la palla di Pomodoro”, punto di ritrovo, riferimento urbano e icona identitaria. L’originale, creato nel 1967 per l’Expo di Montreal, è oggi collocato di fronte alla Farnesina, sede del Ministero degli Esteri.
Un’eredità viva
La Fondazione Arnaldo Pomodoro, cuore pulsante dell’attività dell’artista negli ultimi decenni, continuerà a promuoverne il pensiero e l’opera. Archivio, centro studi, spazio espositivo e luogo di formazione, la Fondazione rappresenta il futuro della memoria del Maestro. «Arnaldo Pomodoro ha saputo trasformare la materia in pensiero», ha detto ancora Montebello. «E il suo pensiero continuerà a parlare».
Arte e mostre
Sophie Taricone incanta Parigi con le sue opere: grintosa a partire dal cognome…
La figlia di Pietro Taricone e Kasia Smutniak conquista la scena artistica con una sua opera nella mostra Elysion nel cuore di Parigi. Una ragazza che, fra talento, arte e somiglianza con il papà, si fa strada nel panorama culturale europeo. E mamma Kasia non nasconde l’orgoglio. Nel silenzio composto con cui ha sempre vissuto la sua crescita, oggi Sophie alza la voce attraverso la sua arte. E da una galleria parigina, fa risuonare un messaggio potente: c’è una nuova generazione pronta a raccontarsi senza clamore, ma con profondità. E Sophie è solo all’inizio del suo racconto.

Parigi l’ha accolta come si fa con gli artisti veri, quelli che lasciano un segno. Sophie Taricone, figlia dell’indimenticato Pietro Taricone e dell’attrice Kasia Smutniak, è tra i protagonisti della mostra Elysion, in corso al numero 43 di Rue Notre Dame de Nazareth. Un traguardo importante per la giovane artista che ha sempre vissuto l’arte come una forma naturale di espressione, tra fotografia, pittura e tatuaggi. Un talento poliedrico, intimo, che oggi trova il suo spazio anche nella capitale francese dell’arte contemporanea.
L’arte come eredità e scelta
Sophie è cresciuta lontana dai riflettori, ma non dall’intensità. Quella ereditata da suo padre, Pietro Taricone, tragicamente scomparso nel 2010, e da sua madre, che da sempre ha coltivato con discrezione e intensità la sua carriera. Oggi è Sophie a far parlare di sé, con una voce creativa autentica e libera. Sui social ha condiviso la notizia della sua partecipazione alla mostra parigina, ricevendo l’affetto di chi, guardandola, continua a rivedere lo sguardo e il carisma di Pietro.
Gli occhi di Pietro, il carattere di Sophie
Chi la conosce o la segue da tempo, lo dice senza esitazione: Sophie ha lo stesso sguardo verde, curioso e profondo del padre. Ma ha anche una sua forza, una sua direzione. E proprio mamma Kasia, in una recente intervista, l’ha descritta così: «Sophie somiglia a se stessa. Ha un’identità autonoma che è interessante osservare. È molto più forte di quanto non fossi io alla sua età». Parole di una madre che riconosce in sua figlia non solo la bellezza, ma soprattutto la determinazione e la capacità di affrontare il mondo con la testa alta.
Un debutto che segna un inizio
La partecipazione a Elysion non è che l’inizio di un percorso che Sophie sta tracciando con cura e passione. La mostra, che ospita artisti emergenti e affermati provenienti da tutta Europa, rappresenta un importante trampolino per la giovane Taricone, che ha saputo conquistare l’attenzione degli addetti ai lavori con un’opera intensa e personale. Il riserbo sul contenuto dell’opera esposta alimenta la curiosità, ma una cosa è certa: Parigi ha riconosciuto in lei una voce nuova e vibrante.
Arte e mostre
Arte robotica: Sotheby’s mette all’asta il primo dipinto creato da un automa
Ai-Da, l’artista robotica sviluppata dal gallerista Aidan Meller, propone il suo lavoro nella prestigiosa asta di Sotheby’s, con offerte che potrebbero superare i 180 mila dollari. La vendita segna un passo significativo per il mercato dell’arte robotica, un fenomeno in continua espansione che mette in discussione i confini tra creatività umana e artificiale

Da Sotheby’s è in corso un evento che potrebbe segnare una svolta per il mondo dell’arte contemporanea: la prima vendita all’asta di un’opera creata da un robot umanoide. L’opera in questione è il ritratto di Alan Turing, realizzato da Ai-Da, un’artista robotica sviluppata dal gallerista britannico Aidan Meller. Ai-Da è stata progettata per dipingere utilizzando una combinazione di telecamere, algoritmi di intelligenza artificiale e un braccio robotico che traduce i dati in pennellate. L’opera è protagonista del Digital Art Day di Sotheby’s, con offerte aperte fino al 7 novembre e una stima di vendita che varia tra i 120 e i 180 mila dollari (circa 110-160 mila euro).
Questo evento è un segnale forte per il mondo dell’arte, che evidenzia come l’arte robotica stia conquistando sempre più spazio, allargando i confini del mercato tradizionale e attirando l’attenzione di collezionisti e appassionati. Il ritratto di Turing realizzato da Ai-Da, con le sue tecniche miste, rappresenta un punto di contatto tra innovazione tecnologica e celebrazione della storia, rendendo omaggio a uno dei padri dell’informatica.
Un fenomeno in crescita: dall’arte robotica a esperimenti avveniristici
L’opera di Ai-Da non è un caso isolato. Negli ultimi anni, sono stati realizzati diversi progetti che hanno unito arte e robotica, dimostrando che l’uso delle macchine nell’arte non è una moda passeggera, ma un movimento che affonda le sue radici in anni di esperimenti. Uno degli esempi più significativi è stato, nel 2020, Dark Factory Portraits, allestita alla galleria Ben Brown Fine Arts di Londra dai pionieri Rob e Nick Carter. L’esposizione vedeva protagonista Heidi, un braccio robotico industriale prodotto da KUKA, programmato per dipingere ritratti di icone dell’arte come Frida Kahlo e Andy Warhol. Heidi operava alla cieca, eseguendo movimenti basati su un codice che interpretava immagini digitali e le trasformava in pennellate.
L’ingegnere del software Julian Mann, responsabile del progetto, ha utilizzato l’API di RoboDK per programmare i movimenti di Heidi, dal tipo di pennellata alla pressione del pennello. RoboDK, un’azienda specializzata in software di simulazione per robot industriali, è nata come spin-off dell’ETS University di Montreal e ha supportato numerosi progetti artistici, dimostrando che i robot possono offrire nuove possibilità espressive agli artisti.
Quando le macchine raccontano emozioni: l’esempio di Can’t Help Myself
Non mancano gli esperimenti che puntano a creare una connessione emotiva tra l’osservatore e la macchina. Can’t Help Myself, opera concettuale di Sun Yuan e Peng Yu, esposta alla Biennale di Venezia del 2019, è un esempio emblematico. Si tratta di un braccio robotico industriale che, dotato di sensori, tenta freneticamente di contenere un fluido viscoso rosso all’interno di una determinata area. Ogni volta che il liquido esce dalla zona designata, il robot si attiva, eseguendo movimenti frenetici come “scratch an itch” o “bow and shake”, creando una parvenza di vita e coscienza.
L’opera riflette temi come sorveglianza e controllo, ma suggerisce anche una riflessione più profonda sulla dipendenza umana dalle macchine. Can’t Help Myself ha catturato l’attenzione del pubblico online, con milioni di visualizzazioni su YouTube e TikTok, diventando virale e sollevando discussioni sulle implicazioni etiche e sociali dell’automazione.
La competizione Robot Art: una vetrina per il futuro dell’arte
L’arte robotica ha trovato spazio anche nelle competizioni internazionali come Robot Art, lanciata nel 2015 da Andrew Conru, ricercatore dell’Università di Stanford. L’evento, che tornerà nel 2025, mette in sfida team di artisti, programmatori e ingegneri provenienti da università di tutto il mondo, con premi fino a 100.000 dollari. Le opere vengono valutate da una giuria composta da artisti e scienziati, riflettendo il desiderio di esplorare nuovi orizzonti espressivi.
Nelle edizioni passate, migliaia di dipinti sono stati creati, evidenziando come l’uso dell’intelligenza artificiale nell’arte possa offrire nuove prospettive. Quest’anno, i progressi tecnologici promettono di arricchire ulteriormente la competizione, con un numero crescente di artisti-ricercatori pronti a sfidare i confini della creatività umana e artificiale.
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