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Cronaca Nera

“La voce di Accetti” e “l’audio delle torture”. Riaperto il caso Orlandi

La vicenda delle scomparse di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori nel 1983 a Roma ha conosciuto nuovi sviluppi con le audizioni dei familiari davanti alla Commissione d’inchiesta. Emergono dettagli sconcertanti, come la presunta esistenza di un’audiocassetta delle torture e la possibile identificazione del misterioso telefonista come Marco Accetti. Questi elementi aggiungono nuove sfaccettature a un caso già complesso, sollevando interrogativi sulla verità nascosta dietro alle sparizioni e il coinvolgimento di persone precedentemente indagate.

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    Le audizioni dei familiari di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori, due 15enni scomparse a Roma nel 1983, hanno iniziato a Palazzo San Macuto, davanti alla Commissione bicamerale d’inchiesta. Prima dell’inizio della seduta, il presidente della commissione, Andrea De Priamo, ha sottolineato l’importanza di trattare entrambi i casi con la stessa serietà e dedizione. Si è anche menzionato il giornalista Andrea Purgatori, che precedentemente si era interessato al caso Orlandi. Nel frattempo, emergono nuovi dettagli sulla possibile identità del misterioso telefonista che chiamò a casa Orlandi due settimane dopo la scomparsa di Emanuela, con un’accentuata inflessione anglofona, potrebbe essere l’ex indagato Marco Accetti.

    La testimonianza della sorella di Mirella Gregori

    Maria Antonietta Gregori, la sorella di Mirella, ha aperto le audizioni con parole commoventi, sottolineando l’importanza di dare giustizia a sua sorella e alle loro famiglie. Ha descritto il giorno della scomparsa di Mirella, avvenuta dopo una chiamata da parte di un tale “Alessandro”, fingendosi un ex compagno di classe. Maria Antonietta ha richiesto una chiara separazione tra il caso di sua sorella e quello di Emanuela Orlandi, sottolineando la necessità di analizzare ogni dettaglio con attenzione.

    Le rivelazioni di Pietro Orlandi

    Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, ha sollevato una pista intrigante riguardo a un misterioso nastro di tortura che potrebbe contenere la voce della sorella. Ha testimoniato di aver ricevuto informazioni su questo nastro, ma non è riuscito a trovarlo, suggerendo che potrebbe essere custodito negli archivi della questura. Ha anche indicato tre piste per arrivare alla verità, incluso un incontro tra un magistrato e emissari del Vaticano.

    La testimonianza di Federica Orlandi

    Federica Orlandi, una delle sorelle di Emanuela, ha condiviso il suo ricordo dell’ultima telefonata con sua sorella, sottolineando i dettagli dell’incontro di Emanuela con un presunto reclutatore di Avon poco prima della sua scomparsa. Ha raccontato di aver consigliato a Emanuela di tornare a casa e di aver inizialmente pensato che fosse stata vittima di un truffatore

    La misteriosa cassetta delle torture

    Una delle rivelazioni più scioccanti durante le audizioni è stata la menzione di una presunta audiocassetta contenente le urla di una ragazza che veniva torturata ripetutamente. Pietro Orlandi ha espresso la speranza che la Commissione d’Inchiesta possa rintracciare questa cassetta, sottolineando che la voce registrata potrebbe appartenere a sua sorella Emanuela. Questo nastro, se trovato, potrebbe fornire importanti indizi per risolvere il caso, ma la sua scomparsa e le circostanze che lo circondano rendono tutto più enigmatico.

    La possibile identità del misterioso telefonista: Marco Accetti

    La nuova perizia fonica ha portato alla luce un nome: Marco Accetti, già coinvolto in precedenti indagini. Secondo quanto emerso, vi è una notevole compatibilità tra la voce registrata del presunto telefonista e quella di Accetti, con una percentuale di corrispondenza dell’86%.

    Accetti, precedentemente condannato per un omicidio stradale, è emerso in quanto potenziale sospettato, aprendo una nuova prospettiva investigativa nel caso delle due ragazze scomparse. Tuttavia, resta ancora da chiarire se Accetti abbia effettivamente un ruolo nella vicenda o se si tratti di un altro tentativo di depistaggio nell’ambito dell’inchiesta.

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      Cronaca Nera

      Diffuse finti video hard col volto di Giorgia Meloni. La premier teste da remoto

      A processo Alessio Scurosu. La presidente del Consiglio ha annunciato la richiesta di risarcimento danni per 100mila euro, che saranno destinati al fondo del ministero dell’Interno per le donne vittime di violenza

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        La Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, è pronta a testimoniare in videoconferenza l’8 ottobre nel processo per diffamazione contro Alessio Scurosu, accusato di aver pubblicato su un sito pornografico statunitense dei video contraffatti con il volto della premier sui corpi dei protagonisti di scene hard. La notizia era stata data in esclusiva da LaCityMag

        Dettagli sul caso e implicazioni legali

        La data è stata fissata recentemente dalla giudice Monia Adami. La Meloni ha deciso di costituirsi parte civile nel procedimento, mostrando una ferma determinazione a perseguire la giustizia. A rappresentarla sarà l’avvocata Maria Giulia Marongiu, che ha già avanzato una richiesta di risarcimento danni di 100.000 euro. Tutto l’importo sarà devoluto al fondo del ministero dell’Interno per le donne vittime di violenza. Questa mossa sottolinea l’impegno della premier nella lotta contro la violenza e la diffamazione.

        Il processo contro Alessio Scurosu, un 40enne sassarese, ha preso una piega importante con la decisione della giudice Monia Adami. Le accuse mosse contro di lui sono estremamente gravi e includono la diffusione di video falsificati che hanno generato milioni di visualizzazioni a livello globale, creando un forte imbarazzo per la premier. Gli investigatori hanno scoperto che Scurosu aveva modificato dei filmati pornografici sostituendo i volti delle attrici con quello di Meloni grazie a sofisticati software di manipolazione grafica.

        L’indagine e il ruolo della procura

        Le indagini, iniziate nel 2020, hanno rivelato che i video falsificati erano rimasti online per molti mesi, raccogliendo milioni di visualizzazioni. La procura ha presentato accuse molto serie contro Scurosu, che includono la manipolazione e la distribuzione di materiale pornografico falsificato. Durante il processo, la difesa di Scurosu dovrà rispondere a queste accuse e chiarire il ruolo di ogni parte coinvolta.

        Riflessioni e implicazioni future

        Il caso ha suscitato un grande scalpore e ha messo in luce le problematiche legate alla manipolazione di contenuti online. La testimonianza di Meloni potrebbe avere un impatto significativo sul caso, portando a nuove discussioni sulla protezione dell’immagine pubblica e sulle conseguenze legali delle azioni di diffamazione online. In attesa del processo, resta da vedere quale sarà l’esito e quali saranno le implicazioni per le future normative sulla privacy e la sicurezza online.

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          Cronaca Nera

          Vincenzo Pasquino, broker delle cosche, svela le rotte del narcotraffico 

          Dopo Domenico Agresta, anche Vincenzo Pasquino, grande narcos e broker della ‘ndrangheta, decide di collaborare con la giustizia. Ecco cosa emerge dai verbali recentemente depositati a Reggio Calabria.

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            La ‘ndrangheta continua a perdere i suoi figli più giovani, che scelgono di collaborare con la giustizia per cambiare vita. Dopo Domenico Agresta, il più giovane padrino delle cosche, anche Vincenzo Pasquino, grande narcos e broker della ‘ndrangheta, si è pentito. Pasquino, cresciuto a Volpiano, enclave delle famiglie di Platì, era partito poco meno che trentenne per il Brasile, disegnando le rotte del narcotraffico internazionale. La sua carriera criminale si interruppe la notte del 24 maggio 2021, quando fu arrestato dalla Policia Federal e dai carabinieri.

            Un pentito che scuote la ‘ndrangheta

            A Torino, Pasquino era già noto, ma ora il suo nome sta emergendo a livello mondiale grazie ai verbali depositati a Reggio Calabria. Indagato a lungo dai pm della Dda Paolo Toso e Monica Abbatecola insieme ai carabinieri del nucleo investigativo dal 2016, Pasquino è stato protagonista di dialoghi surreali intercettati tra Brasile, Rotterdam e Italia. Una fuga di notizie, ancora misteriosa, gli permise di operare dal Brasile per i principali cartelli della ‘ndrangheta nel mondo, inclusi quelli di Platì e San Luca.

            Le rivelazioni di Pasquino

            Nei verbali depositati al processo Eureka, Pasquino ha rivelato dettagli cruciali sul funzionamento del narcotraffico. Ha spiegato come il denaro per pagare i fornitori sudamericani arrivasse dalla Calabria fino a Torino e Milano, per poi essere inviato in tutto il mondo tramite “moneiro”. L’organizzazione includeva membri di diverse nazionalità e utilizzava la “Casa di cambio” di Santos come ultima tappa. La cocaina veniva acquistata a 2000 dollari al chilo e nascosta nella chiglia delle navi con l’aiuto di sub. I porti di Rotterdam e Anversa erano gli approdi principali, dove si collaborava con gli albanesi.

            La svolta nelle indagini

            Pasquino ha iniziato a collaborare il 7 maggio, davanti al procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo. Nei verbali, ha ammesso tutto e ha rivelato dettagli sui flussi di denaro e sui rapporti con altre organizzazioni criminali. La sua estradizione fulminea dal Brasile e le conversazioni intercettate con la moglie, che cercava di dissuaderlo dal continuare la vita criminale, mostrano la complessità e l’intensità della sua storia.

            La professione di fede mafiosa

            In una delle conversazioni intercettate, Pasquino ha espresso una rara professione di fede mafiosa, dichiarando alla moglie: «Non mi piace fare questi discorsi ma sappi che se mi chiedono di scegliere tra loro e te io caccio te. Queste persone mi hanno cresciuto, io un padre non l’ho mai avuto». Queste parole riflettono il profondo legame di Pasquino con la ‘ndrangheta e il difficile percorso di chi decide di voltarle le spalle.

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              La madre di Marco Pantani non si arrende

              Tonina Pantani lancia pesanti accuse sulla morte del figlio: “Non è stato un incidente, è stato ucciso”. Rabbia e dolore contro le istituzioni del ciclismo e il Tour de France.

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                Tonina Pantani, madre del leggendario ciclista Marco Pantani, ha rilasciato dichiarazioni forti e scioccanti sulla morte del figlio. Secondo lei, Marco non è morto per un tragico incidente, ma è stato ucciso. In un’intervista straziante, Tonina ha espresso una rabbia profonda verso le istituzioni del ciclismo, puntando il dito in particolare contro il Tour de France, accusato di aver avuto un ruolo nella tragica fine del “Pirata”. Le sue parole hanno riaperto ferite mai guarite e alimentato nuove discussioni sulle circostanze della morte di Marco Pantani.

                Accuse e dolore di una madre

                Tonina Pantani non ha mai accettato la versione ufficiale sulla morte del figlio, trovandosi spesso sola nella sua battaglia per la verità. Nel corso degli anni, ha raccolto documenti, testimonianze e prove che, secondo lei, dimostrano come Marco sia stato vittima di un complotto. “Non perdonerò mai chi ha distrutto mio figlio”, ha dichiarato, accusando esplicitamente il mondo del ciclismo e le sue istituzioni di aver voltato le spalle a Marco quando più aveva bisogno di supporto.

                Il ruolo del Tour de France

                Particolarmente dure sono le parole di Tonina Pantani contro il Tour de France. Secondo la madre del campione, il prestigioso evento ciclistico avrebbe contribuito a creare un ambiente ostile e pericoloso per Marco, culminato poi nella sua tragica morte. “Il Tour de France ha una parte di colpa in tutto questo”, ha affermato Tonina, sottolineando come le pressioni e le accuse infondate abbiano devastato suo figlio sia mentalmente che fisicamente.

                Una verità ancora da scoprire

                Le accuse di Tonina Pantani riaccendono un dibattito mai realmente chiuso sulla morte del “Pirata”. Nonostante le inchieste ufficiali abbiano concluso che si trattò di un incidente, molti, inclusa la famiglia Pantani, continuano a chiedere giustizia e verità. La determinazione di Tonina a far luce su quanto accaduto a Marco riflette la sua convinzione che vi siano ancora molte zone d’ombra e domande senza risposta.

                L’eredità di Marco Pantani

                Indipendentemente dalle controversie sulla sua morte, Marco Pantani rimane una delle figure più iconiche del ciclismo. Le sue vittorie al Giro d’Italia e al Tour de France, il suo stile unico e la sua personalità carismatica hanno lasciato un’impronta indelebile nello sport. La lotta di Tonina Pantani per la verità non è solo una questione personale, ma anche un tentativo di preservare l’eredità e l’onore di suo figlio.

                La battaglia di Tonina Pantani continua, alimentata dal dolore e dalla determinazione di una madre che non si arrenderà mai finché non avrà ottenuto giustizia per Marco.

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