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Lifestyle

E’ arrivata l’ora delle pagelle… si salvi chi può

Le pagelle, i suggerimenti della pedagogista per analizzarle insieme ai figli. Sono un’occasione di dialogo e confronto tra genitori e figli, un momento di raccoglimento nel quale valutare insieme la strada percorsa.

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E' arrivato il momento delle pagelle

    Entro due settimane la scuola sarà terminata, almeno per quest’anno. I consigli di consigli di classe si riuniranno ed emetteranno i loro giudizi. Promossi, bocciati, da recuperare. Ai mei tempi le pagelle erano dei numeri con un breve giudizio complessivo descritto in fondo a tutta quella sfilza di numeri. In questi 50 anni qualcosa è cambiato. Direi tutto. Prima di tutto gli insegnanti, poi i mdi di insegnamento, quindi i genitori e soprattutto gli alunni. Di ogni ordine e grado scolastico. Insomma è cambiata la nostra società.

    E’ sempre un momento emozionante

    Ma la consegna delle pagelle è sempre un momento emozionante. Anche se si arriva che sai bene come sei andato per tutto l’anno. Ma c’è chi quel sette avrebbe voluto trasformarlo in un otto, e chi con tanti 5 e mezzo spera in una benevolenza ulteriore da parte dell’insegnante per raggiungere una sufficienza e non doversi compromettere parte dell’estate. E’ certamente un momento di verifica importante che può essere trasformata in un’opportunità per rafforzare il dialogo e la crescita personale. Inoltre è un momento per ribadire che sbagliare è umano e che un insuccesso non definisce chi siamo. Questo approccio positivo può aiutare i ragazzi a sviluppare una maggiore consapevolezza e resilienza, preparandoli meglio per le sfide future.

    Approccio costruttivo

    Secondo Giovanna Giacomini, pedagogista e formatrice, è fondamentale evitare un approccio inquisitorio. Giacomini spiega che la pagella e le valutazioni possono essere visti come un mero punto di partenza, non solo di arrivo. Le famiglie possono, anzi dovrebbero, utilizzare questo momento per riflettere insieme sulle difficoltà riscontrate può aiutare a riorganizzare il metodo di studio, il luogo in cui avviene e la distribuzione del tempo, considerando anche l’eventuale supporto di un professionista.

    Voti come istantanea del momento

    I voti scolastici rappresentano un’istantanea nel percorso educativo di uno studente. È importante prenderli come base per discutere e non come un verdetto finale. Secondo la pedagogista bisogna evitare punizioni o castighi che difficilmente portano a risultati positivi. Spesso, gli studenti percepiscono il brutto voto come un fallimento non per la propria preoccupazione, ma perché è la famiglia a viverlo come tale.

    Bisogna aiutare le famiglie più che i ragazzi

    Di fronte a risultati non soddisfacenti non servono frasi come “Da te non me lo sarei aspettato”. Frasi da evitare che spostano il focus sulle emozioni dei genitori anziché sui sentimenti dei ragazzi, aumentando il loro disagio e soprattutto dispiacere. Secondo la moderna pedagogia è molto più utile partire dal presente e tracciare nuove linee per il futuro, dimostrando supporto e comprensione.

    La scuola non è una performance sportiva, si può anche perdere

    Viviamo in una società che esalta la performance continua, ma è importante riconoscere che gli esseri umani hanno bisogno di momenti di riflessione e contemplazione. La felicità va ritrovata dentro di noi, non è necessariamente legata al successo esterno, conferma anche Giacomini. Normalizzare il fallimento e prendersi del tempo per riflettere sul proprio benessere è cruciale per evitare che i giovani si sentano sopraffatti.

    Evidenziare la differenza tra voto e giudizio

    Il voto scolastico è una valutazione numerica che misura competenze e progressi nelle materie di studio, mentre il giudizio è un concetto qualitativo più ampio. Le famiglie e gli insegnanti devono aiutare i ragazzi a capire che il giudizio sulle pagelle si riferisce al loro ruolo di studenti e non a loro come persone. Secondo la pedagogista quest’ottica aiuta a separare la valutazione del comportamento o delle prestazioni dal valore personale di ogni singolo studente.

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      Cucina

      Altro che sushi, a Londra la nuova moda è quella dell’all you can eat di lasagne al forno!

      La lasagna è protagonista di un nuovo locale londinese: il “Kevin Lasagna Bar” del ristorante “Senza Fondo”. Offre porzioni illimitate di lasagne a chiunque voglia raccogliere la sfida. Tra cimeli calcistici e Negroni a prezzo speciale, la capitale inglese ha trovato la sua nuova attrazione gastronomica.

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        Kevin Lasagna probabilmente non immaginava che un giorno il suo nome sarebbe finito sull’insegna di un bar a Londra, tra le luci di Shoreditch, uno dei quartieri più vibranti e alternativi della capitale britannica. Eppure, eccolo lì: “The Kevin Lasagna Bar”, con tanto di cimeli, foto del giocatore con la maglia dell’Udinese e della nazionale italiana, e un’idea geniale quanto surreale alle spalle.

        Il nome del locale, però, non è frutto di un’improvvisata trovata di marketing. Dietro c’è Joe Worthington, veterano della ristorazione britannica e alla sua prima avventura solista. Nel panorama gastronomico londinese, sempre più ossessionato dalle micro-porzioni gourmet e dalla ricerca del cibo perfetto per i social, mancava qualcosa: un posto che offrisse cibo abbondante, autentico e con un’energia tutta italiana.

        Senza Fondo: lasagne infinite per 20 sterline

        Ed ecco l’idea: un ristorante che facesse delle lasagne a volontà il proprio cavallo di battaglia. Il nome? “Senza Fondo”, un omaggio alla promessa di piatti infiniti e alla filosofia della cucina italiana più godereccia.

        Qui, con 20 sterline, ci si può sedere e mangiare lasagne fino allo sfinimento. Ma non aspettatevi un piatto raffazzonato: carne di manzo cotta per cinque ore fino a disfarsi, una besciamella cremosa, parmigiano a cascata e otto strati di pasta cotti nel forno a legna. Per chi non ama la carne, c’è anche la versione vegetariana con carciofi.

        E per chi pensa di potersi spingere oltre, sappiate che il record attuale è di quattro porzioni, e considerando le dimensioni di una singola porzione, chiunque tenti di batterlo farebbe meglio a saltare le mozzarelle fritte e le “pizzettes” di antipasto.

        Il Kevin Lasagna Bar: Negroni a prezzo speciale per gli eroi della lasagna

        Ma la vera chicca è in fondo al locale, dove spunta il bancone del bar, con una targhetta inequivocabile:

        “The Kevin Lasagna Bar. Est. 2025”

        Sì, proprio lui, un angolo del ristorante dedicato all’attaccante mantovano, oggi in forza al Bari dopo le esperienze con Udinese, Verona, Fatih Karagümrük in Turchia e persino sette presenze con la Nazionale italiana.

        Per rendere l’esperienza ancora più particolare, il locale ha pensato a un incentivo per i clienti più affamati: chi si lancia nella sfida delle lasagne infinite ha diritto a un Negroni a prezzo speciale, 5 sterline invece delle 9,50 di listino. Un’agevolazione che, assicurano i gestori, sarà permanente.

        Resta solo un’ultima domanda: quando KL15 si presenterà al suo bancone per un drink e un piatto di lasagne infinite? Per ora, l’attaccante non ha ancora commentato la trovata, ma una cosa è certa: il suo nome, tra calcio e cucina, è ormai leggenda.

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          Luxury

          Ma perché nessuno si indigna per le uova di cioccolata da 1300 euro?

          Massari è finito nella gogna social per le sue frappe dorate, Cracco per i suoi prezzi gourmet. Ma le uova di cioccolato da 1300 euro di Marchesi 1824? Silenzio assoluto. E allora viene da chiedersi: l’indignazione è selettiva?

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            Un mese fa la polemica sulle chiacchiere di Iginio Massari infiammava i social come un olio bollente: cento euro al chilo per il dolce carnevalesco e subito tutti a urlare allo scandalo. Le tastiere si sono consumate, i meme hanno proliferato. Altroconsumo ha alzato il sopracciglio, il web ha fatto il resto. Ma oggi? Oggi è Pasqua, ed è tempo di uova. E la domanda sorge spontanea: perché nessuno ha ancora detto una parola sulle uova di cioccolato da 1300 euro?

            Sì, avete letto bene. Mille e trecento euro. Uova. Di. Cioccolato.

            Sul sito di Marchesi 1824, la storica e blasonata pasticceria milanese (oggi griffata Prada, per chi ama i retroscena), le uova pasquali sembrano uscite da un film di Wes Anderson e hanno il prezzo di un volo intercontinentale. La collezione parte con le versioni “base” da 55 euro, raffinate, eleganti, decorate a mano e dotate di sorpresa inclusa. Poi si sale: 80, 110, 115, fino a 160 euro. E da lì il gran finale: le uova da un chilo a 600 euro e il podio assoluto, quello delle otto selezioni da due chili a 1300 euro l’una.

            Tutto artigianale, tutto splendido, tutto decorato a mano. E va benissimo così. Ma la domanda resta: dove sono finiti i paladini del buongusto economico? Dov’è l’indignazione da commento sotto post Instagram? Dov’è il pubblico urlante che ha messo alla gogna Massari per le sue chiacchiere? E Cracco, che osava servire spaghetti a prezzi considerati offensivi dalla Repubblica dei follower, dov’è finito nel confronto?

            Non si tratta di fare paragoni sterili o puntare il dito su questo o quell’altro. Né di mettere in discussione il valore dell’artigianalità, la bellezza della decorazione a mano o il fascino del packaging da haute couture. Ma è curioso, diciamolo, che il rumore delle polemiche sembri crescere solo in presenza di certi nomi. Quando a firmare è un volto noto, il pubblico si scalda. Quando il brand è più defilato, magari dietro un’aura di storicità o di lusso, tutti zitti.

            Marchesi 1824, per capirci, era già salita agli onori del silenzio qualche settimana fa, con le sue chiacchiere ancora più care di quelle di Massari. Nessuno fiato. Nessun meme. Nessun “ma stiamo scherzando?”. E ora si ripete. Di nuovo. Stesso film, stesso copione. Solo che a parlare è il silenzio.

            Che poi, ognuno spenda i suoi soldi come vuole. E se esistono uova di cioccolato da 1300 euro è perché esistono anche persone disposte a comprarle. Ma almeno, una volta per tutte, smettiamola con le indignazioni a targhe alterne. Se l’argomento è il prezzo, allora sia per tutti. E se è solo la popolarità del personaggio a far partire la crociata, allora ditelo: più che giustizieri del gusto, qui sembriamo opinionisti su commissione.

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              Animali

              L’età del cane: sfatato il mito della moltiplicazione per 7, ecco la formula scientifica corretta

              Dal rapido sviluppo dei cuccioli alla maturità accelerata dei cani di grossa taglia: l’età canina varia in base a taglia e razza. Scopri la formula che finalmente risponde alle domande di ogni proprietario.

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                Molti proprietari di cani credono che l’età di un cane si calcoli semplicemente moltiplicando i suoi anni per 7. Questa convinzione, ormai radicata da decenni, è però errata. Sebbene rappresenti un metodo semplice, non riflette la realtà biologica dei cani.

                Secondo questa formula, un cane di un anno corrisponderebbe a un bambino di sette anni. Tuttavia, ciò non è coerente: un cane di 6-8 mesi è già in grado di riprodursi, quindi la sua maturità è paragonabile a quella di un adolescente, non di un bambino. Nonostante la sua imprecisione, questo metodo viene occasionalmente utilizzato dai veterinari per semplificare la comunicazione con i proprietari.

                La formula scientifica per calcolare l’età del cane
                Gli scienziati hanno individuato una formula basata sui logaritmi naturali per calcolare con precisione l’età dei cani in anni umani:

                anni umani = 16 x ln (età del cane) + 31

                Questa equazione, che richiede una calcolatrice scientifica, offre risultati più accurati rispetto alla semplice moltiplicazione. Ad esempio, secondo questa formula:

                • Un cane di un anno equivale a un adolescente di 15 anni.
                • Al secondo anno si aggiungono circa 9 anni umani.
                • Ogni anno successivo corrisponde a circa 5 anni umani.

                Tuttavia, il rapporto cambia a seconda della taglia del cane, complicando ulteriormente il calcolo.

                Differenze tra cani di diverse taglie
                L’età dei cani varia in base alla loro taglia. I cani di piccola taglia, come gli Yorkshire terrier, hanno un’aspettativa di vita più lunga rispetto a quelli di taglia grande o gigante. Per esempio:

                • Un Yorkshire terrier vive mediamente tra 13 e 16 anni.
                • Un Bovaro del Bernese vive tra 7 e 10 anni.
                • Un Mastiff può vivere tra 6 e 12 anni.

                Inoltre, i cani di piccola taglia maturano più rapidamente durante il primo anno di vita, ma il loro invecchiamento rallenta con l’età. Al contrario, i cani di grossa taglia iniziano a maturare più lentamente ma invecchiano più rapidamente una volta raggiunta l’età adulta.

                Questa nuova comprensione dell’età canina offre ai proprietari uno strumento più preciso per monitorare lo sviluppo e il benessere del proprio amico a quattro zampe, permettendo di garantire cure adeguate in ogni fase della vita.

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