Io c'ero

Ma con l’arte si può fare politica?…

Da un paesino della Sardegna alla vendita di opere intangibili, la storia di un artista di livello internazionale, pittore istrionico, musicista e soprattutto uno contro corrente.

Published

on

    Da un paesino della Sardegna alla vendita di arte intangibile, la storia di un artista internazionale, pittore istrionico e musicista.

    Fin da bambino Salvatore Garau – classe 1953 – è un bastian contrario. E’ sempre andato contro l’omologazione. Detesta e combatte il “pensiero unico”. Va controcorrente. E quindi l’articolo potrebbe terminare qui. Eh no… Nato a Santa Giusta provincia di Oristano Salvatore Garau è decisamente un artista interessante, ma anche un “sociopolitologo”, termine che non esiste nei vocabolari ma che lo definisce bene. Dopo un inizio accademico e figurativo, alla fine degli anni ottanta nella sua ricerca pittorica mette a punto un linguaggio evocativo, passionale e romantico, costruito su uno stile “liquido” dove dighe, piloni e condotte disegnati a grafite sono spesso protagonisti delle sue composizioni. In principio le opere solo in bianco e nero o nero assoluto.

    Dall’Accademia di Firenze agli Stormy Six

    Torregrande Marina di Oristano fa parte di una provincia dove non succede mai nulla”, dice. Dopo la scuola d’arte a 17 anni entra all’Accademia di Firenze che termina quattro anni dopo. Era un ragazzo schivo, cresciuto in una provincia lontana fisicamente e intellettualmente. “Nei quattro anni di Accademia con i professori ho parlato pochissimo. Sentivo una specie di distacco e fastidio nei miei confronti. Ma davanti alla modella ero il più bravo di tutti, e i professori non poterono che accettare che nel nudo fossi il migliore. Il mio ‘incarnato’ era unico. Tanto che a un certo punto insegnavo io ai miei colleghi studenti, i prof hanno dovuto alzare bandiera bianca.. Non avevano nulla da insegnarmi“. Ma oltre all’arte Garau si è dedicato al suono della batteria. Si esibisce nel gruppo Salis & Salis che per una rocambolesca occasione viene chiamato a fare da spalla agli Stormy Six in un concerto allo stadio di Nuoro. Fu un successo, tanto che Franco Fabbri lo stesso anno, era il 1975, lo chiama a Milano proponendogli di suonare nel gruppo, allora molto in voga. “E’ così che ho iniziato a frequentare Milano e poi diventare un ‘milanese’. Ospite di Tommaso Leddi , degli Stormy che intanto mi insegnava a leggere le partiture e la musica. Da lui ci dovevo stare una settimana. Ci rimasi 4 anni”.

    E la vena artistica?

    In quel momento la mettevo nella batteria. Ma il destino volle che, ospite di Tommaso Leddi, conobbi il padre Piero Leddi, grande pittore deceduto nel 2016. Era un’artista indipendente amico dei Treccani, Brindisi, Tino Vaglieri. La casa dei Leddi, grande come un monastero, era in via Revere, dietro il parco Sempione. Da Leddi feci l’allievo di bottega per qualche anno. Grande esperienza, ma non riuscivo ad adattarmi completamente a causa della voglia di tornare in Sardegna (la malattia degli isolani). Nel frattempo continuavo a suonare con gli Stormy con i quali ho tenuto centinaia di concerti in tutta Europa. Nei momenti di pausa, tra un concerto e l’altro, visitavo i musei, approfondendo la conoscenza dell’arte contemporanea. Intanto mi trasferì nella casa acquistata in via Rasori (corso Vercelli).

    Arte e Fede

    Riprende a dipingere e vince il concorso per una prestigiosa personale al San Fedele di via Hoepli dove “Padre Bruno che dirigeva la galleria dei frati mi fece conoscere Giovanni Testori che visionò le mie opere tra cui Su Scravamento,(Deposizione) ambientata dentro la galleria Vittorio Emanuele di Milano. Un quadro che avevo venduto al padre di Giorgio Albani tecnico degli Stormy Six. Intanto ho cercato di capire quali fossero le gallerie che contavano da Toselli in via Ciovasso, a Enzo Cannaviello in piazza Beccaria, che esponeva gli espressionisti tedeschi i nuovi selvaggi. A lui portai un paio di quadri e subito dopo volle venire a casa per visionare il resto. Siamo in piena transavanguardia“.

    La prima esposizione? Quasi un fallimento col gallerista…

    Cannaviello gli offrì di allestire una mostra e Garau gli chiese per tre giorni di restare in completa solitudine, il gallerista gli diede fiducia e carta bianca. Lui ne approfitta e presenta una serie di tele totalmente nere su pareti dipinte di nero e illuminate con luci bassissime, soffuse. Era il 1984. Al vernissage Cannaviello rimase sconcertato e se ne andò via infastidito. Due giorni dopo uscirono 4 colonne su Il Giornale. e Cannaviello rimase stupito da quel successo. “Io, offeso dalla sua assenza al vernissage, vendetti 5 tele, senza dirglielo“. Alla fine degli anni ’70 e primi ’80 la situazione a Milano era bella e dura, bisognava succhiare tutto presto e subito. In quegli anni c’era un tale fermento ed energia che l’unica cosa da fare per un artista era apprendere e assorbire. “Mi chiamò Luigi De Ambrogi, gallerista rampante e coraggioso che aveva la galleria di via Brera. Con lui ho esposto in tante gallerie, anche una importante personale alla fiera di Basilea. Lì presentai sei tele alle pareti e una tela per terra con l’acqua sopra. Quando le persone entravano nello stand parlavano a bassa voce, come se percepissero un timore sacrale e reverenziale che suggeriva l’acqua”.

    Come è stata la sua relazione con Milano?

    Mi incuteva paura. In certe zone si faceva fatica a vivere. C’era molta violenza dettata dagli scontri politici. Gli Anni ’70/’80 sono stati anni di tensione, brucianti, ma andavano vissuti anche quelli perché ti facevano crescere. Poi nel 1982 gli Stormy Six si sciolsero e da allora mi dedicai completamente alla pittura. Ho continuato a lavorare intorno al tema dell’acqua che realizzavo con le resine trasparenti. Quello dell’acqua è stato un periodo dominante del mio lavoro. Intanto la grande città per me era diventata un grande paese. In via Rasori c’era un cortile con il selciato identico a quello di Santa Giusta in Sardegna dove ero nato. La città offriva tanto. Mi abituai ai milanesi e al loro modo di fare pragmatico e affabile. Qui mi sono ingrassato culturalmente. Grazie alle trasferte con gli Stormy Six in compagnia di Umberto Fiori, (oggi acclamato poeta) Franco Fabbri e gli altri, partecipavo a infinite discussioni anche solo per decidere una singola nota o l’introduzione di un nuovo brano o un ritmo di batteria. Iniziavo a capire la poesia, la letteratura. E incameravo idee anche per la pittura. Ricordo una trasferta a Berlino Est in cui fummo ospitati per dieci giorni dal governo per un festival mondiale. Un’esperienza indimenticabile che si ripeté l’anno successivo visto il successo che avevamo avuto. Da non dimenticare gli incontri milanesi con Demetrio Stratos, Giovanna Marini, i figli di Abbado e tantissimi altri.

    Quando hai iniziato a capire che ce l’avevi fatta?

    Dopo l’esperienza con Piero Cavellini, mi chiamò Claudia Gian Ferrari una top gallerista che esponeva De Pisis, De Chirico, Sironi e disponeva di uno spazio dedicato ai giovani. In quella mostra esposi dei bianchi e neri con resine trasparenti, sculture disegnate con la grafite, un abbinamento tra il duro e l’invisibile. Tele da 2 metri per 1,5 metri. Vendevo bene tanto che finì di pagare la casetta di via Rasori, 35 mq, per 16 milioni di lire. Ricordo che a un asta una mia tela di 50 x 50 da 400 mila lire di partenza fu aggiudicata a 1,5 milioni. Nel 2000 grazie alla conoscenza di Antonina Zaru grande gallerista, cominciai a tenere personali a Napoli, Sait-Etienne, Washington, San Francisco, Capri, Lima…”.

    Benvenuti nel ghetto

    Negli anni ’90, prima di conoscere la Zaru, Garau ebbe una grande crisi e per sette anni non vendette nulla. Nel 2000 la Fondazione del Palazzo delle Stelline lo ospitò per una personale. da questa mostra riprese a essere presente nel mondo dell’Arte. nel 2013 ci fu un ritorno alla musica. L’amico di vecchia data, Moni Ovadia. propose agli Stormy Six un album dedicato alla rivolta del Ghetto di Varsavia “Con Moni Ovadia realizzammo un disco straordinario “Benvenuti nel ghetto” con 11 brani che raccontavano l’eroismo di pochi giovani ebrei chiusi nel ghetto, Il brano che chiude l’album lo composi io col testo di Umberto Fiori “Invocazione” un brano considerato dai critici di quel momento uno dei 15 brani più belli pubblicati nel 2013 in Europa. Il testo, un’invocazione, appunto, che gli ebrei pregano rimanga nei loro cuori; recita. “Non tentare i nostri cuori fanne polvere se vuoi, ma quest’odio, e questo male no, non farlo entrare in noi”. testo che mi sembra attualissimo!

    Tu hai venduto opere invisibili. Arte Intangibile. Ce ne vuoi parlare?

    Quando arriva la pandemia l’assenza è la presenza più diffusa nel mondo. Ho deciso di realizzare queste opere invisibili con l’assenza. La prima si intitolava “Io sono“, che ha creato dibattiti accesi in tutto il mondo. Ne hanno parlato anche al Letterman show. Si tratta di una scultura immateriale da collocare in abitazione privata entro uno spazio libero da qualsiasi ingombro. Ha una dimensione variabile, circa 150 x 150 cm. E stata venduta all’asta per 15 mila euro. Naturalmente l’opera è accompagnata da un certificato di autenticità da me rilasciato. La secondo opera intangibile è venduta all’asta è stata “Davanti a Te“. Nelle piazze finora sono collocate cinque opere, dalla Sardegna a Milano, da Wall Street a Gerusalemme. In quest’ultima città ho collocato “Amore immenso amore”, una sulla spianata delle moschee e una davanti al muro del pianto. Berlino è quasi pronta.

      Ultime notizie

      Exit mobile version