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Moda e modi

Rinasco come una peonia: i rituali beauty di primavera che ci fanno sentire (quasi) nuove

Con la primavera arriva la voglia di rinascita. E anche quella di buttare nella spazzatura mezzo beauty case. Dalla pelle asfissiata ai capelli che chiedono tregua, passando per profumi più leggeri e riti di bellezza che sembrano magie stagionali: guida pratica (e ironica) al restyling beauty di stagione.

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    Non succede solo ai fiori: anche noi, con l’arrivo della primavera, ci convinciamo che sia il momento di rifiorire. Di rigenerarci. Di eliminare tutto il grigiore dell’inverno, anche quello stratificato sulla fronte a colpi di fondotinta coprente. Nasce così, ogni anno, il bisogno impellente di rivoluzionare la routine beauty, ripulire la pelle, alleggerire i capelli e iniziare a usare parole come “glow”, “detox” e “illuminante” senza vergogna.

    Il problema? Ci caschiamo sempre. Con entusiasmo e portafogli aperti.

    1. Via il vecchio, entra il leggero

    La pelle, dopo mesi di freddo, termosifoni e skincare a base di burro di karité che neanche Heidi in baita, grida vendetta (e aria). Il primo step è quindi l’esfoliazione, che torna protagonista: chimica, enzimatica o meccanica, l’importante è togliere quel velo opaco da “ho dormito in un maglione di lana”.

    Ma attenzione: primavera non è sinonimo di pelle nuda e cruda. Dopo aver tolto lo strato morto, serve idratazione smart. Ovvero, sieri leggeri, creme in gel, texture che sembrano acqua ma che promettono miracoli. Perché sì, anche l’epidermide vuole andare in giro in camicetta.

    2. Capelli in libera uscita

    Se d’inverno erano raccolti, compressi, nascosti sotto berretti e cappucci, ora i capelli si ribellano. Frizzano, svolazzano, cadono. E allora spazio a trattamenti rinforzanti, lozioni anticaduta e… tagli. Il cambio di stagione è il pretesto perfetto per dare un colpo di forbice alla monotonia (o ai danni da piastra).

    In più, tornano i colori caldi, le schiariture “effetto baciata dal sole” e i prodotti senza risciacquo che promettono morbidezza senza stress. Il motto? “Poco sbattimento, molto effetto wow.”

    3. Profumo di nuova partenza

    Primavera fa rima con cambio profumo. Basta note legnose e orientali: è il momento di agrumi, fiori bianchi, accordi verdi e puliti. Quel tipo di fragranze che ti fanno sentire come se stessi camminando scalza su un prato (anche se sei in coda al semaforo, truccata da un’ora).

    4. Occhio alle mani (e alle unghie)

    Mani secche? Cuticole da film horror? È l’ora della manicure rigenerante. Oli nutrienti, smalti dal finish lattiginoso o pastello, e mani in bella vista come se non avessimo passato tre mesi con i guanti.

    5. Detox mentale, almeno nel beauty case

    Infine, il vero rituale beauty di primavera dovrebbe iniziare con la pulizia del bagno. Via le creme scadute, i rossetti color fegato mai messi, i campioncini col tappo rotto. Meno prodotti, più consapevolezza. E magari un nuovo mascara, che non guasta mai.

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      Quando la primavera ti illude e poi piove: il meteo dell’anima

      Si chiama malumore meteorologico e no, non è una scusa. Dopo mesi di grigio, speravi nella svolta, nel sole tiepido e nei maglioni dimenticati nell’armadio. E invece: pioggia, vento, umidità e una voglia crescente di urlare al cielo “Ma che ti ho fatto?”.

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        C’è un tipo di delusione che non trovi nei libri di psicologia spicciola. Non ha a che fare con relazioni tossiche, né con il fallimento professionale. È più sottile, ma non meno fastidiosa: si chiama “malumore da primavera mancata”, ed è quella sensazione di stanchezza, irritazione e senso di tradimento che provi quando aprile ti aveva promesso il sole… e invece ti svegli con un cielo color cartoncino bagnato.

        È la delusione di chi aveva già preparato le sneakers bianche, aveva scelto il trench “quello giusto” e aveva persino osato una ceretta di troppo. Perché sì, la primavera è anche una questione di pelle nuda e di aria che profuma di gelsomino. Ma basta una perturbazione, un fronte atlantico che decide di fare una sosta imprevista, e tutto crolla: torna la coperta sul divano, l’umore sotto le scarpe e il cappotto che pensavi di aver detto addio fino a novembre.

        Non è solo il meteo: è il senso di ingiustizia cosmica che ti prende mentre guardi le previsioni e vedi pioggia per giorni, dopo che hai resistito a sei mesi di buio e freddo con la sola speranza che, prima o poi, sarebbe arrivato quel momento in cui ti svegli e dici: “Ecco, è primavera”. E invece no.

        E allora ti incupisci. Non hai voglia di uscire, né di sorridere. Ti prende un’irritazione passiva-aggressiva verso chiunque ti dica “ma serve per la natura”. Lo sai che serve. Ma adesso serviva anche un po’ di luce, un maglione in meno, un pomeriggio a camminare senza ombrello, un cielo da fissare e sentirsi migliori.

        In fondo, il meteo è lo specchio dell’umore collettivo. E se ci metti anche le allergie, le mezze stagioni che non esistono e le giornate che sembrano schizofreniche – 8 gradi al mattino, 22 a pranzo, e vento a tradimento al tramonto – capisci perché la gente si sveglia arrabbiata con la vita.

        La primavera, quando si fa attendere troppo o si presenta con il muso lungo, è come quella persona che ami da sempre e che finalmente arriva al vostro appuntamento… ma dimentica di dirti che in realtà oggi non può restare.

        E allora ci resti male, eccome. Anche se lo sapevi. Anche se in fondo, ogni anno, è sempre la stessa storia.

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          Benessere tossico: se non mediti almeno tre volte al giorno, sei una brutta persona

          La ricerca del benessere è diventata un’ossessione da manuale. Tra acque alcaline, docce fredde e coach motivazionali, ci siamo dimenticati come si vive senza cronometrare ogni respiro. E chi osa dire che è stanco, viene guardato come un peccatore.

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            Se ti svegli dopo le 7:00, bevi un caffè e non hai ancora fatto un respiro profondo consapevole… sei già in ritardo sulla tua giornata da essere umano evoluto. Perché oggi il benessere non è più una scelta: è un obbligo. E chi non lo persegue con fanatismo, rischia la pubblica gogna da parte dei nuovi sacerdoti del wellness.

            Il mantra è chiaro: devi dormire almeno 8 ore, ma svegliarti comunque presto per fare esercizio a digiuno. Devi meditare, ma anche correre, ma anche ascoltare i podcast motivazionali mentre bevi acqua con limone e zenzero. Devi mangiare anti-infiammatorio, ma senza stressarti troppo (che poi ti infiammi).

            Il paradosso? Ci stanno dicendo che per rilassarci dobbiamo impegnarci come per una maratona. E se non segui la dieta perfetta, se non fai yoga almeno due volte a settimana, se non misuri i tuoi livelli di stress con una smartband che costa quanto un affitto… sei fuori. Sei tossico. Sei un caso umano.

            Nel frattempo i social pullulano di influencer che sembrano appena scesi da un ritiro spirituale in Himalaya, ma in realtà hanno solo fatto sei stories nella vasca piena di petali finti. E tu, che magari hai solo voglia di startene in pigiama senza masticare semi di chia, vieni preso da un senso di colpa cosmico.

            C’è chi si fa la doccia ghiacciata all’alba e chi pubblica foto di barrette proteiche accanto al diario della gratitudine. Ma se dici che hai avuto una giornata di merda, la risposta sarà: “Hai provato a ringraziare l’Universo per le difficoltà?”

            No, grazie. A volte uno vuole solo lamentarsi, magari con un panino in mano e il frigo pieno di colpe. E sì, va bene il benessere, va bene la cura di sé. Ma siamo arrivati al punto che non si può più essere normali. Che se non prendi almeno due integratori al giorno non sei abbastanza. Che se non vai in palestra ti dicono che “non ti vuoi bene”.

            Forse è il caso di ricordare che il benessere vero è quello che non ti fa sentire in difetto. Che ti lascia respirare senza contare fino a dieci. Che non ti giudica se ogni tanto vuoi solo una pizza e una serie tv senza sensi di colpa.

            Perché se la ricerca della salute ti fa venire l’ansia, allora non è benessere. È marketing. E pure tossico.

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              Il tempo delle pere (spoiler: non si parla di droga)

              Le pere non sono solo dolci e succose: sono anche tra i frutti più salutari, grazie all’alto contenuto di fibre e acqua. Aiutano l’intestino, rallentano l’assorbimento del colesterolo e, con qualche accorgimento, vanno bene anche per chi ha problemi glicemici. Ecco cosa sapere per mangiarle al meglio.

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                No, non è un codice, né un’allusione malandrina: è davvero il tempo delle pere. Quelle vere, quelle da mordere. Frutto simbolo di autunni tranquilli e merende senza sensi di colpa, la pera è uno degli alimenti più consumati in Italia e in Europa. E non solo perché è buona: le sue proprietà nutrizionali la rendono un piccolo alleato della salute.

                Come spiega la biologa nutrizionista Martina Donegani, “le pere sono molto ricche di acqua, ne contengono oltre l’80%, quindi sono idratanti per l’organismo, supportano la diuresi e la regolarità intestinale grazie al loro contenuto di fibre, presenti soprattutto nella buccia”. Sì, la buccia si può mangiare, purché la pera sia ben lavata e, meglio ancora, biologica.

                Le fibre, spiega Donegani, sono importanti non solo per l’intestino: quelle solubili “modulano l’assorbimento degli zuccheri e rallentano quello del colesterolo”. Le varietà dalla buccia rossa o più scura, inoltre, sono più ricche di antiossidanti e polifenoli, utili per combattere lo stress ossidativo. Non male per un frutto spesso sottovalutato.

                E le calorie? “Le pere forniscono circa 35 calorie per 100 grammi – precisa la dottoressa – e contengono 8,8 grammi di zuccheri per etto. Praticamente non contengono grassi né proteine, il che le rende ideali come spuntino, anche quotidiano”. Una pera pesa tra i 150 e i 170 grammi: insomma, una merenda leggera, gustosa e saziante.

                Attenzione però, come sempre, alla varietà nella dieta: “Le quantità giornaliere consigliate sono quelle tipiche della frutta: due o tre porzioni al giorno, ma è importante variare”, ricorda Donegani. Anche perché le pere, come la maggior parte dei frutti, contengono zuccheri naturali, che vanno gestiti con intelligenza, soprattutto in caso di problemi glicemici.

                Per chi ha una sensibilità particolare alla glicemia, l’abbinamento è la chiave: “Meglio accompagnare la pera con una fonte di proteine o di grassi buoni – suggerisce la nutrizionista – ad esempio con una manciata di mandorle o qualche noce. Questo permette di rallentare l’assorbimento degli zuccheri e rendere lo spuntino ancora più equilibrato”.

                In sintesi? Le pere si meritano il loro spazio nel frigo e sulla tavola. Fanno bene, sono versatili (provatele anche in insalata o cotte con un filo di miele), e possono essere consumate ogni giorno. Basta scegliere quelle giuste, lavarle bene e magari abbinarle a qualcosa di croccante. L’importante è non cadere nel solito errore: ignorarle perché troppo semplici.

                Perché a volte, nella semplicità, si nasconde il meglio. E le pere, a quanto pare, ne sono la prova più dolce.

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