Percorsi di coaching
Alvaro Morata e quella insidiosa depressione da successo
Le parole sincere di un grande campione di calcio come Alvaro Morata sono lo spunto per una riflessione sul prezzo del successo e sulle sue insidie che, spesso e volentieri, gli sportivi sono chiamati ad affrontare.

“Quando si attraversano momenti davvero difficili, depressione, attacchi di panico, non importa il lavoro che fai, la situazione che hai nella vita, ti ritrovi a vivere con un’altra persona dentro, contro cui devi combattere ogni giorno e ogni notte (…). Mi chiedevo se avessi potuto giocare di nuovo una partita, non sapevo cosa mi stesse succedendo. È un momento in cui ciò che ti piace di più diventa ciò che odi di più. Mi vergognavo a stare con i miei figli, a uscire. Ogni volta che ero per strada con loro avevo sempre qualche episodio. A volte senza cattiveria, con la gente per qualcosa che era successo nelle partite precedenti”.
Morata a cuore aperto
Sono parole rilasciate ad un’emittente spagnola da Alvaro Morata. Un campione di livello planetario, oltre che d’Europa in carica. Il quale manifesta tutta la sua fragilità nel corso di un’intervista-confessione, liberando fantasmi e debolezze tipiche della natura umana.
Calciatori umani
Come già evidenziato nei precedenti appuntamenti, siamo al cospetto di ragazzi che per abbracciare quel sogno che riempie le loro fantasie più colorate, accettano di allontanarsi da casa, dalla famiglia e dagli amici, spesso anche in età preadolescenziale. Quante notti a piangere, pensando alla mancanza del calore domestico, alla rinuncia alla pizza in compagnia o all’impossibilità del giretto in centro del sabato pomeriggio. Quando inizia un viaggio come questo, nella testa del giovane uomo si concretizzano sacrifici e rinunce.
A cominciare da tutte quelle piccole-grandi abitudini che nella routine quotidiana offrono sicurezza e connessione con i propri pari. Immaginate di vestire per un attimo i panni di uno di loro. Scommettendo sul futuro e ipotecando totalmente il presente in una combinazione di allenamenti intensi, orari rigidi, programmi schematici, rinunce alle bevande gasate, frequentazioni selezionatissime…
Uno su mille ce la fa
Se oggi il ragazzo vede soltanto il sacrificio, fatto di lontananza, solitudine e vuoti emozionali, non potrà mai godersi il viaggio verso il futuro da costruire. Ed ecco perché è così importante che invece egli scelga di “nutrire” le emozioni. A cominciare dalla paura. Imparando a riconoscerla, a capirla, decidendo che tipo di segnale essa gli stia offrendo e su quale aspetto sia necessario concentrarsi per superarla.
Vedere gli altri come risorse
Un altro elemento per superare il deficit emotivo è sicuramente vedere le persone come risorsa e come alleate, pur a fronte spesso di obiettivi diversi e lontani. Una credenza come questa può consentire di evitare il loop negativo. Un rischio che porta ad attribuire un prezzo ad ogni cosa. Compresa la stessa “mercificazione da calciomercato” e portando l’attenzione sul significato autentico di eventi e di accadimenti. Nulla accade per caso e nel percorso di crescita del giovane atleta, l’attenzione si può sempre spostare sulla possibilità e sull’evoluzione.
No pain no gain
Non c’è campione che non abbia metaforicamente pagato un prezzo alto per il proprio successo. Un destino spesso invisibile alla platea dello star system, impegnata a celebrare, a salire sul carro, o ad affossare e a infierire. La sovraesposizione di questi ragazzi, fatta di lustrini e paillettes, auto lussuose, celebrità, li rende invidiati, li rende attaccabili, li rende “fortunati a prescindere”. La successiva domanda che sorge in un’analisi più approfondita riguarda come detto, come gestire le dinamiche emotive. I calciatori, che barattano in giovane età gli affetti in cambio dell’idea di futuro desiderato, sono totalmente impreparati a quelle cose.
Quelle stesse che Paolo Maldini definisce “intangibili” e le spalle, per quanto forgiate da squat, esercizi in palestra e bilancieri, spesso possono non reggere il carico. Storie come quella di Morata oggi, ma in passato quelle di Buffon, Balotelli, o di Simone Biles nella ginnastica, ci narrano di un presente vuoto. Unitamente ad una realtà inadeguata al bisogno emotivo, quello di cui ogni bambino, anche se cresciuto, diventato ricco e famoso, ha ancora visceralmente bisogno. Quello che si può e si deve allenare ogni giorno.
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Percorsi di coaching
Come gestire l’attaccamento alle abitudini, cose e persone

Nel quotidiano percorso della vita siamo chiamati a viaggiare e a muoverci. Quanto più saremo bravi a gestire le risorse tanto più riusciremo a ottimizzare fatiche e sforzi, avanzando nella direzione che abbiamo scelto.
Mappa e zainetto
Riusciremmo nel 2025 ad addentrarci nel centro cittadino di una grande città, magari all’estero e con lingua a noi poco familiare, senza perdere i riferimenti? In quei casi a soccorrerci è Google maps, il nostro più fedele alleato, il cui funzionamento ricorda esattamente l’importanza di tenere chiara nella nostra mente la strada che vogliamo percorrere nella vita. Qualcuno è più autonomo, qualcun altro attraversa fasi in cui necessita di un sostegno, qualcun altro ancora sa che anche farsi accompagnare non va a compromettere la propria indipendenza. Ed è qui che noi Coach possiamo sviluppare e abbracciare la nostra missione.
Come in una camminata nella natura, è opportuno viaggiare con scorte di acqua, di cibo e di riserve varie, così nel quotidiano ognuno di noi, cosciente o meno, è impegnato nelle propria personale sfida. In quest’ottica riveste un’importanza decisiva la scelta mirata dei pesi da portare durante la salita. Pensateci: zavorre eccesive o vincoli inadeguati non faranno che rallentare o addirittura bloccare il nostro slancio verso l’obiettivo.
Equilibrio e cambiamento
La consapevolezza riguardante la direzione da prendere rappresenta la visuale sul punto d’arrivo, ma ancor più consente di partire: secondo il grande Albert Einstein la vita ha meccanismi simili a quelli necessari per andare in bicicletta, visto che per stare in equilibrio devi muoverti e prima ancora accettare per qualche decimo di secondo una piccola perdita di equilibrio. Se abbiamo scelto il velocipede come strumento necessario per dare un’accelerata al percorso, esso ha delle regole fisiche diverse da quelle legate al mero cammino. Possiamo scegliere un maggiore controllo, e rimanere a piedi, ma se vogliamo prendere velocità e fare più strada occorre scegliere: vale la pena un’evoluzione come questa? Il panorama lassù in cima sarà tale da ripagare fatica, sudore e sofferenze varie?
Radicamento
Non è detto che la crescita si trovi attraverso il cambiamento, ma di sicuro senza di esso non c’è crescita. Ecco dunque farsi largo una vera e propria necessità, riguardante il ridimensionamento da ogni genere di attaccamento: siamo al sicuro dietro ad abitudini, anche le più insignificanti, che crediamo utili a dare concretezza ad un guscio dentro al quale ci sentiamo protetti. Nelle puntate precedenti avevo scritto a proposito del percorso routinario per andare sul luogo di lavoro, ma è sufficiente mettere l’attenzione sul primo gesto che siamo soliti compiere appena seduti in macchina o, semplicemente, pensare anche alla scelta della pizza al sabato sera. Ripetere un comportamento offre conforto, dà un riferimento e non a caso è tanto necessario con i bimbi, che tanto amano il rispetto delle abitudini.
L’attaccamento alle proprie cose materiali è lo sviluppo di questo meccanismo al punto da sfociare anche in forme patologiche o spesso in conflitti fra persone. Ne parleremo. Con i nostri compagni di viaggio poi, l’attaccamento diventa viscerale al punto da creare vuoti enormi quando si affrontano separazioni o lutti: l’elaborazione diventa un percorso nel percorso, spesso oneroso al punto da lasciare la persona senza punti fermi. Ci si affeziona a molto meno in effetti…
Out of comfort zone
Al cospetto di un’espressione tanto inflazionata quanto ormai proverbiale, mi focalizzerei sulla capacità di adattamento tipica dell’essere umano, a volte costretto a cambiare sulla base di un elemento esterno imprevisto. Questo tipo di circostanza mette a nudo la nostra responsabilità di autodeterminazione a confronto con la fisiologica necessità di connessione e sicurezza accanto agli altri esseri umani – compagni di viaggio. Il concetto che più mi solletica è la “dinamicità” dell’area di agio perché l’uscita da essa, inizialmente ardua e difficoltosa, porta la persona ad adeguarsi e a trovare soluzioni alternative, salvo rimanere nel pianto e nella lamentela. La comfort zone può così allargarsi fino a ricomprendere il punto stesso in cui ci troviamo adesso e che magari poche settimane prima era nettamente all’esterno della “bolla”. E così via, in un processo di evoluzione continuativo ed affascinante.
Childlike – Come un bimbo, Antea Edizioni (edizioniantea.it)
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Percorsi di coaching
Emozioni da androide

Chi di voi mi segue nella mia attività di Mental Coach con atleti professionisti, sa dell’importanza di far scorrere le emozioni. L’importanza di ascoltarle e dar loro risonanza ad ogni passo svolto, di qualsiasi disciplina si parli.
L’esasperazione dei tempi moderni
L’alta professionalizzazione del ruolo dell’atleta ha creato negli ultimi anni una vera e propria narrazione relativa al cosiddetto “calciatore-cyborg”. La più ricorrente delle interpretazioni è quella riguardante lo sportivo che agisce in maniera asettica ed opera come un robot, capace di compiere sempre la scelta giusta in campo e di allenarsi con impegno tale da sfociare facilmente nello stakanovismo, attento a evitare passi falsi nella vita privata e, perché no, con una parlantina al cospetto della stampa da leader consolidato ed esperto. Questa figura, si tratti di calciatore, tennista, pugile, hockeista corrisponde ad un modello umano molto evoluto e per questo caratterizzato da un messaggio a dir poco distorto.Ccome fa un ragazzo a vivere la quotidianità e lavorare ogni giorno nella direzione dei propri sogni se nel fare questo non dà ascolto alle proprie emozioni?
La sfida delle emozioni
Non è solo la citazione dell’ultima, consigliatissima fatica libraria della collega e amica Nicoletta Romanazzi. Quello che noi coach indichiamo a gran voce, parte dall’idea che le emozioni siano il sale della vita. E che possano dare forza ed entusiasmo per realizzare grandi imprese e consentire di trasformare le difficoltà in sfide. Di fatto, parlare di “calciatore-cyborg” è qualcosa che deturpa le vibes insite nel fare sport, ad ogni livello. Tendo a consigliare agli atleti che accompagno, che il riferimento al robot deve limitarsi per lo più all’ego. In modo dunque funzionale ad eseguire i compiti che vengono assegnati dal Mister. Azzerare la cosiddetta resistenza soggettiva, facilita lo svolgimento delle cose che ci sono da fare, rendendole più lineari e azzerando lo spazio a parti interpretative. Ogni ChatGPT che si rispetti, segue in effetti una programmazione umana e si limita ad eseguire il compito richiesto. Ben diverso è l’aspetto emozionale, di cui lo stesso cyborg non è provvisto, e che può fare la differenza nella prestazione del calciatore.
Un ruolo essenziale nelle nostre vite
Ma in cosa consiste un’emozione? Un’emozione è la risposta psicofisica complessa che coinvolge insieme corpo e mente, scatenata da stimoli interni o esterni e che si manifesta attraverso sensazioni soggettive (ciò che si prova), reazioni fisiologiche (come il battito cardiaco accelerato o la sudorazione) e comportamenti espressivi (come sorridere, piangere o parlare in modo concitato). Essa ha un ruolo essenziale nella nostra vita: ci aiuta a comprendere il mondo che ci circonda, a prendere decisioni e a costruire relazioni, può variare in intensità e durata, e ha una funzione adattiva nel senso che ci segnala bisogni, desideri o pericoli, aiutandoci a reagire in modo appropriato alle situazioni.
Emozioni principali ed emozioni complesse
Possiamo etichettare come emozioni principali, o anche “emozioni di base”, la gioia (sentimento di felicità e benessere), la tristezza (sensazione di perdita o sconforto), la rabbia (percezione di ingiustizia o frustrazione), la paura (risposta a minaccia o a pericolo), il disgusto (repulsione verso qualcosa di spiacevole o offensivo) o la sorpresa (intesa come risposta ad un evento inatteso). Ed è così che, per esempio, la paura ci spinge a evitare il pericolo, mentre la gioia ci stimola a ripetere esperienze gratificanti.
Il valore aggiunto dell’essere umano
Oltre alle emozioni di base, ne esistono di più complesse come la colpa, la vergogna, l’orgoglio o l’empatia, che si sviluppano in risposta alle interazioni sociali e all’elaborazione cognitiva. Ai miei atleti raccomando di “scavare a fondo” e di conoscerle il più possibile, per evitare che queste possano esplodere all’improvviso o restare represse, in ogni caso, prima o dopo manifestandosi in modo incontrollato. Il valore aggiunto dell’essere umano, la sua “complessità”, deriva proprio dal fatto che le emozioni, se comprese e trasformate, ci permettono di vivere una vita ricca e soddisfacente, piena e appagante. Difficile ipotizzare qualcosa di simile nel caso di un robot…
Childlike – Come un bimbo, Antea Edizioni (edizioniantea.it)
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Percorsi di coaching
“Sono nato pronto!!!”

“Ci vediamo alle 12:00 in ufficio, aspetta però prima la mia conferma”. Quante volte è capitato di trovarti in attesa di quella decisione esterna a te che condiziona un impegno o indirizza una giornata? E quante volte la risposta dell’interlocutore segue logiche e soprattutto tempistiche diverse (diversissime!) da quelle che avresti voluto? La disdetta o la conferma di quell’appuntamento fa discendere “a cascata” tutta una serie di altri possibili incastri, nel tetris dello schedulare compulsivo quotidiano.
“Se avessi la certezza che quell’appuntamento si concretizzasse, mi sarei già attivato”.
L’inganno della mente in cui cadono tante persone risiede proprio nel rimanere bloccate nell’attesa di un elemento di esterno a loro, sia esso una conferma o una disdetta. In queste situazioni è in agguato la reazione collegata allo scoraggiamento, comune a tutte le tipologie di persone. È umano avere dei momenti di stanchezza. Pensare al fatto che ti stai preparando per nulla o che la fatica che stai facendo sia sprecata perché quell’opportunità chissà se mai si concretizzerà. Pensa a chi pratica uno sport e vive la condizione di “riserva”: fra una partita e l’altra. L’atleta potrebbe ridurre l’impegno nell’allenamento. O proprio non avere le motivazioni per lavorare, proprio perché la certezza del momento agognato non c’è e potrebbe non esserci mai.
Dialogo da campioni
Ripetere a sé sessi di “farsi trovare pronti” è l’atteggiamento del fuoriclasse nella vita. Della persona extra-ordinariache riesce a centrarsi su ciò che c’è da fare. A prescindere da cosa stia accadendo nel presente e a cosa le riserverà il futuro. Non è solo metodicità o gestione del tempo (pensa a quelli dell’”ansia” da ultimo minuto o a quelli della corsa all’ultimo regalo, tema molto attuale in questo periodo), quanto piuttosto la consapevolezza di lavorare sul proprio livello di preparazione per quell’appuntamento.
Che altrimenti potrebbe alimentare il rimpianto di aver avuto l’opportunità ma non le capacità di aver sfruttato l’occasione. Pensa soltanto alla differenza che caratterizza il dialogo interno nel caso in cui vai nel panico e cominci a vedere ciò che manca. Quando ti dici“non ho abbastanza tempo”, “non dispongo delle risorse” “e adesso come faccio”. Rispetto a quando affermi a te stesso che “il momento che aspettavo da tutta la vita finalmente è arrivato”. Oppure “adesso si va in scena”, o ancora “adesso ci divertiamo, finalmente tocca a me!”.
Prima devi essere, poi puoi fare. Solo allora otterrai
Lavorare sul farsi trovare pronti significa cementare la propria identità. Insieme allo scolpire il proprio sistema di credenze in maniera potenziante, affinché si materializzi come la migliore nostra versione. Questo atteggiamento aiuta a liberare il proprio potenziale, facendo venire meno ogni filtro limitante e ad approcciarci al meglio al colloquio, all’appuntamento, all’aeroporto. Il risultato sarà la naturale conseguenza, successiva all’esserti adattato a svolgere al meglio il compito per il quale saremo chiamati. E per il quale nel frattempo dobbiamo allenare la pazienza.
Si tratti del lavoro che non speravamo più di trovare. Del partner che non pensavamo più di incontrare. Dell’evento al quale presentarsi nella migliore forma, del viaggio per il quale non avremmo più ipotizzato di imbarcarci. E ancora… del ruolo cui aspiravamo da tempo e per il quale ci viene chiesto di dimostrare le nostre capacità. O della difficoltà che avremmo evitato e che il destino ci mette sul cammino.
Childlike – Come un bimbo – Antea Edizioni (edizioniantea.it)
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