Connect with us

Percorsi di coaching

Il coraggio, ovvero l’estremo opposto della paura

Avatar photo

Pubblicato

il

    È opinione diffusa che per vincere la paura ci si debba specchiare all’esterno, come se gli aspetti necessari al nostro miglioramento personale dipendessero dall’approvazione di qualcuno o dal verificarsi di qualcosa. Dopo diverse stagioni a contatto con atleti professionisti e imprenditori di successo, ho capito che la verità è ben diversa e il punto di partenza per ogni percorso di miglioramento, richiede di attingere al proprio serbatoio di “credenze”.


    Tutto ciò che mi serve è già dentro di me

    Quando da piccoli vincevamo la paura del buio, la curiosità e la voglia di andare oltre al nostro limite ci spingevano da dentro verso nuove prospettive da scoprire. Il coraggio era ed è già dentro di noi, va dunque “tirato fuori” e allenato quotidianamente in maniera progressiva e non sempre spontanea. L’errore comune è infatti credere che solo alcune persone ne siano dotate, come se fosse un dono esclusivo riservato a pochi e non fosse invece una dotazione già presente nel nostro infinito serbatoio.


    Suggerimenti per la gestione del coraggio? Sì, grazie

    Come nella preparazione di un’importante partita di campionato, è necessario studiare l’avversario in ogni sua caratteristica. Spesso non ci rendiamo conto che il primo ostacolo che ci separa dal raggiungimento di un obiettivo, siamo proprio…noi stessi. In effetti le paure vanno analizzate e riconosciute come parte di uno stato d’animo naturale e necessario all’interno della nostra vita: non si tratta di eliminarle, ma di imparare a conviverci, senza farsi paralizzare. In successione, occorre valorizzare ogni singolo minimale successo, anche se invisibile all’esterno di noi, proprio per prepararci a esperienze future maggiormente sfidanti ed aumentare di conseguenza il coraggio. Per familiarizzare con esso, può costituire uno strumento potente la visualizzazione del proprio successo: immaginate voi stessi mentre affrontate una situazione difficile, riuscendo a superarla. Di lì fatevi attraversare dall’emozione che ne emerge, sia gioia, orgoglio, gratitudine…

    Self-talk

    Gli atleti di successo, inoltre, imparano ad ascoltare il proprio dialogo interiore: si tratta di elaborare i pensieri negativi ed etichettarli con la successiva sostituzione mediante affermazioni positive e incoraggianti. La nostra mente tende a vagare e spesso è proprio questo suo girare a vuoto che offusca il focus sulla méta da raggiungere: lasciare andare il brusìo per reagire con parole di conforto per la nostra persona: d’altra parte, se non siamo noi i nostri primi tifosi chi mai lo potrà essere? La gentilezza e l’ascolto di sé stessi portano a riconoscere i propri sforzi e i miglioramenti. In questo modo, è possibile trasformare e convertire anche le emozioni più difficili e scomode, come appunto la paura. La respirazione può essere un valido alleato.

    Mission e supporto

    Un ulteriore propulsore è dato dal creare una forte connessione con il proprio perché, decisivo per sprigionare il coraggio nelle situazioni quotidiane: quando abbiamo un desiderio forte e chiaro, come proteggere una persona amata o raggiungere un obiettivo significativo, notate come sia più facile attivare la modalità Braveheart. Spesso questo avviene anche attraverso l’ispirazione derivante dall’osservazione di modelli di persone di successo, che attraverso le loro storie ci possono condizionare positivamente e infondere la fiducia utile ad affrontare difficoltà e cambiamenti. Queste stesse persone sono quelle che hanno fatto dei propri errori una modalità evolutiva nella direzione del successo di cui parliamo: il fallimento è sempre una parte del processo di crescita attraverso risultati e apprendimento. I risultati favorevoli alimentano la spirale positiva anche attraverso l’idea di sentirsi appoggiati e sostenuti da amici e familiari, attraverso a una sana condivisione di paure e preoccupazioni. La presenza di un mentore di fiducia e di un coach è spesso decisiva ad un alleggerimento del percorso, che a volta può risultare gravoso ed estenuante senza le giuste consapevolezze. Ricordiamo sempre che alla stregua di un muscolo, il coraggio può essere mentalmente guidato ed allenato tramite l’esercizio quotidiano alla forza, alla perseveranza. Alla resilienza.


    Childlike – Come un bimbo, Antea Edizioni (edizioniantea.it)
    fraborrelli40@gmail.com

      SEGUICI SU INSTAGRAM
      INSTAGRAM.COM/LACITYMAG

      Percorsi di coaching

      Come gestire l’attaccamento alle abitudini, cose e persone

      Avatar photo

      Pubblicato

      il

        Nel quotidiano percorso della vita siamo chiamati a viaggiare e a muoverci. Quanto più saremo bravi a gestire le risorse tanto più riusciremo a ottimizzare fatiche e sforzi, avanzando nella direzione che abbiamo scelto.

        Mappa e zainetto

        Riusciremmo nel 2025 ad addentrarci nel centro cittadino di una grande città, magari all’estero e con lingua a noi poco familiare, senza perdere i riferimenti? In quei casi a soccorrerci è Google maps, il nostro più fedele alleato, il cui funzionamento ricorda esattamente l’importanza di tenere chiara nella nostra mente la strada che vogliamo percorrere nella vita. Qualcuno è più autonomo, qualcun altro attraversa fasi in cui necessita di un sostegno, qualcun altro ancora sa che anche farsi accompagnare non va a compromettere la propria indipendenza. Ed è qui che noi Coach possiamo sviluppare e abbracciare la nostra missione.

        Come in una camminata nella natura, è opportuno viaggiare con scorte di acqua, di cibo e di riserve varie, così nel quotidiano ognuno di noi, cosciente o meno, è impegnato nelle propria personale sfida. In quest’ottica riveste un’importanza decisiva la scelta mirata dei pesi da portare durante la salita. Pensateci: zavorre eccesive o vincoli inadeguati non faranno che rallentare o addirittura bloccare il nostro slancio verso l’obiettivo.

        Equilibrio e cambiamento

        La consapevolezza riguardante la direzione da prendere rappresenta la visuale sul punto d’arrivo, ma ancor più consente di partire: secondo il grande Albert Einstein la vita ha meccanismi simili a quelli necessari per andare in bicicletta, visto che per stare in equilibrio devi muoverti e prima ancora accettare per qualche decimo di secondo una piccola perdita di equilibrio. Se abbiamo scelto il velocipede come strumento necessario per dare un’accelerata al percorso, esso ha delle regole fisiche diverse da quelle legate al mero cammino. Possiamo scegliere un maggiore controllo, e rimanere a piedi, ma se vogliamo prendere velocità e fare più strada occorre scegliere: vale la pena un’evoluzione come questa? Il panorama lassù in cima sarà tale da ripagare fatica, sudore e sofferenze varie?

        Radicamento

        Non è detto che la crescita si trovi attraverso il cambiamento, ma di sicuro senza di esso non c’è crescita. Ecco dunque farsi largo una vera e propria necessità, riguardante il ridimensionamento da ogni genere di attaccamento: siamo al sicuro dietro ad abitudini, anche le più insignificanti, che crediamo utili a dare concretezza ad un guscio dentro al quale ci sentiamo protetti. Nelle puntate precedenti avevo scritto a proposito del percorso routinario per andare sul luogo di lavoro, ma è sufficiente mettere l’attenzione sul primo gesto che siamo soliti compiere appena seduti in macchina o, semplicemente, pensare anche alla scelta della pizza al sabato sera. Ripetere un comportamento offre conforto, dà un riferimento e non a caso è tanto necessario con i bimbi, che tanto amano il rispetto delle abitudini.

        L’attaccamento alle proprie cose materiali è lo sviluppo di questo meccanismo al punto da sfociare anche in forme patologiche o spesso in conflitti fra persone. Ne parleremo. Con i nostri compagni di viaggio poi, l’attaccamento diventa viscerale al punto da creare vuoti enormi quando si affrontano separazioni o lutti: l’elaborazione diventa un percorso nel percorso, spesso oneroso al punto da lasciare la persona senza punti fermi. Ci si affeziona a molto meno in effetti…

        Out of comfort zone

        Al cospetto di un’espressione tanto inflazionata quanto ormai proverbiale, mi focalizzerei sulla capacità di adattamento tipica dell’essere umano, a volte costretto a cambiare sulla base di un elemento esterno imprevisto. Questo tipo di circostanza mette a nudo la nostra responsabilità di autodeterminazione a confronto con la fisiologica necessità di connessione e sicurezza accanto agli altri esseri umani – compagni di viaggio. Il concetto che più mi solletica è la “dinamicità” dell’area di agio perché l’uscita da essa, inizialmente ardua e difficoltosa, porta la persona ad adeguarsi e a trovare soluzioni alternative, salvo rimanere nel pianto e nella lamentela. La comfort zone può così allargarsi fino a ricomprendere il punto stesso in cui ci troviamo adesso e che magari poche settimane prima era nettamente all’esterno della “bolla”. E così via, in un processo di evoluzione continuativo ed affascinante.


        Childlike – Come un bimbo
        , Antea Edizioni (edizioniantea.it)
        fraborrelli40@gmail.com

          Continua a leggere

          Percorsi di coaching

          Emozioni da androide

          Avatar photo

          Pubblicato

          il

            Chi di voi mi segue nella mia attività di Mental Coach con atleti professionisti, sa dell’importanza di far scorrere le emozioni. L’importanza di ascoltarle e dar loro risonanza ad ogni passo svolto, di qualsiasi disciplina si parli.

            L’esasperazione dei tempi moderni

            L’alta professionalizzazione del ruolo dell’atleta ha creato negli ultimi anni una vera e propria narrazione relativa al cosiddetto “calciatore-cyborg”. La più ricorrente delle interpretazioni è quella riguardante lo sportivo che agisce in maniera asettica ed opera come un robot, capace di compiere sempre la scelta giusta in campo e di allenarsi con impegno tale da sfociare facilmente nello stakanovismo, attento a evitare passi falsi nella vita privata e, perché no, con una parlantina al cospetto della stampa da leader consolidato ed esperto. Questa figura, si tratti di calciatore, tennista, pugile, hockeista corrisponde ad un modello umano molto evoluto e per questo caratterizzato da un messaggio a dir poco distorto.Ccome fa un ragazzo a vivere la quotidianità e lavorare ogni giorno nella direzione dei propri sogni se nel fare questo non dà ascolto alle proprie emozioni?

            La sfida delle emozioni

            Non è solo la citazione dell’ultima, consigliatissima fatica libraria della collega e amica Nicoletta Romanazzi. Quello che noi coach indichiamo a gran voce, parte dall’idea che le emozioni siano il sale della vita. E che possano dare forza ed entusiasmo per realizzare grandi imprese e consentire di trasformare le difficoltà in sfide. Di fatto, parlare di “calciatore-cyborg” è qualcosa che deturpa le vibes insite nel fare sport, ad ogni livello. Tendo a consigliare agli atleti che accompagno, che il riferimento al robot deve limitarsi per lo più all’ego. In modo dunque funzionale ad eseguire i compiti che vengono assegnati dal Mister. Azzerare la cosiddetta resistenza soggettiva, facilita lo svolgimento delle cose che ci sono da fare, rendendole più lineari e azzerando lo spazio a parti interpretative. Ogni ChatGPT che si rispetti, segue in effetti una programmazione umana e si limita ad eseguire il compito richiesto. Ben diverso è l’aspetto emozionale, di cui lo stesso cyborg non è provvisto, e che può fare la differenza nella prestazione del calciatore.

            Un ruolo essenziale nelle nostre vite

            Ma in cosa consiste un’emozione? Un’emozione è la risposta psicofisica complessa che coinvolge insieme corpo e mente, scatenata da stimoli interni o esterni e che si manifesta attraverso sensazioni soggettive (ciò che si prova), reazioni fisiologiche (come il battito cardiaco accelerato o la sudorazione) e comportamenti espressivi (come sorridere, piangere o parlare in modo concitato). Essa ha un ruolo essenziale nella nostra vita: ci aiuta a comprendere il mondo che ci circonda, a prendere decisioni e a costruire relazioni, può variare in intensità e durata, e ha una funzione adattiva nel senso che ci segnala bisogni, desideri o pericoli, aiutandoci a reagire in modo appropriato alle situazioni.

            Emozioni principali ed emozioni complesse

            Possiamo etichettare come emozioni principali, o anche “emozioni di base”, la gioia (sentimento di felicità e benessere), la tristezza (sensazione di perdita o sconforto), la rabbia (percezione di ingiustizia o frustrazione), la paura (risposta a minaccia o a pericolo), il disgusto (repulsione verso qualcosa di spiacevole o offensivo) o la sorpresa (intesa come risposta ad un evento inatteso). Ed è così che, per esempio, la paura ci spinge a evitare il pericolo, mentre la gioia ci stimola a ripetere esperienze gratificanti.

            Il valore aggiunto dell’essere umano

            Oltre alle emozioni di base, ne esistono di più complesse come la colpa, la vergogna, l’orgoglio o l’empatia, che si sviluppano in risposta alle interazioni sociali e all’elaborazione cognitiva. Ai miei atleti raccomando di “scavare a fondo” e di conoscerle il più possibile, per evitare che queste possano esplodere all’improvviso o restare represse, in ogni caso, prima o dopo manifestandosi in modo incontrollato. Il valore aggiunto dell’essere umano, la sua “complessità”, deriva proprio dal fatto che le emozioni, se comprese e trasformate, ci permettono di vivere una vita ricca e soddisfacente, piena e appagante. Difficile ipotizzare qualcosa di simile nel caso di un robot…


            Childlike – Come un bimbo, Antea Edizioni (edizioniantea.it)
            fraborrelli40@gmail.com

              Continua a leggere

              Percorsi di coaching

              “Sono nato pronto!!!”

              Avatar photo

              Pubblicato

              il

                Ci vediamo alle 12:00 in ufficio, aspetta però prima la mia conferma”. Quante volte è capitato di trovarti in attesa di quella decisione esterna a te che condiziona un impegno o indirizza una giornata? E quante volte la risposta dell’interlocutore segue logiche e soprattutto tempistiche diverse (diversissime!) da quelle che avresti voluto? La disdetta o la conferma di quell’appuntamento fa discendere “a cascata” tutta una serie di altri possibili incastri, nel tetris dello schedulare compulsivo quotidiano.

                Se avessi la certezza che quell’appuntamento si concretizzasse, mi sarei già attivato”.

                L’inganno della mente in cui cadono tante persone risiede proprio nel rimanere bloccate nell’attesa di un elemento di esterno a loro, sia esso una conferma o una disdetta. In queste situazioni è in agguato la reazione collegata allo scoraggiamento, comune a tutte le tipologie di persone. È umano avere dei momenti di stanchezza. Pensare al fatto che ti stai preparando per nulla o che la fatica che stai facendo sia sprecata perché quell’opportunità chissà se mai si concretizzerà. Pensa a chi pratica uno sport e vive la condizione di “riserva”: fra una partita e l’altra. L’atleta potrebbe ridurre l’impegno nell’allenamento. O proprio non avere le motivazioni per lavorare, proprio perché la certezza del momento agognato non c’è e potrebbe non esserci mai.

                Dialogo da campioni

                Ripetere a sé sessi di “farsi trovare pronti” è l’atteggiamento del fuoriclasse nella vita. Della persona extra-ordinariache riesce a centrarsi su ciò che c’è da fare. A prescindere da cosa stia accadendo nel presente e a cosa le riserverà il futuro. Non è solo metodicità o gestione del tempo (pensa a quelli dell’”ansia” da ultimo minuto o a quelli della corsa all’ultimo regalo, tema molto attuale in questo periodo), quanto piuttosto la consapevolezza di lavorare sul proprio livello di preparazione per quell’appuntamento.

                Che altrimenti potrebbe alimentare il rimpianto di aver avuto l’opportunità ma non le capacità di aver sfruttato l’occasione. Pensa soltanto alla differenza che caratterizza il dialogo interno nel caso in cui vai nel panico e cominci a vedere ciò che manca. Quando ti dici“non ho abbastanza tempo”, “non dispongo delle risorse” “e adesso come faccio”. Rispetto a quando affermi a te stesso che “il momento che aspettavo da tutta la vita finalmente è arrivato”. Oppure “adesso si va in scena”, o ancora “adesso ci divertiamo, finalmente tocca a me!”.

                Prima devi essere, poi puoi fare. Solo allora otterrai

                Lavorare sul farsi trovare pronti significa cementare la propria identità. Insieme allo scolpire il proprio sistema di credenze in maniera potenziante, affinché si materializzi come la migliore nostra versione. Questo atteggiamento aiuta a liberare il proprio potenziale, facendo venire meno ogni filtro limitante e ad approcciarci al meglio al colloquio, all’appuntamento, all’aeroporto. Il risultato sarà la naturale conseguenza, successiva all’esserti adattato a svolgere al meglio il compito per il quale saremo chiamati. E per il quale nel frattempo dobbiamo allenare la pazienza.

                Si tratti del lavoro che non speravamo più di trovare. Del partner che non pensavamo più di incontrare. Dell’evento al quale presentarsi nella migliore forma, del viaggio per il quale non avremmo più ipotizzato di imbarcarci. E ancora… del ruolo cui aspiravamo da tempo e per il quale ci viene chiesto di dimostrare le nostre capacità. O della difficoltà che avremmo evitato e che il destino ci mette sul cammino.

                Childlike – Come un bimbo – Antea Edizioni (edizioniantea.it)

                fraborrelli40@gmail.com

                  Continua a leggere
                  Advertisement

                  Ultime notizie

                  Lacitymag.it - Tutti i colori della cronaca | DIEMMECOM® Società Editoriale Srl P. IVA 01737800795 R.O.C. 4049 – Reg. Trib MI n.61 del 17.04.2024 | Direttore responsabile: Luca Arnaù