Percorsi di coaching
Realizzarsi nell’Ikigai

C’era una volta un umile pescatore che viveva in un piccolo villaggio costiero del Giappone. Tutti i giorni si alzava all’alba, trascorrendo le ore in mare prima che il villaggio si svegliasse. Il suo lavoro era duro e la paga modesta, ma al centro di tutto c’era la gioia immensa derivante dalla sua passione per il mare. Un giorno, un uomo d’affari in vacanza vide il pescatore sollevare le reti cariche di pesci. Rimanendo impressionato dalla quantità e qualità del pescato per cui gli propose di espandere la sua attività. Lluomo d’affari avrebbe comprato più barche e assunto altri pescatori, consentendo al pescatore di diventare ricco e godersi la vita. Ma questi si chiese in effetti che cosa avrebbe fatto con tutto quel tempo libero? L’uomo d’affari rispose prontamente, “Potresti sederti e goderti il panorama, respirare la brezza marina, pescare un po’ per divertimento, senza preoccupazioni.” E il pescatore gentilmente: “non è forse quello che sto già facendo?”
Alla ricerca di ciò che amiamo
La storia del pescatore giapponese racchiude in sé il meraviglioso concetto zen dell’Ikigai. Quel centro di vita in cui è custodito e racchiuso il proprio “perché” e la propria ragione di vita, a cominciare dalle passioni che accendono l’emozione della felicità e la spinta motivazionale che ogni giorno caratterizza l’alzarsi dal letto con entusiasmo. In questo perimetro positivo, rientrano anche quegli hobby e quelle attività per le quali lo scorrere del tempo è impercettibile e connesso con la nostra natura più autentica e profonda.
Missione e talento al servizio di ciò per cui ci pagano
Ecco un elemento già conosciuto nelle precedenti puntate. Accanto al fuoco della passione, per realizzarsi nell’Ikigai è necessario focalizzarsi sulle proprie competenze e sulle consapevolezze riguardanti il talento. Ovvero su quelle abilità per le quali ci sentiamo di eccellere in maniera autentica e per cui abbiamo ricevuto complimenti. Affiancata a competenze e passione, la successiva riflessione include lo spunto sulle opportunità professionali, sulle nostre esperienze lavorative e sul fatto di poter guadagnare mediante passione e abilità per quel tipo di mansione. Detto spunto considera esperienze e progetti precedenti per le quali si è percepito un emolumento. Allargandosi all’idea di poter generare un reddito attraverso passione e accresciuta competenza.
Il mondo ha bisogno di Noi: l’Ikigai prende forma
Il tracciato verso l’Ikigai si completa attraverso il contributo che possiamo offrire al mondo intero. Attraverso l’impatto che le nostre passioni e le nostre competenze possono avere sui problemi e sui bisogni esterni: come possiamo migliorare la società in cui viviamo? Come possiamo immettere il nostro positivo attraverso ciò che sappiamo fare e rendere il mondo un posto migliore, più conforme ai nostri valori e arricchito dal nostro apporto? L’intersecarsi delle quattro diverse aree circoscrivere il nostro Ikigai. Corrispondente alla rispettiva realizzazione personale sotto forma di passione, talento, opportunità che porti ad un guadagno e, non ultimo, segno lasciato nel mondo sotto forma di contributo fattivo. La geometria ha consentito di tracciare le linee, le risposte alle varie domande nei quattro diversi filoni hanno definito il perimetro in cui ci sentiamo realizzati. Adesso spetta a noi dare vita alle nostre azioni e avvicinarci al nostro scopo di vita. Coniugando ciò che amiamo, ciò per cui siamo competenti, ciò per cui veniamo pagati e ciò di cui il mondo ha bisogno, costruendo un mattoncino alla volta la vita dei nostri sogni.
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Percorsi di coaching
Come gestire l’attaccamento alle abitudini, cose e persone

Nel quotidiano percorso della vita siamo chiamati a viaggiare e a muoverci. Quanto più saremo bravi a gestire le risorse tanto più riusciremo a ottimizzare fatiche e sforzi, avanzando nella direzione che abbiamo scelto.
Mappa e zainetto
Riusciremmo nel 2025 ad addentrarci nel centro cittadino di una grande città, magari all’estero e con lingua a noi poco familiare, senza perdere i riferimenti? In quei casi a soccorrerci è Google maps, il nostro più fedele alleato, il cui funzionamento ricorda esattamente l’importanza di tenere chiara nella nostra mente la strada che vogliamo percorrere nella vita. Qualcuno è più autonomo, qualcun altro attraversa fasi in cui necessita di un sostegno, qualcun altro ancora sa che anche farsi accompagnare non va a compromettere la propria indipendenza. Ed è qui che noi Coach possiamo sviluppare e abbracciare la nostra missione.
Come in una camminata nella natura, è opportuno viaggiare con scorte di acqua, di cibo e di riserve varie, così nel quotidiano ognuno di noi, cosciente o meno, è impegnato nelle propria personale sfida. In quest’ottica riveste un’importanza decisiva la scelta mirata dei pesi da portare durante la salita. Pensateci: zavorre eccesive o vincoli inadeguati non faranno che rallentare o addirittura bloccare il nostro slancio verso l’obiettivo.
Equilibrio e cambiamento
La consapevolezza riguardante la direzione da prendere rappresenta la visuale sul punto d’arrivo, ma ancor più consente di partire: secondo il grande Albert Einstein la vita ha meccanismi simili a quelli necessari per andare in bicicletta, visto che per stare in equilibrio devi muoverti e prima ancora accettare per qualche decimo di secondo una piccola perdita di equilibrio. Se abbiamo scelto il velocipede come strumento necessario per dare un’accelerata al percorso, esso ha delle regole fisiche diverse da quelle legate al mero cammino. Possiamo scegliere un maggiore controllo, e rimanere a piedi, ma se vogliamo prendere velocità e fare più strada occorre scegliere: vale la pena un’evoluzione come questa? Il panorama lassù in cima sarà tale da ripagare fatica, sudore e sofferenze varie?
Radicamento
Non è detto che la crescita si trovi attraverso il cambiamento, ma di sicuro senza di esso non c’è crescita. Ecco dunque farsi largo una vera e propria necessità, riguardante il ridimensionamento da ogni genere di attaccamento: siamo al sicuro dietro ad abitudini, anche le più insignificanti, che crediamo utili a dare concretezza ad un guscio dentro al quale ci sentiamo protetti. Nelle puntate precedenti avevo scritto a proposito del percorso routinario per andare sul luogo di lavoro, ma è sufficiente mettere l’attenzione sul primo gesto che siamo soliti compiere appena seduti in macchina o, semplicemente, pensare anche alla scelta della pizza al sabato sera. Ripetere un comportamento offre conforto, dà un riferimento e non a caso è tanto necessario con i bimbi, che tanto amano il rispetto delle abitudini.
L’attaccamento alle proprie cose materiali è lo sviluppo di questo meccanismo al punto da sfociare anche in forme patologiche o spesso in conflitti fra persone. Ne parleremo. Con i nostri compagni di viaggio poi, l’attaccamento diventa viscerale al punto da creare vuoti enormi quando si affrontano separazioni o lutti: l’elaborazione diventa un percorso nel percorso, spesso oneroso al punto da lasciare la persona senza punti fermi. Ci si affeziona a molto meno in effetti…
Out of comfort zone
Al cospetto di un’espressione tanto inflazionata quanto ormai proverbiale, mi focalizzerei sulla capacità di adattamento tipica dell’essere umano, a volte costretto a cambiare sulla base di un elemento esterno imprevisto. Questo tipo di circostanza mette a nudo la nostra responsabilità di autodeterminazione a confronto con la fisiologica necessità di connessione e sicurezza accanto agli altri esseri umani – compagni di viaggio. Il concetto che più mi solletica è la “dinamicità” dell’area di agio perché l’uscita da essa, inizialmente ardua e difficoltosa, porta la persona ad adeguarsi e a trovare soluzioni alternative, salvo rimanere nel pianto e nella lamentela. La comfort zone può così allargarsi fino a ricomprendere il punto stesso in cui ci troviamo adesso e che magari poche settimane prima era nettamente all’esterno della “bolla”. E così via, in un processo di evoluzione continuativo ed affascinante.
Childlike – Come un bimbo, Antea Edizioni (edizioniantea.it)
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Percorsi di coaching
Emozioni da androide

Chi di voi mi segue nella mia attività di Mental Coach con atleti professionisti, sa dell’importanza di far scorrere le emozioni. L’importanza di ascoltarle e dar loro risonanza ad ogni passo svolto, di qualsiasi disciplina si parli.
L’esasperazione dei tempi moderni
L’alta professionalizzazione del ruolo dell’atleta ha creato negli ultimi anni una vera e propria narrazione relativa al cosiddetto “calciatore-cyborg”. La più ricorrente delle interpretazioni è quella riguardante lo sportivo che agisce in maniera asettica ed opera come un robot, capace di compiere sempre la scelta giusta in campo e di allenarsi con impegno tale da sfociare facilmente nello stakanovismo, attento a evitare passi falsi nella vita privata e, perché no, con una parlantina al cospetto della stampa da leader consolidato ed esperto. Questa figura, si tratti di calciatore, tennista, pugile, hockeista corrisponde ad un modello umano molto evoluto e per questo caratterizzato da un messaggio a dir poco distorto.Ccome fa un ragazzo a vivere la quotidianità e lavorare ogni giorno nella direzione dei propri sogni se nel fare questo non dà ascolto alle proprie emozioni?
La sfida delle emozioni
Non è solo la citazione dell’ultima, consigliatissima fatica libraria della collega e amica Nicoletta Romanazzi. Quello che noi coach indichiamo a gran voce, parte dall’idea che le emozioni siano il sale della vita. E che possano dare forza ed entusiasmo per realizzare grandi imprese e consentire di trasformare le difficoltà in sfide. Di fatto, parlare di “calciatore-cyborg” è qualcosa che deturpa le vibes insite nel fare sport, ad ogni livello. Tendo a consigliare agli atleti che accompagno, che il riferimento al robot deve limitarsi per lo più all’ego. In modo dunque funzionale ad eseguire i compiti che vengono assegnati dal Mister. Azzerare la cosiddetta resistenza soggettiva, facilita lo svolgimento delle cose che ci sono da fare, rendendole più lineari e azzerando lo spazio a parti interpretative. Ogni ChatGPT che si rispetti, segue in effetti una programmazione umana e si limita ad eseguire il compito richiesto. Ben diverso è l’aspetto emozionale, di cui lo stesso cyborg non è provvisto, e che può fare la differenza nella prestazione del calciatore.
Un ruolo essenziale nelle nostre vite
Ma in cosa consiste un’emozione? Un’emozione è la risposta psicofisica complessa che coinvolge insieme corpo e mente, scatenata da stimoli interni o esterni e che si manifesta attraverso sensazioni soggettive (ciò che si prova), reazioni fisiologiche (come il battito cardiaco accelerato o la sudorazione) e comportamenti espressivi (come sorridere, piangere o parlare in modo concitato). Essa ha un ruolo essenziale nella nostra vita: ci aiuta a comprendere il mondo che ci circonda, a prendere decisioni e a costruire relazioni, può variare in intensità e durata, e ha una funzione adattiva nel senso che ci segnala bisogni, desideri o pericoli, aiutandoci a reagire in modo appropriato alle situazioni.
Emozioni principali ed emozioni complesse
Possiamo etichettare come emozioni principali, o anche “emozioni di base”, la gioia (sentimento di felicità e benessere), la tristezza (sensazione di perdita o sconforto), la rabbia (percezione di ingiustizia o frustrazione), la paura (risposta a minaccia o a pericolo), il disgusto (repulsione verso qualcosa di spiacevole o offensivo) o la sorpresa (intesa come risposta ad un evento inatteso). Ed è così che, per esempio, la paura ci spinge a evitare il pericolo, mentre la gioia ci stimola a ripetere esperienze gratificanti.
Il valore aggiunto dell’essere umano
Oltre alle emozioni di base, ne esistono di più complesse come la colpa, la vergogna, l’orgoglio o l’empatia, che si sviluppano in risposta alle interazioni sociali e all’elaborazione cognitiva. Ai miei atleti raccomando di “scavare a fondo” e di conoscerle il più possibile, per evitare che queste possano esplodere all’improvviso o restare represse, in ogni caso, prima o dopo manifestandosi in modo incontrollato. Il valore aggiunto dell’essere umano, la sua “complessità”, deriva proprio dal fatto che le emozioni, se comprese e trasformate, ci permettono di vivere una vita ricca e soddisfacente, piena e appagante. Difficile ipotizzare qualcosa di simile nel caso di un robot…
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Percorsi di coaching
“Sono nato pronto!!!”

“Ci vediamo alle 12:00 in ufficio, aspetta però prima la mia conferma”. Quante volte è capitato di trovarti in attesa di quella decisione esterna a te che condiziona un impegno o indirizza una giornata? E quante volte la risposta dell’interlocutore segue logiche e soprattutto tempistiche diverse (diversissime!) da quelle che avresti voluto? La disdetta o la conferma di quell’appuntamento fa discendere “a cascata” tutta una serie di altri possibili incastri, nel tetris dello schedulare compulsivo quotidiano.
“Se avessi la certezza che quell’appuntamento si concretizzasse, mi sarei già attivato”.
L’inganno della mente in cui cadono tante persone risiede proprio nel rimanere bloccate nell’attesa di un elemento di esterno a loro, sia esso una conferma o una disdetta. In queste situazioni è in agguato la reazione collegata allo scoraggiamento, comune a tutte le tipologie di persone. È umano avere dei momenti di stanchezza. Pensare al fatto che ti stai preparando per nulla o che la fatica che stai facendo sia sprecata perché quell’opportunità chissà se mai si concretizzerà. Pensa a chi pratica uno sport e vive la condizione di “riserva”: fra una partita e l’altra. L’atleta potrebbe ridurre l’impegno nell’allenamento. O proprio non avere le motivazioni per lavorare, proprio perché la certezza del momento agognato non c’è e potrebbe non esserci mai.
Dialogo da campioni
Ripetere a sé sessi di “farsi trovare pronti” è l’atteggiamento del fuoriclasse nella vita. Della persona extra-ordinariache riesce a centrarsi su ciò che c’è da fare. A prescindere da cosa stia accadendo nel presente e a cosa le riserverà il futuro. Non è solo metodicità o gestione del tempo (pensa a quelli dell’”ansia” da ultimo minuto o a quelli della corsa all’ultimo regalo, tema molto attuale in questo periodo), quanto piuttosto la consapevolezza di lavorare sul proprio livello di preparazione per quell’appuntamento.
Che altrimenti potrebbe alimentare il rimpianto di aver avuto l’opportunità ma non le capacità di aver sfruttato l’occasione. Pensa soltanto alla differenza che caratterizza il dialogo interno nel caso in cui vai nel panico e cominci a vedere ciò che manca. Quando ti dici“non ho abbastanza tempo”, “non dispongo delle risorse” “e adesso come faccio”. Rispetto a quando affermi a te stesso che “il momento che aspettavo da tutta la vita finalmente è arrivato”. Oppure “adesso si va in scena”, o ancora “adesso ci divertiamo, finalmente tocca a me!”.
Prima devi essere, poi puoi fare. Solo allora otterrai
Lavorare sul farsi trovare pronti significa cementare la propria identità. Insieme allo scolpire il proprio sistema di credenze in maniera potenziante, affinché si materializzi come la migliore nostra versione. Questo atteggiamento aiuta a liberare il proprio potenziale, facendo venire meno ogni filtro limitante e ad approcciarci al meglio al colloquio, all’appuntamento, all’aeroporto. Il risultato sarà la naturale conseguenza, successiva all’esserti adattato a svolgere al meglio il compito per il quale saremo chiamati. E per il quale nel frattempo dobbiamo allenare la pazienza.
Si tratti del lavoro che non speravamo più di trovare. Del partner che non pensavamo più di incontrare. Dell’evento al quale presentarsi nella migliore forma, del viaggio per il quale non avremmo più ipotizzato di imbarcarci. E ancora… del ruolo cui aspiravamo da tempo e per il quale ci viene chiesto di dimostrare le nostre capacità. O della difficoltà che avremmo evitato e che il destino ci mette sul cammino.
Childlike – Come un bimbo – Antea Edizioni (edizioniantea.it)
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