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Punti di svista

Bastian contrari (al buonsenso)

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    Essere contro tutto e tutti, fare sempre il bastian contrario ed ergersi a «voce fuori dal coro» fa figo. E spesso genera personaggi che nel giro di un amen le tv e i giornali con le loro imperdibili analisi. Il problema è quando essendo contro tutto e contro tutti si finisce con l’essere anche contro il buonsenso.

    Tanti, troppi esempi nel quotidiano

    Non serve fare nomi. È evidente. Succede a chi è professore per status, bastian contrario per vocazione, polemico per scelta, ridicolo in conclusione, quando afferma sprezzante che la colpa delle bombe russe su Kiev è della Nato. Un po’ come quando qualche demente si azzarda a dire che la colpa di uno stupro è della donna che lo ha subito, perché vestiva succinta. Bestialità. 

    Una sindrome dilagante

    Ma succede anche al senatore che su temi di importanza globale ha un rigurgito medioevale, e se ne vanta pure, o al commentatore in estasi da presunzione e in cerca di visibilità che costringe gli spettatori a togliere al volume.

    L’importante è apparire “contro”

    Contro tutti, contro tutto. Possibilmente urlando nel tentativo di prevaricare gli altri. Ma fatela finita. Perché essere bastian contrario può andar bene ogni tanto, regalare uno status e magari anche fare figo. Ma in realtà, nella maggior parte dei casi, si diventa soltanto ridicole macchiette.

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      Il dramma di Sharon e lo squallido spettacolo degli onorevoli sciacalli

      Quando un drammatico fatto di cronaca nera diventa il prestesto per dichiarazioni inutili ed anche offensive. E’ accaduto purtroppo anche in occasione del delitto di Sharon Verzeni.

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        Non poteva mancare. Piacevole come la sabbia che resta tra le dita dopo una giornata al mare e utile come una forchetta in un piatto di brodo. Ma tant’è, la speculazione politica dopo un fatto di cronaca non manca mai.

        Inutili presenze

        E così, l’efferato delitto della povera Sharon Verzeni, ha permesso a politici di una parte e dell’altra di palesare tutta la loro profonda inutilità e trasmettere una volta di più un concreto fastidio. A nessuno importava davvero l’accaduto. L’importante era prendere posizione e dire qualche assurdità per avere visibilità.

        Sono solo… parole, anzi… fesserie

        «Il killer non è italiano», solo perché è di colore. Oppure «l’omicidio è figlio del patriarcato» perché i femminicidi nascono in un contesto di prevaricazione. Fesserie, dette per fare sensazionalismo e raccattare qualche voto qua e là. Fesserie, che qualificano chi le dice e che offrono un quadro preciso della desolazione della nostra realtà politica in cui, speculare su una tragedia, è più importante lavorare, per davvero, per la collettività.

        Purtroppo è la replica della replica

        Nulla di inedito, un copione già visto più volte. Speculare sulla cronaca è triste. Farlo sulla pelle di una povera ragazza è davvero squallido.

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          “Caro Putin, vengo da te!” e finisce al fronte: ah, il karma…

          La tragicomica storia del rapper danese Niklas Hoffgaard che, per evadere dall’Europa, sceglie madre Russia. Trovandosi in un baleno nel Donbass a combattere!

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            La legge del contrappasso è una cosa seria. E finisce per punire chi pensa di essere più furbo degli altri. Il rapper danese Niklas Hoffgaard, lo scorso anno ha deciso che il clima politico in Europa è troppo deteriorato per rimanere dove si trova e quindi si trasferisce alla ricerca di nuovi valori.

            Il sogno russo

            E dove va il genio? Ma certo, nella liberalissima Russia! Lì sì che potrà fare ciò che vuole e assimilarsi a valori solidi. E dopo i ritardi nella concessione del permesso di soggiorno, che fa il nostro furbissimo? Firma un contratto con il Ministero della Difesa per approfittare della norma che velocizza l’ottenimento della cittadinanza per chi lavora con l’Esercito. Cosa mai potrà accadere.

            Impacchettato al fronte

            Pensava di fare il traduttore, al massimo la guardia di frontiera. E invece, una volta firmato il documento, è stato spedito al fronte. Mimetica, stivali, fucile e via, a combattere in Ucraina. Solo allora il nostro geniale danese è stato assalito dal dubbio… Forse ma forse era meglio starsene a casetta.

            Rischia un processo

            «Non avevo capito cosa stessi firmando», sembra abbia detto. Genio vero, non c’è dubbio. Solo grazie a un processo di fronte al tribunale militare, il rapper ha ottenuto (in secondo grado) l’annullamento del contratto siglato ma dovrà ancora aspettare il terzo e ultimo per ritenersi libero, grazie al pretesto che non parla russo e non capisce gli ordini impartiti. Se tutto andrà bene, potrà tornare in patria dove, tra l’altro, lo aspetta un processo penale per mercenarismo. Forse che i valori occidentali in fondo non fanno così schifo? Parrebbe che Niklas l’abbia capito…

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              Su le mani (e la testa), giù i cellulari: la strana depressione di Bob Sinclair

              Un popolare deejay come Bob Sinclair che si trasforma, per una sera, in opportuno maestro di vita, criticando aspramente l’uso (o forse è meglio dire… l’abuso) del telefonino.

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                Non è facile far deprimere uno che per mestiere è abituato a intrattenere la folla con la sua musica e che, tra l’altro, è pure ricco, bello e famoso. Ma c’è chi, proprio nel suo pubblico, ci è riuscito. Il “depresso” è il dj e producer francese Bob Sinclair e a farlo infuriare è stata la gente, incidentalmente di Mykonos, che assisteva al suo show.

                Invece di ballare, tutti con lo smartphone in mano…

                «Sono così depresso, è stata la data peggiore della mia vita» ha detto Sinclair. Il motivo? «Tutti immobili con il cellulare in mano. Smettetela di usare i telefoni in discoteca!», ha tuonato Sinclair. E probabilmente, episodio a parte, ha toccato un tasto tanto dolente quanto interessante.

                L’illusione di fermare il momento

                Fateci caso: ovunque andiamo, sia mare, montagna o città, appena intravediamo qualcosa di bello o particolare il primo istinto non è quello di godersi il momento ma di mettere mano al cellulare e immortalare quel qualcosa. «Erano tutti anestetizzati», ha aggiunto il dj. E il rischio è proprio quello. Invece di vivere l’attimo, pensiamo a fotografarlo o filmarlo.

                La lezione del dj

                Viva la tecnologia che oltre a renderci la vita più semplice, ci permette di rivivere quei momenti una volta tornati a casa, d’accordo, ma ci sono dei limiti che dovremmo autoimporci. Prima vivere, poi, semmai, prendere il cellulare. Perché le foto rimangono ma certi momenti, non tornano più. Forse non ci voleva un dj per ricordarcelo, ma tant’è… Merci Bob.

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