Punti di svista
Campioni d’ignoranza
Primi secondo l’OCSE nella particolare “arte” del leggere ma non comprendere: è questo l’amano primato di noi italiani, in un paese dove l’educazione pare rappresentare un èroblema secondario.
E andiamo! Siamo di nuovo primi. Cioè, ultimi ma comunque sempre primi. Poco importa che sia ormai l’unico sport in cui eccelliamo a livello globale: l’analfabetismo funzionale. Un recente studio OCSE ci assegna l’oro nella categoria “adulti che leggono ma non capiscono”, surclassando gli altri Paesi industrializzati. Sono soddisfazioni…
Leggo ma non comprendo
Secondo i dati, un terzo degli italiani adulti è incapace di interpretare un testo semplice o risolvere un problema quotidiano basilare. Sa leggere sì, ma non capisce ciò che legge. E molto spesso poi pontifica al bar o sui social mostrando competenze che in realtà non ha.
Ma non è un caso. L’educazione, si sa, non è prioritaria nel Belpaese. Magari lo sarà dopo l’ennesima riforma scolastica che nessuno legge perché scritta in burocratese.
Selfie prioritario
O forse, il problema è il contesto: come si fa a concentrarsi su un testo scritto quando sei impegnato a fotografare il piatto che hai ordinato per postarlo sui social? E a cosa serve leggere un articolo quando dal titolo abbiamo già capito tutto? E dai… è questione di priorità.
Guardiamo il bicchiere mezzo pieno
Ma c’è anche un lato positivo: l’analfabetismo funzionale è fantasticamente inclusivo. Vale per i politici, gli influencer, le casalinghe disperate e anche gli studenti. Un bel segnale di uguaglianza sociale per un Paese dove tutti sanno tutto, tutti parlano di tutto ma molti, moltissimi, non sanno nulla di quello di cui parlano.
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Punti di svista
Siria, la volta che sogna una generazione senza pace
I trascorsi jihadisti del ribelle al-Jawlani preoccupano la comunicta internazionale, per una Siria martoriata con legittime aspirazioni di democrazia. Il suo futuro sarà laico o talebano?
C’è una generazione di giovani siriani che aspetta, col fiato sospeso e il cuore diviso tra la speranza e la paura. E con la lontananza da casa che aumenta e amplifica queste sensazioni. Sono studenti, lavoratori. Ragazzi e ragazze che non tornano in Siria da anni perché la guerra continua, le bombe e un regime sanguinario non lo hanno permesso. Adesso, nel giro di pochi giorni, tutto è cambiato. Già, ma come?
Ribelli al potere
I ribelli guidati da Abu Mohammed al-Jawlani hanno preso il potere e rovesciato il regime di Assad che da 50 anni teneva il potere con la violenza, la repressione e la paura (non a caso, da buon tiranno, si è rifugiato in Russia dall’amico Putin). La svolta è possibile ma non è scontata. Le prime mosse e le prime parole di al-Jawlani sono state all’insegna della moderazione, della tolleranza e del rispetto, anche di quelle minoranze come cristiani e curdi che negli ultimi anni hanno sofferto la repressione.
Preoccupazione diffusa
Si spera che la transizione prima e il nuovo corso poi siano all’insegna di una democrazia che dalle parti di Damasco manca da troppo tempo. Ma la comunità internazionale è preoccupata, per il passato jihadista di al-Jawlani e di molti dei suoi uomini. Un nuovo regime integralista sarebbe come passare da un male all’altro.
Una generazione che merita la pace
Ecco perché migliaia di giovani siriani che guardano l’evolversi della situazione da lontano vivono con speranza e paura, così come il resto del mondo. Ma è per loro, il vero futuro di una Paese troppo a lungo martoriato che ha tanta voglia di rinascere, che la comunità internazionale, oltre alle solite parole di circostanza, deve garantire che questa sia davvero la svolta. Non interessi di bottega, non ragioni di confine, non motivi di potere e tantomeno smanie di conquista. No, lo si deve a loro. Una generazione che dopo tanta sofferenza merita finalmente un po’ pace.
Punti di svista
Il triste spettacolo della politica made in USA: così fan tutti…
Tutto il mondo è paese: Joe Biden lascia la Casa Bianca con un ultimo atto che genera polemiche anche fra i suoi sostenitori.
Così fan tutti. Eppure criticano, come se nulla fosse, gli altri. Succede negli Stati Uniti dove il presidente Joe Biden ha concesso la grazia al figlio Hunter, travolto da scandali e accuse perché evitasse i processi a suo carico. «Era una persecuzione per colpire me», si è giustificato il vecchio Joe che per anni aveva giurato che mai avrebbe adottato tale misura per il rampollo di casa.
Criticato fino all’ultimo
E così si è beccato anche le critiche dei democratici, che lo accusano di essersi giocato la reputazione all’ultimo miglio del mandato, oltre a quelle (scontate) dei repubblicani che gridano allo scandalo. Ma pure loro fingono di dimenticare come le ultime settimane del passato mandato di Donald Trump servirono per distribuire favori in quella che di fatto si può intendere come una giustizia personale, graziando amici, ex collaboratori e simpatizzanti di passaggio.
Se lei è la democrazia più grande al mondo, chissà le altre…
C’è poco da fare la morale, da una parte e dell’altra. Il potente di turno che usa il suo potere per sistemare le questioni di famiglia (allargata o meno) è un copione trito e ritrito e nessuno può stracciarsi le vesti e parlare di scandalo accusando il rivale di turno. Così fan tutti, coerenza (e rettitudine) sono solo un optional. Ma che questo spettacolo arrivi da quella che, a torto o a ragione, è considerata la più grande democrazia del mondo, fa ancora più tristezza.
Punti di svista
L’esercito dei selfie si è fermato a Camogli
Disposti a tutto, pur di poter annoverare nella propria galleria di immagini sul telefonino uno scatto in più. Di recente una donna ha rischiato la vita: ne valeva la pena?!?
A Camogli, una delle perle della Riviera ligure, è scattata l’operazione “No Selfie”. Cartelli nuovi di zecca si apprestano a ricordare a tutti, imbecilli in primis, che mettersi in posa davanti alle onde quando il mare sbuffa non è esattamente un’idea geniale. Ce n’era bisogno? Evidentemente sì, dato che solo pochi giorni una donna intenta a farsi una foto con la mareggiata alle spalle è stata trascinata in acqua da un’onda, mettendo a rischio se stessa e i soccorritori intervenuti.
Il rischio per un selfie un po’ ardito
Un provvedimento che sembra surreale, ma che è invece terribilmente chiarificatore del nostro tempo in cui il selfie non è solo un ricordo ma una sfida giocata a colpi di like da sfoggiare sui social. Anche e soprattutto se in gioco c’è un po’ di rischio, qualcosa di alternativo, magari di unico. E chi se ne importa se sia terribilmente stupido o pericoloso oppure solo, si fa per dire, di cattivo gusto.
L’illusione di fermare il tempo e di poter dire “io c’ero”
D’altra parte, tutti abbiamo un cellulare con fotocamera e negli ultimi anni ne abbiamo viste di tutti i colori. Selfie ovunque, senza freni. Davanti a tragedie, durante funerali, in occasione di catastrofi: posa plastica e via. Poco importa che sia avanti a un palazzo in fiamme, sul ciglio di un precipizio o, appunto, a pochi metri da una mareggiata. Un click e via. La tempesta perfetta del cattivo gusto però si è fermata a Camogli, almeno per ora. La caccia all’ultimo selfie, invece, è ancora aperta.
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