Connect with us

Punti di svista

Carceri disumane: una vergogna italiana

Avatar photo

Pubblicato

il

    A cosa serve il carcere? Teoricamente a rieducare e riabilitare chi ha commesso un reato, perché sia pronto, al termine della condanna, per tornare nella società. Ma questo, solo in teoria. Anche se la funzione del carcere è stabilita in maniera chiara dalla nostra Costituzione, che prevede come la detenzione sia quella di trasformare il comportamento del detenuto e di riclassificarlo socialmente e trasmettergli un nuovo quadro di valori, quello che accade quotidianamente nelle prigioni italiane è ben diverso.

    Frasi non accettabili

    La percezione è infatti che il carcere sia una sorta di vendetta della società contro chi ha commesso un crimine. Umano, forse, da parte di chi il crimine lo ha subito ma certo non all’altezza di uno stato di diritto che meriti di essere definito tale. Frasi tipo «buttate via la chiave» o «marcisca in prigione», non fanno parte solo della vulgata popolare ma spesso, troppo spesso, diventano slogan sbandierati da politici a costante ricerca del consenso. Ma quelle frasi non sono accettabili.

    Dati drammatici

    Uno Stato moderno deve garantire una vita dignitosa ai carcerati e non può trattarli come persone di serie B. Altrimenti finiamo per comportarci come quelli stati dittatoriali che tanto critichiamo. E non è un caso che i dati del Garante nazionale dei detenuti nel 2024 siano drammatici.

    Non si può fare finta di niente

    Sono già 54 dall’inizio dell’anno le persone che hanno deciso di uccidersi dietro le sbarre. Fragilità mentali che si sommano a situazioni di degrado all’ordine del giorno: celle troppo affollate e prive di spazi essenziali, trasformano le carceri in luoghi disumani. E se è vero che il livello di civiltà di una società si misura sulla base di come tratta gli ultimi, quanto accade nelle celle italiane è intollerabile. E non può essere ignorato.

      Punti di svista

      Il dramma di Sharon e lo squallido spettacolo degli onorevoli sciacalli

      Quando un drammatico fatto di cronaca nera diventa il prestesto per dichiarazioni inutili ed anche offensive. E’ accaduto purtroppo anche in occasione del delitto di Sharon Verzeni.

      Avatar photo

      Pubblicato

      il

      Autore

        Non poteva mancare. Piacevole come la sabbia che resta tra le dita dopo una giornata al mare e utile come una forchetta in un piatto di brodo. Ma tant’è, la speculazione politica dopo un fatto di cronaca non manca mai.

        Inutili presenze

        E così, l’efferato delitto della povera Sharon Verzeni, ha permesso a politici di una parte e dell’altra di palesare tutta la loro profonda inutilità e trasmettere una volta di più un concreto fastidio. A nessuno importava davvero l’accaduto. L’importante era prendere posizione e dire qualche assurdità per avere visibilità.

        Sono solo… parole, anzi… fesserie

        «Il killer non è italiano», solo perché è di colore. Oppure «l’omicidio è figlio del patriarcato» perché i femminicidi nascono in un contesto di prevaricazione. Fesserie, dette per fare sensazionalismo e raccattare qualche voto qua e là. Fesserie, che qualificano chi le dice e che offrono un quadro preciso della desolazione della nostra realtà politica in cui, speculare su una tragedia, è più importante lavorare, per davvero, per la collettività.

        Purtroppo è la replica della replica

        Nulla di inedito, un copione già visto più volte. Speculare sulla cronaca è triste. Farlo sulla pelle di una povera ragazza è davvero squallido.

          Continua a leggere

          Punti di svista

          “Caro Putin, vengo da te!” e finisce al fronte: ah, il karma…

          La tragicomica storia del rapper danese Niklas Hoffgaard che, per evadere dall’Europa, sceglie madre Russia. Trovandosi in un baleno nel Donbass a combattere!

          Avatar photo

          Pubblicato

          il

          Autore

            La legge del contrappasso è una cosa seria. E finisce per punire chi pensa di essere più furbo degli altri. Il rapper danese Niklas Hoffgaard, lo scorso anno ha deciso che il clima politico in Europa è troppo deteriorato per rimanere dove si trova e quindi si trasferisce alla ricerca di nuovi valori.

            Il sogno russo

            E dove va il genio? Ma certo, nella liberalissima Russia! Lì sì che potrà fare ciò che vuole e assimilarsi a valori solidi. E dopo i ritardi nella concessione del permesso di soggiorno, che fa il nostro furbissimo? Firma un contratto con il Ministero della Difesa per approfittare della norma che velocizza l’ottenimento della cittadinanza per chi lavora con l’Esercito. Cosa mai potrà accadere.

            Impacchettato al fronte

            Pensava di fare il traduttore, al massimo la guardia di frontiera. E invece, una volta firmato il documento, è stato spedito al fronte. Mimetica, stivali, fucile e via, a combattere in Ucraina. Solo allora il nostro geniale danese è stato assalito dal dubbio… Forse ma forse era meglio starsene a casetta.

            Rischia un processo

            «Non avevo capito cosa stessi firmando», sembra abbia detto. Genio vero, non c’è dubbio. Solo grazie a un processo di fronte al tribunale militare, il rapper ha ottenuto (in secondo grado) l’annullamento del contratto siglato ma dovrà ancora aspettare il terzo e ultimo per ritenersi libero, grazie al pretesto che non parla russo e non capisce gli ordini impartiti. Se tutto andrà bene, potrà tornare in patria dove, tra l’altro, lo aspetta un processo penale per mercenarismo. Forse che i valori occidentali in fondo non fanno così schifo? Parrebbe che Niklas l’abbia capito…

              Continua a leggere

              Punti di svista

              Su le mani (e la testa), giù i cellulari: la strana depressione di Bob Sinclair

              Un popolare deejay come Bob Sinclair che si trasforma, per una sera, in opportuno maestro di vita, criticando aspramente l’uso (o forse è meglio dire… l’abuso) del telefonino.

              Avatar photo

              Pubblicato

              il

              Autore

                Non è facile far deprimere uno che per mestiere è abituato a intrattenere la folla con la sua musica e che, tra l’altro, è pure ricco, bello e famoso. Ma c’è chi, proprio nel suo pubblico, ci è riuscito. Il “depresso” è il dj e producer francese Bob Sinclair e a farlo infuriare è stata la gente, incidentalmente di Mykonos, che assisteva al suo show.

                Invece di ballare, tutti con lo smartphone in mano…

                «Sono così depresso, è stata la data peggiore della mia vita» ha detto Sinclair. Il motivo? «Tutti immobili con il cellulare in mano. Smettetela di usare i telefoni in discoteca!», ha tuonato Sinclair. E probabilmente, episodio a parte, ha toccato un tasto tanto dolente quanto interessante.

                L’illusione di fermare il momento

                Fateci caso: ovunque andiamo, sia mare, montagna o città, appena intravediamo qualcosa di bello o particolare il primo istinto non è quello di godersi il momento ma di mettere mano al cellulare e immortalare quel qualcosa. «Erano tutti anestetizzati», ha aggiunto il dj. E il rischio è proprio quello. Invece di vivere l’attimo, pensiamo a fotografarlo o filmarlo.

                La lezione del dj

                Viva la tecnologia che oltre a renderci la vita più semplice, ci permette di rivivere quei momenti una volta tornati a casa, d’accordo, ma ci sono dei limiti che dovremmo autoimporci. Prima vivere, poi, semmai, prendere il cellulare. Perché le foto rimangono ma certi momenti, non tornano più. Forse non ci voleva un dj per ricordarcelo, ma tant’è… Merci Bob.

                  Continua a leggere
                  Advertisement

                  Ultime notizie

                  Lacitymag.it - Tutti i colori della cronaca | DIEMMECOM® Società Editoriale Srl P. IVA 01737800795 R.O.C. 4049 – Reg. Trib MI n.61 del 17.04.2024 | Direttore responsabile: Luca Arnaù