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Punti di svista

Il nonno della politica (e un po’ di tutti noi)

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    Negli Europei di atletica di Roma dominati dall’Italia, c’è un vincitore che non ha corso, non ha saltato, non ha lanciato pesi. Ma ha vinto, eccome se ha vinto, per l’ennesima volta. Perché Sergio Mattarella non è semplicemente il presidente della Repubblica. Nel suo abbraccio sincero e genuino con Gianmarco Tamberi dopo l’oro conquistato nel salto in alto, c’è molto di più che la presenza istituzionale di un politico a un evento pubblico. Ci sono l’orgoglio di rappresentare la nostra bandiera, la semplicità discreta di un potere mai ostentato, la classe nell’essere sempre un passo di lato e non voler mai rubare la scena.

    Un uomo fuori dal comune

    Con i suoi modi gentili anche se decisi quando serve, quell’aspetto bonario da nonno affettuoso e quella enorme cifra istituzionale, Mattarella rappresenta alla perfezione quello che è un presidente di cui essere fieri e un nonno a cui voler bene. E non è affatto comune in un mondo di squali come quello della politica.

    Stima istituzionale e amore umano

    Chi si è azzardato a criticarlo scioccamente mettendone in dubbio le qualità nel corso degli anni, è stato clamorosamente travolto e messo in un angolo perché Mattarella uomo e Mattarella presidente sono un orgoglio per tutto il Paese. Il presidente di tutti. È, un po’, anche il nonno di tutti noi. Impossibile non stimarlo come presidente. Impossibile non volergli bene come nonno.

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      In campo e nella vita, così fan (quasi) tutti

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        “In campo come nella vita”, diceva il mitico Nereo Rocco spiegando che in fondo il calcio è un po’ una metafora della vita. E allora, in un Paese come il nostro in cui il pallone è quasi una religione, all’indomani dell’ennesimo flop della Nazionale italiana degli ultimi anni, questa metafora del “Paron” spiega molto. Specie alla luce di chi di questi flop è stato protagonista.

        Senza ammissione di responsabilità

        In perfetto stile italiano, dopo una figuraccia, il cliché è sempre lo stesso: è colpa di qualcun altro. Meglio trovare un alibi, una scusa banale o una giustificazione puerile. Tutto pur di non assumersi le proprie responsabilità. E rinunciare a qualche bell’assegno. Pur con alcuni alibi, così fan tutti. O quasi.

        E non se ne vanno

        Mancini da Ct falli l’accesso ai mondiali 2022 ma non si fece da parte. Lui però aveva appena vinto l’Europeo e aveva un po’ di credito. Spalletti a questo giro ha fatto uguale, anche senza successi nel curriculum, anzi rilanciando la sua carriera in azzurro. E che dire di Ventura, crocifisso per quel primo fallimento del 2018 che evidentemente non era tutta colpa sua.

        Un esempio all’opposto: quello di Zoff

        Sono tutti uguali? No. Prendete Dino Zoff. Lui, uomo tutto d’un pezzo, rassegnò le dimissioni all’indomani degli Europei del 2000. Differenza piccola piccola: la sua Nazionale perse in finale, a un passo dal trionfo, ai supplementari, dopo aver fatto entusiasmare l’Italia. Maestro Dino, in campo come nella vita. Eh no, non sono tutti uguali.


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          Gender reveal, la cafonata di cui non avevamo bisogno

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            «Ma che è ‘sta cafonata?», direbbe il grande Christian De Sica. Eppure «’sta cafonata» sta prendendo sempre più piede. Inondando i social con palate di sentimenti ostentati a buon mercato, con finta partecipazione di followers sparsi di cui si potrebbe fare benissimo a meno.

            Quel tocco di irrinunciabile esterofilia

            Tecnicamente si chiama «Gender reveal party», perché dirla in taliano «festa di rivelazione del sesso», farebbe molto meno scena e non sarebbe per nulla cool.

            Ogni occasione è buona per spendere

            In pratica si tratta semplicemente di rivelare al mondo intero con corollario, appunto, di cafonate, il sesso del nascituro. Da maestri quali siamo nell’importare dagli Stati Uniti le mode più sciocche, ecco che anche da noi una schiera di futuri genitori non vede l’ora di mostrare pubblicamente il sesso del proprio bimbo. Protagonista inconsapevole e suo malgrado. Tra palloncini, fuochi d’artificio, addobbi, torte rigorosamente in blu o in rosa, a seconda.

            La spettacolarizzazione dell’intimità

            Solitamente si organizza dopo il primo trimestre di gravidanza, più spesso dopo la morfologica oppure dopo i test prenatali quando c’è la certezza se sarà maschio o femmina. E così, quello che dovrebbe essere un’opportunità di condivisione riservato, un momento che più intimo non si potrebbe, diventa soltanto uno spettacolo per chi guarda. Lo hanno fatto i vip o vippetti assortiti, diffondendo la moda anche tra i comuni mortali. In un crescendo di trash che anche per il maestro De Sica sarebbe troppo.

            Il futuro prossimo venturo

            A quando un’ecografia in diretta Instagram? E perché non una bella colonscopia da condividere online? Chi non vorrebbe assistere dal proprio cellulare a un intervento di alluce valgo in streaming? Non diamo troppe idee, non si sa mai. Alle cafonate non c’è limite.

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              Nel nome di Satnam

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                Aveva un nome, Satnam, e un cognome, Singh. E sarebbe bello che tutti se lo ricordassero. Non soltanto ora che giornali e tv hanno puntato i riflettori sulla sua vicenda perché la sua morte, anzi, la sua uccisione, fa notizia. Sarebbe bello se di questo ragazzo indiano ci si ricordasse a lungo. Perché l’unico modo che la sua morte, anzi, la sua uccisione, non sia inutile, è che qualcosa cambi nel suo nome.

                Costretto a farsi sfruttare

                Perché lui, non era solo un bracciante, un immigrato, uno degli ultimi anelli della nostra società di cui quando ci fa comodo andiamo tanto fieri. Lui non era uno dei pochi derelitti che sopravvivono come possono. Era uno dei tanti che invisibili che non sono. Lui lavorava, si dava da fare e sognava un futuro per se e la sua famiglia. Era nel nostro Paese perché di lui il nostro Paese aveva bisogno per fare un lavoraccio che pochi riescono a fare. Ed era costretto a farsi sfruttare, perché lavorare nei campi per 4 euro all’ora è sfruttamento.

                Una vergogna

                È illegale. È disumano. Fa ribrezzo. Specie per chi adesso ha la faccia tosta di dire “che la sua leggerezza ci costerà tanto”. No, caricatura di imprenditore e sottospecie di uomo. L’abitudine criminale di chi sfrutta essere umani gli è costata la vita. E chi se ne frega quanto costerà a te.

                Cerchiamo di ricordarci di lui

                Dall’Agro pontino alla Calabria a chissà quanti altri posti, come lui ce ne sono tanti. Troppi. Sotto gli occhi di tutti, probabilmente ignorati di proposito. Ma sarebbe bello se la sua morte, anzi, la sua uccisione, diventasse utile. Se nel suo nome, qualcosa potesse finalmente cambiare. Sì, nel suo nome. Perché aveva un nome, Satnam, e un cognome, Singh. E dopo una vita da invisibile, ora che è morto, anzi, che è stato ucciso, sarebbe bello se tutti lo ricordassero.

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