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Punti di svista

La Georgia e il rischio di una nuova Ucraina: non giriamoci dall’altra parte

Sembra di assistere alla replica di un film che, ormai, dovremmo conoscere fin troppo bene. Non possiamo rappresentare solo degli spettatori silenti, è in gioco il futuro di tutti.

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    Sarebbe facile liquidare la questione come lontana e dire che non ci interessa. Ma quanto accaduto in Georgia ci riguarda eccome. Le elezioni nell’ex Paese sovietico sono l’ennesimo capitolo di un libro che abbiamo ormai imparato a conoscere: irregolarità diffuse, brogli, caos e l’ombra lunga della Russia.

    L’importanza di schierarsi

    Video, foto e prove, mostrano in maniera palese e inequivocabile come ci siano state manipolazioni del risultato, tanto da spingere centinaia di migliaia di persone a scendere in piazza per chiedere nuove elezioni davvero libere. «Chi se ne importa?», si potrebbe dire. Ci importa eccome. Perché la posta in gioco non è soltanto la politica interna di un Paese che non ha questa grande rilevanza, ma anche e soprattutto la collocazione geopolitica di quel Paese in Europa, ovvero, piaccia o no, di tutti noi.

    Lontano dall’Europa

    E poi, una volta di più, va stigmatizzato il costante «gioco» della Russia che per allargare quanto più possibile le proprie influenze, conduce quella che viene definita «guerra ibrida», fatta di spie ma anche di hacker, fake news e appunto brogli. In questo caso, per ostacolare il processo democratico della Georgia e screditare ogni tentativo di avvicinamento all’Europa.

    Il pericolo di essere spettatori muti

    L’Occidente resta pericolosamente a guardare, diviso tra supporto simbolico e preoccupazione poco manifestata. I georgiani che lottano per un voto libero contro le pressioni esterne, ci ricordano quanto alto sia il prezzo della libertà. E quanto alto sia il pericolo di vedere un film drammaticamente già visto. Tbilisi può diventare una nuova Kiev e sul caso ucraino l’Occidente si è girato più che abbastanza dall’altra parte. Impariamo dagli errori. Ci riguarda eccome.

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      Chi si fa i fatto suoi non è un visionario. Ma in fondo, chi se ne frega…

      Il patron di Tesla sul palco della Capital One Arena ha alzato per due volte il braccio verso la folla. Il gesto è stato interpretato come un saluto romano, un riferimento al regime fascista e nazista, anche se i suoi collaboratori si sono affrettati a smentire i collegamenti, cercando fantasiosi riferimenti all’impero romano…

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        Da giorni non si parla d’altro e forse è inevitabile. Sgomberiamo subito il campo da ogni equivoco: sì, Elon Musk durante le cerimonie per l’ insediamento di Donald Trump, ha fatto il saluto fascista! Non servono moviole o var o interpretazioni più o meno faziose. L’ha fatto eccome e chi lo nega, nega l’evidenza.

        Non esattamente stabile

        Quel che conta però è altro. Siamo onesti: chi se ne frega di cosa fa Musk? Sia chiaro, finché si limita a essere “imprenditore e visionario” è inattaccabile. Ed è evidente che qualcuno si possa essere risentito. Ma teniamo presente la natura del personaggio. Geniale ma folle, non esattamente stabile, utilizzatore, per sua ammissione, di sostanze stupefacenti. Chi lo sa cosa volesse dimostrare con quel gesto ma in fondo, appunto, chi se ne frega.

        Urge un cambio di prospettiva

        Il problema semmai è quando il buon Elon si occupa con partecipazione di affari di casa nostra, come la politica e le leggi italiane o i provvedimenti europei. In quel caso dovremmo leggermente cambiare prospettiva e dire “Elon, ma che te frega”?!?!

        Elon, lasciaci perdere…

        Col tuo braccio, a casa tua, fai quel che vuoi. Dalle nostri parti, vedi di fare il bravo e stare al tuo posto. Imprenditore sì, visionario anche, influencer già meno. Prezzemolino “parlo di tutto, so tutto io, vi spiego la vita”, anche no.

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          Il lusso di non far nulla: la nuova tendenza social è (finalmente) buona

          E’ la moda del momento che impazza sui social: il “dolce far niente”. Una celebrazione dell’ozio che innalza la pigrizia a tendenza di grande stile.

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            Dopo anni passati a inseguire tendenze social che ci facevano male a corpo, mente e conto in banca, finalmente arriva una moda che possiamo abbracciare con gioia senza rimpianti: il sabato sera in pigiama. Sì, direttamente dalla Finlandia, terra di saune e minimalismo, arriva la rivoluzione definitiva.

            Il niente diventa “in”

            Altro che serate in discoteca o cene gourmet, il nuovo status symbol è restare a casa, avvolti in un pile, con una tisana, magari un buon libro o una serie tv. E nulla più. Alla faccia di chi fino a ieri era considerato un eremita o un associale se osava dire «Non esco, sto troppo bene sul divano». Ora invece può diventare un modaiolo.

            E’ la Finlandia a dettare il nuovo trendy

            Il pigiama e le pantofole al posto del tacco 12 e dell’abito lungo. Se non è una rivoluzione, poco ci manca. Per anni ci siamo torturati con il “FOMO” (Fear Of Missing Out), la paura di perdersi qualcosa di bellissimo se non si esce di casa. «Niente», è la risposta che arriva dalla Finlandia. Il mondo andrà avanti lo stesso, e tu ti risparmierai soldi e tempo per trovare parcheggio e anzi, potremmo finalmente rilassarci e riprenderci un po’ del nostro tempo. Per fare nulla.

            L’ozio del sabato sera

            La tendenza, nata come ribellione ai social, è diventata virale proprio grazie ai social. Foto di pigiami in seta, calzettoni pelosi e tazzone hanno inondato Instagram, trasformando la pigrizia in un’arte da celebrare. Probabilmente la tendenza che serviva. Viva il sabato sera casalingo. In fondo il vero lusso non è mostrarsi in giro, ma concedersi il diritto di non farlo.

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              Mister Facebook, banderuola social

              Il, per certi versi sorprendente, dietrofront di Mark Zuckerbeng è imbarazzante. Pur di rimanere a galla, per lui è tempo di di invertire la direzione di marcia.

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                Come si cambia per non sparire. Mark Zuckerberg ha dimostrato che sono tutti liberali con i social degli altri, rendendosi protagonista di un dietrofront clamoroso, sconfessando se stesso e anni di lavoro. In nome, si capisce, del denaro e della necessità di baciare la pantofola al nuovo sceriffo in città, ovvero Donald Trump.

                L’attacco al presidente uscente

                Nel giro di un attimo, il fondatore di Facebook e capo anche di Instagram, ha deciso di eliminare i fact-checkers (tanto, chi ha bisogno di verità?), chiuso il programma di diversità e inclusione (troppa fatica) e anche attaccare il presidente uscente Joe Biden, con cui fino all’altro ieri erano tutte rose e fiori, per andare in visita al neo-presidente. Un dietrofront che ha dell’imbarazzante per adeguarsi al vento che cambia.  

                L’elogio dell’ex nemico Musk

                Nessuno scrupolo per mister Facebook arrivato al punto anche ad elogiare il nemico di sempre Elon Musk, ora manco a dirlo braccio destro dello Trump, copiando la sua politica (a tratti imbarazzanti) di controllo delle bufale via social. Da paladino del progressismo digitale a stratega dell’adattamento al punto che molti suoi dipendenti sono già sulle barricate e lo etichettano come folle e venduto. Eppure, a suo modo, Zuck è un maestro. Perché conosce bene la vera e unica dell’inclusione, farsi includere nelle grazie del potente di turno. Voleva connettere il mondo, ha dimostrato di sapersi connettere con chi comanda. Anche questo è un talento. Alla faccia della morale.

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