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Punti di svista

Lasciate stare Chiara Ferragni!

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    Ci sono reati, veri o presunti, per cui si trovano centinaia di «se» o di «ma». Ci sono colpevoli, o presunti tali, per cui ci sono seconde chance, ma anche terze, quarte, appelli, contro appelli… Ma ci sono persone, nello specifico una, e reati (al momento soltanto presunti) per cui anche solo l’ipotesi di colpevolezza equivale a una sentenza definitiva. Mi riferisco a Ferragni Chiara da Cremona, professione imprenditrice digitale.

    Chi sbaglia paga… ma per quanto tempo ancora?

    Da mesi non si parla altro che del suo «pandoro gate». In sintesi: nella campagna per promuovere un marchio, unito a un’iniziativa di beneficenza, lei (o più probabilmente chi gestisce i suoi affari) ha fatto un pasticcio, comunicando in maniera sbagliata finalità dell’iniziativa, somme guadagnate e somme donate. Un errore, senza dubbio. Che l’influencer più famosa del mondo ha pagato a carissimo prezzo. Lei ha ammesso le colpe, si è scusata e ha donato un milione di euro all’ospedale regina Margherita di Torino. Ma non è bastato.

    Le ripercussioni sul suo lavoro

    Numerosi marchi l’hanno scaricata, il suo giro d’affari è crollato e il suo futuro professionale è incerto. Ci sta. Ma quante persone nel nostro Paese sbagliano e chiedono scusa? Quanti, invece, negano l’evidenza pur di non ammettere le proprie responsabilità anche se gravi? Quanti se la cavano facendo finta di nulla e vanno avanti come niente fosse? È così in ogni ambito, dalla politica alla società civile.

    La macchina del letame è sempre in azione

    Al di là delle responsabilità che verranno accertate, la marea di letame lanciata addosso a Chiara Ferragni è eccessiva. E probabilmente figlia del fatto che molti, troppi, specie se privi di ogni capacità o talento, godano nel vedere crollare al tappeto chi è arrivato così in alto facendo quello che loro non potranno mai fare. Ha sbagliato Chiara Ferragni, anche nell’ostentare la sua vita da copertina. È giusto che paghi e pagherà. Ma siamo onesti: non ha mica ucciso nessuno. Non è una santa, nemmeno un demonio. La lapidazione in pubblica piazza, il rogo della strega cattiva, la gogna, anche no. Anche meno, dai.

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      Un eroe normale, non degno di un paese (non) civile

      Un eroe involontario, che ha ritenuto solo di fare la cosa giusta in un frangente drammatico. E che lascia tutti attoniti ed amareggiati,

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        La storia di Michele, il ragazzo di Mestre ucciso per aver difeso una ragazza da una rapina, lascia addosso un senso di ingiustizia misto ad ammirazione. Perché Michele ha fatto quello che molti di noi, forse, non avrebbero il coraggio di fare: non si è girato dall’altra parte mentre qualcuno era in pericolo. Ha avuto coraggio. E ha pagato con la vita.

        Il coraggio di preoccuparsi per gli altri

        Sicuramente qualcuno avrà pensato “poteva farsi gli affari suoi”, qualcun altro si sarà chiesto se ne valeva la pena. Domande e riflessioni lecite e normali, in un mondo di indifferenti. La via più semplice è quella di farsi gli affari propri, è vero. Se lo avesse fatto anche lui, nessuno avrebbe potuto giudicare quel ragazzo che passava di lì, che si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato. Ma Michele non lo ha fatto, non si è voltato dall’altra parte, non si è fatto gli affari propri. Ha scelto di fare la cosa giusta, quella che riteneva giusta. E suo malgrado è diventato un eroe.

        L’amaro in bocca

        Ma la sua storia lascia anche un profondo senso di amarezza. Perché mai in un Paese civile fare la cosa giusta, essere altruista, e non girarsi dall’altra parte di fronte a un’ingiustizia, dovrebbe costare la vita. In un Paese davvero civile, non si diventa eroe in questo modo. Michele lo è diventato un eroe, purtroppo. E questo non può che fare tristezza.

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          La triste disfida tra rapper diventa un patetico show

          Fedez e Tony Effe a caccia di visualizzazioni e di like, chissenefrega se la musica viene relegata all’ultimo posto… l’importante è fare notizia, sempre e comunque.

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            Mi si nota più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente? Il dubbio amletico di Nanni Moretti in Ecce Bombo non esiste nel mondo del rap. Di certo ci si fa notare quando si è notati, anche se per farlo si sfiora il patetico. Per informazioni citofonare a Fedez e Tony Effe, che si sono contesi le prime pagine dei giornali non grazie a qualche strofa potente o a un nuovo sound rivoluzionario, ma grazie all’ultimo tragico e patetico episodio di una presunta “guerra tra rapper” che ispira un po’ di tenerezza e molta tristezza.

            Che barba, che noia…

            Il re delle polemiche su Instagram contro il campione dei trapper con la vocale mononota. E se già state sbuffando, avete ragione. Questo dissing, più che una sfida epica tra titani, sembra la trama di un film di serie B che nessuno vuole vedere, ma che alla fine tutti guardano, magari per sentirsi superiori.

            Sberleffi, insulti… ma la musica dov’è?!?

            In realtà quello che va in scena è una triste battaglia a caccia di un consenso più effimero che reale. Da un lato l’icona del rap diventato personaggio dei social e della tv, dall’altra il cattivo che cerca di accreditarsi come duro scimmiottando i gangsta rap americani. Ma in fondo, quello che rimane, è solo una guerra di like e visualizzazioni in cui la musica non conta nulla. E qualcuno, visti i risultati, potrebbe dire “meno male”. Perché mentre loro si azzuffano a suon di frecciatine, la colonna sonora di questo triste spettacolo è sempre più inascoltabile.

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              La differenza fra legittima difesa e vendetta

              Un recente caso di cronaca ci stimola ad interrogarci sulla follia della giustizia “fatta in casa”. Anche se abbiamo subito un grave torto dovremmo sempre ricordarci che viviamo in uno stato di diritto… e non nel Far West.

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                Viene derubata della borsa, sale in macchina, insegue il ladro, lo raggiunge e lo investe, passandogli sopra due, tre, quattro volte, uccidendolo. E poi va via come se nulla fosse. Il fatto di cronaca in sè è aberrante ma il problema, ahinoi, è un altro. Perché in tanti, troppi, hanno pensato e detto che in fondo “ha fatto bene”, che si tratta di “legittima difesa” ma anche che quel ladro “se l’è cercata”, fino al tanto immancabile quando idiota “uno di meno”.

                Rabbia sì, omicidio no

                Bisogna essere chiari: la rabbia e la frustrazione sono comprensibili, anche una reazione scomposta, al limite. Ma questa, nello specifico, non è autodifesa, non è legittima difesa. È vendetta. È un omicidio. E vendetta e omicidio non sono accettabili, non siamo nel far West.

                Il caos della giustizia fai-da-te

                Va bene lamentarsi che viviamo nell’insicurezza, che i processi sono lunghi e che le pene per chi delinque spesso sono troppo blande ma alimentare la visione per cui la vendetta è la risposta porta solo al caos. Ognuno diventa giudice, giuria e boia. E questo è inaccettabile. O è davvero questo il mondo in cui vogliamo vivere? Quello in cui ognuno si erge a vendicatore e si fa giustizia da solo? Non facciamo confusione o populismo da quattro soldi. Ricordiamoci che viviamo in uno stato di diritto. Sempre, non solo quando fa comodo a noi.

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