Punti di svista

Nel nome di Satnam

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    Aveva un nome, Satnam, e un cognome, Singh. E sarebbe bello che tutti se lo ricordassero. Non soltanto ora che giornali e tv hanno puntato i riflettori sulla sua vicenda perché la sua morte, anzi, la sua uccisione, fa notizia. Sarebbe bello se di questo ragazzo indiano ci si ricordasse a lungo. Perché l’unico modo che la sua morte, anzi, la sua uccisione, non sia inutile, è che qualcosa cambi nel suo nome.

    Costretto a farsi sfruttare

    Perché lui, non era solo un bracciante, un immigrato, uno degli ultimi anelli della nostra società di cui quando ci fa comodo andiamo tanto fieri. Lui non era uno dei pochi derelitti che sopravvivono come possono. Era uno dei tanti che invisibili che non sono. Lui lavorava, si dava da fare e sognava un futuro per se e la sua famiglia. Era nel nostro Paese perché di lui il nostro Paese aveva bisogno per fare un lavoraccio che pochi riescono a fare. Ed era costretto a farsi sfruttare, perché lavorare nei campi per 4 euro all’ora è sfruttamento.

    Una vergogna

    È illegale. È disumano. Fa ribrezzo. Specie per chi adesso ha la faccia tosta di dire “che la sua leggerezza ci costerà tanto”. No, caricatura di imprenditore e sottospecie di uomo. L’abitudine criminale di chi sfrutta essere umani gli è costata la vita. E chi se ne frega quanto costerà a te.

    Cerchiamo di ricordarci di lui

    Dall’Agro pontino alla Calabria a chissà quanti altri posti, come lui ce ne sono tanti. Troppi. Sotto gli occhi di tutti, probabilmente ignorati di proposito. Ma sarebbe bello se la sua morte, anzi, la sua uccisione, diventasse utile. Se nel suo nome, qualcosa potesse finalmente cambiare. Sì, nel suo nome. Perché aveva un nome, Satnam, e un cognome, Singh. E dopo una vita da invisibile, ora che è morto, anzi, che è stato ucciso, sarebbe bello se tutti lo ricordassero.

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