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Punti di svista

Quello che guardiamo è quello che siamo: trash

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    Se è vero che siamo quello che mangiamo, in fondo siamo anche quello che vediamo. E non dobbiamo stupirci di nulla. Ma non può passare inosservato cosa è successo quest’estate quando il trash televisivo ha battuto, anzi, surclassato la cultura. Temptation Island ha infatti raccolto il triplo degli ascolti di Noos, costringendo la Rai a sospendere la trasmissione di Alberto Angela per evitare, di fatto, che non la vedesse nessuno.

    Ad ognuno il suo

    Non che il pubblico che si interessa a storie da spiaggia, corna e abbronzatura sia sovrapponibile a quello che smania per sapere di più su storia, scienza e cultura ma così è stato. E forse è pure un bene.

    Voglia di leggerezza

    Nessun intento giudicatorio, sia chiaro. Ognuno in tv guarda quel che preferisce e magari, specie d’estate, c’è voglia di leggerezza. Non sarà certo un problema di auditel a cambiare le sorti del nostro Paese ma siamo onesti: questo siamo. Siamo quelli che si lamentano della pochezza dei politici salvo poi votarli in massa. Quelli che si lamentano di chi non paga le tasse ma che se poi ci fanno risparmiare perché non ci fanno la fattura chiudiamo un occhio, perché «intanto lo fanno tutti». Siamo quelli che crediamo ai complotti, che «non ce lo dicono», che è tutto un magna magna.

    Il trash impazza

    Gli stessi che stanno affrontando un analfabetismo funzionale che non si vedeva da decenni. Sì, siamo questi. Quelli che guardano Temptation island. L’importante è farsene una ragione. E non stupirci più.

      Punti di svista

      Il destino del mondo nelle mani di una popstar: benvenuti in America!

      Tantissimi giovani pendono dalle sue labbra… e non solo quando canta le sue canzoni. Taylor Swift si sta sempre più rivelando un elemento decisivo per il risultato finale delle presidenziali negli Stati Uniti. Con grande disappunto da parte dell’ex presidente Trump…

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        Se qualcuno dieci anni fa avesse detto che Taylor Swift avrebbe avuto un potere tale da essere in grado di influenzare le elezioni presidenziali americane, chiunque lo avrebbe sbeffeggiato. E invece eccoci qua: la popstar da miliardi di stream, regina indiscussa del pop mondiale, lo sta facendo davvero. Il suo endorsement alla candidata dem Kamala Harris, arrivato pochi minuti dopo il dibattito tv con Donald Trump – incredibile ma vero – può spostare gli equilibri.

        Non soltando un idolo musicale

        Ma com’è possibile che una popstar sia così influente nell’opinione pubblica? Taylor Swift orami non è soltanto un’icona musicale. Da una parte è una vera e propria macchina da guerra capace di sfornare successi in serie e spostare folle oceaniche ad ogni concerto. Dall’altra è diventata un’influencer, ma per davvero. La sua è una narrativa che va ben oltre le sue canzoni. Parla di empowerment, diritti civili, parità di genere e di importanza del voto come partecipazione attiva. Inoltre è sobria, non ci sono scandali su di lei, foto di nudo, gossip. Riesce a mantenersi «pulita» agli occhi di tutti. E milioni di persone, soprattutto giovani, pendono dalle sue labbra, pronti a sognare un futuro migliore con le cuffiette nelle orecchie.

        Fa spostare l’ago della bilancia

        E dopo la sua scelta di campo, milioni di giovani, molti dei quali magari ancora indecisi o demotivati nei confronti della politica, si sono registrati come elettori per le prossime presidenziali e potrebbero scoprirsi all’improvviso sostenitori dell’attuale vicepresidente. Che in una sfida, comunque, testa a testa non poteva chiedere di meglio. E così Taylor Swift potrebbe davvero cambiare la storia della politica americana. E quindi mondiale. Chissà che in un modo o nell’altro non dovremo a breve ringraziare (o maledire) una popstar per come siamo messi.

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          Punti di svista

          Il rigore che ci vuole per punire i vigliacchi social

          L’attaccante del Como Patrick Cutrone, cresciuto nelle giovanili del Milan, si sfoga per i messaggi vergognosi da lui ricevuti dopo un rigore fallito. Commenti non solo odiosi ma anche surreali… visto che lui è stato fra i protagonisti (14 gol e 5 assist in 32 presenze) della promozione in Serie A della sua squadra attuale…

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            «Nino non aver paura di sbagliare un calcio di rigore…», cantava De Gregori. Ma quando pubblicò una delle sue canzoni più celebri, La leva calcistica della classe ‘68, non aveva fatto i conti con i social network e su quanto possano essere utilizzati in maniera infima.

            Augurare la morte a chi fallisce un penalty: succede pure questo

            Succede che Patrick Cutrone, attaccante del Como, sbagli un calcio di rigore decisivo, nei minuti di recupero, nella gara contro l’Udinese. È successo a lui come ad altri nel passato, succederà ancora. Piccolo dramma sportivo ma, oggettivamente, nulla di irreparabile, specie alla terza giornata di campionato. Eppure, eccoli i fenomeni dei social. In questo caso molto più che odiatori. La pagina Instagram di Cutrone è stata infatti intasata di insulti, alcuni gravissimi, in cui si augura la morte a lui e ai suoi figli. Inaccettabile.

            Leoni… vigliacchi

            Il calciatore non ci sta, mostra parte di questi vergognosi messaggi (ovviamente provenienti da account anonimi, perché i cuor di leone virtuali sono profondamente vigliacchi, sempre) e scrive: «Accetto le critiche, com’è giusto che sia ma queste cose non le lascio passare». E ha ragione, da vendere. Banale esprimere solidarietà a Cutrone.

            Ci vogliono regole (e pene) precise

            L’augurio è che la polizia postale rintracci quei cretini e, oltre a metterli di fronte alla loro pochezza umana, meglio se pubblicamente, gli faccia mettere anche mano al portafoglio. Una bella e cospicua donazione a qualche associazione caritatevole sarebbe una bellissima e sacrosanta lezione. Per tutti.

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              Il dramma di Sharon e lo squallido spettacolo degli onorevoli sciacalli

              Quando un drammatico fatto di cronaca nera diventa il prestesto per dichiarazioni inutili ed anche offensive. E’ accaduto purtroppo anche in occasione del delitto di Sharon Verzeni.

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                Non poteva mancare. Piacevole come la sabbia che resta tra le dita dopo una giornata al mare e utile come una forchetta in un piatto di brodo. Ma tant’è, la speculazione politica dopo un fatto di cronaca non manca mai.

                Inutili presenze

                E così, l’efferato delitto della povera Sharon Verzeni, ha permesso a politici di una parte e dell’altra di palesare tutta la loro profonda inutilità e trasmettere una volta di più un concreto fastidio. A nessuno importava davvero l’accaduto. L’importante era prendere posizione e dire qualche assurdità per avere visibilità.

                Sono solo… parole, anzi… fesserie

                «Il killer non è italiano», solo perché è di colore. Oppure «l’omicidio è figlio del patriarcato» perché i femminicidi nascono in un contesto di prevaricazione. Fesserie, dette per fare sensazionalismo e raccattare qualche voto qua e là. Fesserie, che qualificano chi le dice e che offrono un quadro preciso della desolazione della nostra realtà politica in cui, speculare su una tragedia, è più importante lavorare, per davvero, per la collettività.

                Purtroppo è la replica della replica

                Nulla di inedito, un copione già visto più volte. Speculare sulla cronaca è triste. Farlo sulla pelle di una povera ragazza è davvero squallido.

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