Punti di svista

Sinner-doping, ingiustizia è fatta: quando lo sport è in mano agli incapaci

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    C’è un retrogusto amaro al sapore di ingiustizia nella vicenda legata al presunto caso doping che ha colpito il numero uno del tennis mondiale Jannik Sinner. È innocente, eppure è stato squalificato per tre mesi. Il ragazzo si è confermato maturo e con la testa sulle spalle accettando un accordo, per quanto iniquo nella sua base, per evitare che la vicenda si trascinasse ancora a lungo. «Questo caso incombeva su di me ormai da quasi un anno. Il processo era ancora in corso, si sarebbe arrivati a una conclusione forse solo a fine anno».

    Per Sinner un dopaggio senza nessun beneficio

    Bravo e responsabile. Ma perché accettare una situazione del genere? La Wada, l’Agenzia Mondiale Antidoping già nota per la vergognosa gestione del caso di Alex Schwazer, non si è fermata. Ha tirato dritto forte del suo ruolo di giudice incontestabile, nonostante le ombre che aleggino su un’agenzia più volte ai limiti dell’abuso di potere. Una vergogna, al punto che la stessa Wada è stata costretta ad ammettere nero su bianco che «Sinner non aveva intenzione di barare. La sua esposizione al clostebol non ha fornito alcun beneficio in termini di prestazioni, avvenendo a sua insaputa a causa della negligenza di alcuni membri del suo entourage».

    Wada di parte

    Sinner ha scelto di chiuderla qui per evitare ulteriori tormenti e, chissà, una squalifica ancora più pesante. Perché da quelle parti la giustizia non conta. La Wada lo ha già dimostrato, procede per partito preso. Ma la scelta di Sinner dovrebbe aprire una riflessione: perché lo sport professionistico, che non è solo un gioco, deve dipendere e sottostare a queste cialtronerie? Sarebbe anche l’ora che l’agenzia mondiale dell’ingiustizia Wada nel dimenticatoio

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