Punti di svista

Tifo dilagante: dal calcio alla politica

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Tifo dilagante: dal calcio alla politica

    C’è un malcostume tutto italiano che parte dal calcio e arriva dritto sino alla politica: il tifo acritico. Niente obiettività, nessuna razionalità. È sempre colpa di qualcun altro, sia il giudice, l’arbitro o l’avversario di turno.


    Un parallelismo quantomeno bizzarro

    Se a fare questo ragionamento è l’allenatore della squadra che ne ha beccati tre, o il segretario di partito che ha preso una batosta elettorale, ci sta, fa parte del gioco e della dialettica. Ma quando lo spettatore o l’elettore non parte in causa, assumono lo stesso atteggiamento, abbiamo un problema.

    Quando “vale tutto”… sono guai

    Perché se nel calcio il tifoso male che vada assiste alla sconfitta della propria squadra, in politica l’affare si complica. Complice l’appiattimento causato dai social, cresce clamorosamente la schiera di quelli che «l’ha detto lui, quindi è vero», dove lui è il leader del proprio partito. Non conta quali nefandezze sostenga, non importa che dica fesserie, chi se ne frega se calpesta ogni logica o buonsenso. E allora via, vale tutto. Eh no, guai a perdere il senso critico. Guai. Ne va della propria dignità ma anche della stessa democrazia. Due più due non fa 5, a prescindere da chi lo dica.

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