Sic transit gloria mundi
Donald & Melania, il matrimonio di ghiaccio: 20 anni insieme, ma solo sui social
Il tycoon dedica alla moglie un messaggio talmente freddo che sembra scritto con i guanti, mentre lei sceglie il silenzio. Nessun commento, nessuna reazione. Un’unione sempre più congelata.
Donald e Melania Trump hanno (ufficialmente) festeggiato il loro ventesimo anniversario di matrimonio. Il condizionale è d’obbligo, perché il clima di celebrazione pare sia stato lo stesso di un ricevimento nuziale in una camera frigorifera.
L’ex presidente ha deciso di onorare la ricorrenza con un post su X (ex Twitter), in cui si è sforzato di scrivere: «Buon 20esimo anniversario a Melania!». Parole caldissime, certo. Peccato che il tutto fosse accompagnato da una foto sgranata del giorno delle nozze, celebrate nel 2005 a Palm Beach, nella chiesa episcopale di Bethesda-by-the-Sea.
Sull’account @potus, invece, Trump ha alzato (di poco) il livello dell’impegno, pubblicando una foto più recente della coppia, con una dedica che sembra scritta da un ufficio stampa in modalità pilota automatico: «Festeggiando 20 anni con la mia bellissima moglie e la nostra incredibile First Lady, Melania. Sei una moglie straordinaria e una mamma meravigliosa. Buon anniversario».
E Melania? Ha risposto con il più sonoro dei silenzi. Nessun like, nessun repost, nessun accenno di gratitudine digitale. D’altronde, il matrimonio tra il tycoon e l’ex modella slovena sembra ormai una faccenda più formale che sentimentale. L’ultima volta che si erano scambiati un bacio in pubblico risale all’Inauguration Day del 2017, e già allora sembrava forzato come un sorriso alle dogane.
Se Trump sperava in una risposta affettuosa, forse ha dimenticato che per farla arrivare servirebbe almeno un po’ di calore. E il loro anniversario, più che una celebrazione d’amore, sembra l’ennesima conferma di un matrimonio di cartongesso, perfetto per le foto, ma fragilissimo nella realtà.
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Sic transit gloria mundi
La scalata social di Giorgia Meloni: 11 milioni di follower e un primato che scalza Salvini dal trono digitale
Con oltre 11 milioni di follower e una crescita vertiginosa di quasi 2,5 milioni in un anno, Giorgia Meloni diventa il leader politico più seguito in Italia, scalzando per la prima volta Matteo Salvini. Merito di una strategia social ben bilanciata, tra contenuti istituzionali, slogan populisti e vicinanza ai cittadini, e di un’esposizione internazionale che le ha portato migliaia di nuovi fan, soprattutto dall’India, grazie al rapporto con Modi.
Giorgia Meloni non smette di sorprendere, nemmeno sui social. Se pensavate che il primato di Matteo Salvini fosse inattaccabile, preparatevi a rivedere le vostre certezze: per la prima volta, la premier supera il leader della Lega per numero di follower. Un evento storico? Forse no, ma sicuramente emblematico di come la comunicazione politica si stia evolvendo, passando sempre più dal tradizionale al digitale.
I numeri parlano chiaro: con oltre 11 milioni di follower, una crescita di quasi 2,5 milioni in un anno e una post interaction media superiore all’1,8%, Giorgia Meloni ha conquistato la vetta della classifica stilata da DeRev, società specializzata in strategia e comunicazione digitale. Un traguardo che non arriva per caso, ma grazie a una strategia tanto mirata quanto efficace.
Il 2024 segna la seconda conferma consecutiva per Meloni come regina dei social politici italiani. Salvini, abituato a dominare la scena, deve accontentarsi del secondo posto con quasi 10 milioni di follower e una crescita piuttosto contenuta rispetto alla premier: appena 194mila nuovi seguaci nell’ultimo anno. Un sorpasso che non è solo una questione di numeri, ma anche di impatto e visione internazionale.
Ma come ha fatto Giorgia Meloni a compiere questa impresa? Secondo Roberto Esposito, Ceo di DeRev, la recente esposizione internazionale ha giocato un ruolo chiave. “I social sono un mezzo di comunicazione senza confini – spiega Esposito – e l’attenzione globale su Meloni, a partire dagli Stati Uniti fino all’India, ha avuto un effetto trainante.”
Un esempio su tutti? L’incontro con il premier indiano Narendra Modi, che ha portato un’ondata di nuovi follower dall’India, un paese con una delle community social più attive al mondo. Non è un caso che, come sottolinea lo stesso Esposito, il post più popolare tra quelli pubblicati dai leader politici italiani sia proprio quello che ritrae Meloni insieme a Modi.
Eppure, non è solo questione di fortuna o circostanze favorevoli. La premier ha saputo costruire una presenza digitale ben bilanciata, che mantiene un tono istituzionale senza perdere il contatto con i cittadini. Un equilibrio non facile, soprattutto per chi ricopre una carica così delicata. Meloni riesce a parlare al suo elettorato con post autentici, alternando immagini ufficiali a momenti più personali, come i saluti natalizi o le giornate con la famiglia.
La classifica di DeRev non si limita a misurare il numero di follower, ma prende in considerazione diversi indicatori: crescita dell’audience, numero di interazioni e post pubblicati. Dietro a Meloni e Salvini troviamo Giuseppe Conte, Carlo Calenda ed Elly Schlein, mentre Matteo Renzi e Antonio Tajani chiudono la graduatoria. Insomma, una mappa del consenso social che riflette, in parte, i rapporti di forza della politica italiana.
E Salvini? Il leader della Lega, che per anni ha dominato il panorama social con i suoi post diretti e spesso provocatori, sembra aver perso un po’ di smalto. Forse paga lo scotto di una strategia comunicativa che non si è evoluta al ritmo delle nuove tendenze. Oppure, più semplicemente, è stato scalzato da una leader che ha saputo interpretare meglio il momento storico.
Guardando al futuro, la sfida per Meloni sarà mantenere il suo primato. Se il 2024 ha confermato la sua forza, il mondo digitale cambia rapidamente e non concede pause. Tuttavia, una cosa è certa: il suo approccio strategico e la capacità di adattarsi ai contesti fanno di lei una leader che sa giocare con abilità su tutti i fronti, compreso quello dei social.
Per ora, la premier può godersi questo ennesimo traguardo, con buona pace degli altri leader politici. Chissà che il sorpasso social non sia il preludio a un nuovo capitolo per la comunicazione politica italiana. In ogni caso, Giorgia Meloni ha dimostrato che, per vincere, non basta essere presenti: bisogna essere rilevanti. E su questo, al momento, non sembra avere rivali.
Sic transit gloria mundi
Elon Musk e il “saluto nazista”: quando le scuse sono peggiori del gesto
Dai giornali americani e israeliani ai social, la condanna è unanime: il proprietario di X e Tesla ha fatto un gesto che non lascia spazio a dubbi. Ma la difesa è goffa e patetica: il suo referente in Italia prima esulta, poi cancella il tweet e cerca di riscrivere la realtà. Musk, dal canto suo, liquida tutto come un “trucchetto sporco”. Ma stavolta il trucco è fin troppo evidente.
Elon Musk ha fatto il saluto nazista in diretta TV. Lo ha fatto una volta. Poi, siccome gli era piaciuto, lo ha rifatto. Davanti a una folla in delirio. Il gesto è stato trasmesso ovunque, in tutto il mondo, e ha generato indignazione. Ma, come sempre, Musk non si scusa: nega, attacca, si rifugia nella sua solita narrativa vittimista, in cui lui è il genio perseguitato e gli altri, poveri stolti, sono solo burattini manipolati dai media in cerca di “sporchi trucchetti”.
Il solito copione: negare, minimizzare, insultare
Le immagini parlano chiaro. Durante il suo intervento alla Capital One Arena di Washington, Musk si è battuto il petto e ha alzato il braccio teso verso il pubblico. Poi si è voltato e ha ripetuto il gesto. Gli stessi giornali americani e israeliani, da Haaretz al Times of Israel, hanno sottolineato la gravità dell’accaduto, facendo notare che non si tratta di un incidente isolato: Musk ha già una lunga lista di strizzate d’occhio all’estrema destra, dagli attacchi a George Soros al sostegno più o meno esplicito ai movimenti suprematisti bianchi e ai partiti ultraconservatori in Europa.
Come ha reagito? Con la solita arroganza. «Hanno bisogno di meglio di questi sporchi trucchetti», ha scritto su X, come se tutto fosse un gigantesco complotto ai suoi danni. E poi l’inevitabile vittimismo: «L’attacco tutti sono Hitler ha così stancato…».
Le scuse che fanno ridere (e piangere)
La ciliegina sulla torta arriva dai suoi fedeli scudieri, pronti a riscrivere la realtà con la stessa disinvoltura con cui Musk lancia razzi nello spazio. Andrea Stroppa, suo referente in Italia, inizialmente esaltato («L’Impero Romano è tornato, a cominciare dal saluto romano!»), ha cancellato il tweet e cambiato versione. Ora il gesto sarebbe semplicemente un’espressione affettuosa: «Musk è autistico e stava solo cercando di dire “Voglio darvi il mio cuore”». Ah, e ovviamente, «A Elon non piacciono gli estremisti!».
Se davvero non c’era nulla di male nel gesto, perché cancellare il tweet? Se era un’espressione d’affetto, perché servono giustificazioni così elaborate? Se l’intento era innocente, perché il danno d’immagine è immediatamente apparso evidente perfino ai suoi collaboratori?
La verità è che Musk sa perfettamente cosa ha fatto, e chi lo difende sta solo cercando di mettere pezze su una voragine che ormai è impossibile da nascondere.
Dal “cuore” al danno d’immagine
Il problema non è solo il gesto. Il problema è tutto il contesto che Musk ha costruito attorno a sé negli ultimi anni. Un contesto fatto di strizzate d’occhio al suprematismo bianco, retorica cospirazionista, ammiccamenti ai movimenti di estrema destra e gestione di Twitter (ora X) come una piattaforma sempre più accogliente per il peggior ciarpame dell’odio online.
Musk provoca, osserva le reazioni, nega l’evidenza e trasforma tutto in uno scontro tra il “sistema” e il suo genio incompreso. Questo teatrino gli ha fruttato popolarità e seguito, ma sta arrivando il momento in cui il gioco diventa pericoloso.
Musk e la libertà di espressione a senso unico
Musk è lo stesso che ha costruito la sua narrativa attorno alla libertà di espressione. Ha difeso il diritto di chiunque di dire qualsiasi cosa, anche le peggiori nefandezze. Ha riammesso personaggi banditi da Twitter per incitamento all’odio, ha ridicolizzato chi si opponeva a certe derive.
Ma quando tocca a lui? Quando viene criticato, Musk non risponde con la libertà di pensiero, risponde con la negazione e il vittimismo.
L’ipocrisia è palese. E mentre lui finge di non capire, il messaggio è arrivato forte e chiaro: questo non è un caso isolato, è una scelta precisa.
Ma stavolta, il trucco è troppo evidente. E fa schifo.
Sic transit gloria mundi
Vannacci riscrive la storia e rilancia le ipotesi farlocche dei neonazi tedeschi: “Hitler era comunista”
Il generale si schiera con la leader dell’ultradestra tedesca Weidel e sostiene la sua teoria bislacca. Perché la Storia, quella vera, lo smentisce senza pietà.
Quando pensi che l’assurdo abbia raggiunto il suo apice, arriva Roberto Vannacci a dimostrarti che c’è sempre un gradino più in basso. Dopo le dichiarazioni di Alice Weidel, leader dell’AfD tedesca, secondo cui Hitler sarebbe stato un “comunista, socialista e antisemita”, il generale non ha perso l’occasione per ribadire il concetto, con la sua solita spavalderia e una totale noncuranza per la Storia.
Durante l’ultima puntata di Fuori dal Coro, Vannacci ha sostenuto che il nazismo sia stato un movimento socialista perché “Hitler ha fondato un partito che si chiamava nazionalsocialismo”. Un’argomentazione che farebbe inorridire qualsiasi studente di storia del primo anno, ma che evidentemente trova spazio nel suo personalissimo mondo parallelo.
Ma il punto è semplice: no, Hitler non era comunista. No, il nazismo non aveva nulla a che vedere con il socialismo, se non nel nome (e pure quello scelto per mera strategia di consenso). Il Terzo Reich ha perseguitato e sterminato i comunisti, ha demonizzato il marxismo e ha costruito un sistema di dominio autoritario basato su razzismo, espansionismo e distruzione delle libertà democratiche.
La stessa ideologia hitleriana è sempre stata dichiaratamente anti-marxista e antisocialista. Nel 1932, Hitler affermava: “Il socialismo è la scienza di occuparsi del bene comune. Il comunismo non è socialismo. Il marxismo non è socialismo.” Chiara la distinzione, no? Peccato che per Vannacci la Storia sia un optional.
Forse il generale dovrebbe fermarsi un attimo, sfogliare un libro di storia (vero) e riflettere prima di lanciarsi in crociate revisioniste. Ma forse, proprio come Weidel, è troppo occupato a riscrivere la
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