Sic transit gloria mundi
Oggi le comiche! Migranti in Albania, tribunale di Roma non convalida il trattenimento. Ora tornano in Italia
Dodici migranti, spediti con grande sforzo in Albania, ora devono tornare indietro. Una spesa impeccabile di fondi statali, degna di un manuale su come gestire le risorse pubbliche e fare una figuraccia a livello internazionale.

Benvenuti a un nuovo episodio di “Come farci ridere dietro in Europa”. Il tema del giorno è: Migranti in Albania!, una trama degna del miglior film comico. Inizia con una soluzione brillante, una di quelle idee che fanno strabuzzare gli occhi per l’audacia: spedire i migranti in Albania, perché, si sa, è sempre una buona idea mandare qualcuno fuori dai confini quando non sai cosa farne.
La trama? Un successo! Dopo mesi di ritardi e lavori, ben dodici migranti provenienti da Egitto e Bangladesh, appena sbarcati dalla nave Libra della Marina militare italiana, vengono inviati al Cpr di Gjader in Albania. Un piano tanto semplice quanto geniale: mandarli là e… sperare che rimangano, forse? Il tutto tra fanfare e strombazzi: “L’Europa ci ha preso d’esempio”, gongolava Giorgia Meloni, con Matteo Salvini in brodo di giuggiole.
Peccato che il tribunale di Roma abbia deciso di aggiungere il colpo di scena finale: no, non va bene. Per i giudici italiani, l’Egitto e il Bangladesh non sono “Paesi sicuri” (forse qualcuno doveva ricordarselo prima di spedire il gruppo in Albania), e quindi i migranti, pensate un po’, devono tornare tutti, subito, in Italia.
Un viaggio senza senso: il ritorno obbligato
E così, il geniale piano si conclude con un ritorno al punto di partenza. Perché risolvere la questione in modo efficace quando puoi fare il giro del mondo con soldi pubblici? Secondo il tribunale di Roma, il trattenimento in Albania non può essere convalidato.
Giuseppe Santalucia, presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, ha spiegato il colpo di scena finale: “Sono giudici che applicano le norme volute dal nostro ordinamento e dall’ordinamento europeo di cui siamo parte integrante”. Insomma, l’Italia fa parte dell’Europa, ma quando si tratta di decisioni simili, sembra sempre una sorpresa!
Il grande ritorno (e il conto)
Ora, con grande sorpresa di nessuno, i migranti devono essere riportati a casa. Ci immaginiamo già la logistica: navi, voli, forse anche qualche limousine per riportarli indietro. Tutto, ovviamente, a spese di chi? Esatto! Dei cittadini italiani, che possono finalmente dire di aver contribuito a questa missione impossibile. Complimenti vivissimi a chi ha pensato questa brillante operazione! Non bastavano i 18mila euro a testa spesi per l’andata, ora c’è anche il ritorno. Forse era più conveniente ospitarli in un cinque stelle per un anno…
Se l’ intenzione del Governo era quella di farci diventare gli zimbelli dell’Europa, la missione è compiuta. Dopotutto, chi non vorrebbe essere il protagonista di questa bella messa in scena solenne, con fondi pubblici ben spesi per girare in tondo? Ora non resta che aspettare il prossimo episodio di questa grande commedia internazionale. Sperando che prima o poi qualche mente brillante paghi il prezzo al posto degli italiani. Ciak, si gira! Anzi, si rigira…
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Sic transit gloria mundi
Marine Le Pen si paragona a Martin Luther King e Salvini le va dietro (no, non è uno sketch di Crozza)
Collegata da Parigi al congresso della Lega, Marine Le Pen ha paragonato sé stessa e Matteo Salvini a Martin Luther King, evocando “diritti civili violati” dopo la sua condanna per frode. Nessun accenno alla truffa milionaria all’UE, solo vittimismo e standing ovation. Salvini ringrazia: “Buona battaglia!”

Pensavate di averle sentite tutte? Aspettate un attimo. Dopo il cappello da formaggio di Elon Musk, sul palco virtuale del congresso leghista è spuntata Marine Le Pen. Collegata da Parigi, la leader del Rassemblement National si è lanciata in un intervento fiume in cui ha paragonato la sua vicenda giudiziaria per frode ai danni dell’Unione Europea alla lotta per i diritti civili di Martin Luther King. No, non è una parodia. È tutto vero.
“Tu sai bene quello che sto vivendo perché lo hai vissuto anche tu”, ha detto rivolgendosi a Matteo Salvini, che annuiva compiaciuto. “Sai gli attacchi che vengono oggi perpetrati dalla giustizia contro i dirigenti che proteggono gli interessi del Paese”. Non è satira, è cronaca. Peccato che Le Pen sia stata condannata per avere truffato il Parlamento Europeo, facendosi rimborsare con soldi pubblici – cioè anche nostri – spese non dovute per collaboratori fantasma. Roba che, in altri tempi e altri Paesi, bastava a farti sparire dalla scena pubblica. Invece qui si prendono standing ovation.
Nessuna parola sulla maxi-frode, ovviamente. Al suo posto, un appello al popolo sovrano, ai cittadini di “serie A” contro l’Europa cattiva, che “non vuole farci votare i candidati che amiamo”. La sentenza – che la dichiara ineleggibile – sarebbe secondo lei “una violenza contro il popolo francese” e un attentato alla democrazia, come se fosse stata cacciata da una dittatura militare e non condannata da un tribunale, con prove e documenti.
Ma il capolavoro arriva alla fine: “La nostra lotta sarà pacifica e democratica come quella di Martin Luther King”. Già, perché paragonare la propria battaglia per evitare una squalifica politica a quella contro la segregazione razziale è il nuovo standard del vittimismo sovranista. Una linea già sperimentata da Trump e ora replicata in salsa europea. Con successo, almeno a giudicare dagli applausi della platea leghista.
Matteo Salvini non ha perso tempo: “Buona vita, Marine, buona battaglia e coraggio”. Il tutto senza accennare al dettaglio fondamentale: Le Pen è stata condannata per aver RUBATO. Non una condanna “politica”, non una sanzione per aver alzato la voce in Europa, ma una sentenza legata a fondi pubblici usati impropriamente. La giustizia, insomma, non perseguita idee, ma reati.
Nel frattempo, a Parigi, il Rassemblement National manifestava contro la sentenza, mentre in Italia si applaudiva a scena aperta. Un fronte internazionale del negazionismo giudiziario che fa impallidire anche i peggiori talk del dopocena.
E pensare che fino a qualche anno fa bastava uno scandalo sulle spese pazze per far saltare una carriera. Oggi invece ti paragonano a Martin Luther King. E magari, domani, ti intitolano pure una via.
4o
Sic transit gloria mundi
Tra guerre, crisi e rincari, l’Italia ha finalmente qualcosa di serio su cui concentrarsi: il matrimonio della Lucarelli.
Dopo anni di attesa (e tentativi andati a vuoto), Selvaggia Lucarelli ha annunciato che lei e Lorenzo Biagiarelli convoleranno a nozze. Quando? Forse nella primavera del 2025. Intanto, il Paese trattiene il respiro e RaiPlay celebra l’evento con lo scoop benedetto da padre Cattelan

L’Italia è una repubblica fondata sulle emozioni forti: le bollette, le alluvioni, i talk show urlati e… il matrimonio di Selvaggia Lucarelli. Una notizia che ha messo in pausa le priorità del Paese: inflazione, guerra, crisi climatica? Niente, signora mia, adesso c’è da capire quando si sposano Selvaggia e Lorenzo. E, soprattutto, se quel “forse” detto in aereo da Biagiarelli può già essere interpretato come un “sì” in latino ecclesiastico.
La notizia arriva direttamente da RaiPlay, per mano (anzi, microfono) di Alessandro Cattelan, che grazie al suo programma Hot Ones Italia si è guadagnato la benedizione ufficiale a gestire l’annuncio nuziale. Altro che agenzie stampa e comunicati ufficiali: oggi le nozze si rivelano così, con le dita unte di ali di pollo piccante e confessioni spirituali in salsa barbecue.
Nel confessionale laico della trasmissione, Selvaggia ha narrato le tappe della sua epica sentimentale con un candore degno di una puntata speciale di Uomini e Donne over. “Dopo qualche giorno che ci siamo conosciuti gli ho chiesto di sposarmi e fare un figlio”, racconta con quella sincerità un po’ punk che le è propria. “Avevo 41 anni e fame di tempo. Ma lui ha detto no!”. Capisci che è roba tosta quando pure Biagiarelli – chef, ma anche filosofo del temporeggiamento – dice di no a Selvaggia.
Ma non finisce qui. Dopo nove anni, il romanticismo si è trasformato in burocrazia. L’ingrediente segreto? Un volo di linea e la minaccia (simpatica eh!) di morire lasciando tutto a un figlio che “neanche le scrive”. Più che una proposta di matrimonio, un atto notarile con contorno di taralli.
E allora giù con l’ipotesi di festa pugliese nella piazzetta davanti alla loro casetta vacanze. Con tanto di pizzica, Albano, Emma Marrone, i Negramaro e magari anche qualche comparsata di Luxuria o Morgan. Un party che potrebbe far impallidire persino il compleanno di Madonna a Borgo Egnazia. Il tutto, ovviamente, da chiudere con la frase più temuta dagli amanti del gossip certo e certificato: “forse in primavera dell’anno prossimo”.
Eh no, cara Selvaggia, non puoi lasciarci così. Il Paese ha bisogno di certezze. Il popolo esige un countdown. Serve una diretta Instagram, una copertina di Chi, un’ordinanza del Viminale con la data ufficiale e magari una benedizione di Papa Francesco, con Biagiarelli in cravatta da chef e lei in abito bianco ma con commento al vetriolo incorporato.
E nel frattempo, l’Italia intera si interroga: ma che tema avrà il ricevimento? Sarà un banchetto critico? Un roast show? O una versione pugliese di Ballando con le Stelle con orchestra tarantolata?
Quel che è certo è che, mentre il mondo brucia, qui da noi si parla di cose serie. Come le nozze dell’anno (prossimo?). Con l’augurio che il “forse” diventi “sicuramente” e che il bouquet non venga lanciato ma twittato.
Nel dubbio, noi teniamo il vestito stirato. E la Lucarelli in homepage.
Sic transit gloria mundi
Elon Musk nel mirino dell’Europa: maxi-multa da 1 miliardo per X?
L’Unione Europea prepara la scure contro Elon Musk e il suo social “X”: secondo fonti interne, Bruxelles potrebbe infliggere una sanzione superiore al miliardo di dollari per violazione del Digital Services Act. Tra i punti contestati: contenuti illeciti, scarsa trasparenza e un approccio troppo “libero” alla disinformazione. Musk grida alla censura, ma intanto si apre un potenziale scontro istituzionale senza precedenti tra Bruxelles e uno degli uomini più ricchi (e influenti) del pianeta.

Altro che tweet. Elon Musk si prepara a una battaglia a colpi di avvocati con l’Unione Europea, che ha messo nel mirino X, la piattaforma social ex Twitter, per presunte violazioni al Digital Services Act (DSA). Secondo fonti autorevoli, Bruxelles starebbe valutando una multa da oltre un miliardo di dollari, la più pesante mai inflitta sotto la nuova legge europea per i servizi digitali.
Il motivo? Disinformazione, contenuti illeciti, scarsa trasparenza sugli inserzionisti e utenti “verificati” senza reali controlli. Insomma, X – secondo le accuse – sarebbe diventata una sorta di centro di smistamento per fake news, odio e propaganda, con buona pace della moderazione promessa.
Non è solo una questione di soldi: il caso è simbolico, perché rappresenta il primo banco di prova per il DSA, e Bruxelles sembra intenzionata a fare di Musk un esempio. O meglio, un monito. Il fatto che Elon sia anche un notorio supporter di Donald Trump non aiuta: i regolatori europei temono che qualsiasi concessione venga letta come un cedimento politico in un contesto già teso tra USA e UE.
Dal canto suo, Musk non ci sta. Dopo la pubblicazione dell’indiscrezione, X ha reagito duramente: “È censura politica, un attacco alla libertà di espressione”, ha dichiarato il colosso tech, promettendo di “fare tutto il possibile per difendere la libertà di parola in Europa”.
Un accordo, tuttavia, resta ancora sul tavolo. Se X decidesse di apportare le modifiche strutturali richieste – migliorando il controllo sui contenuti e aumentando la trasparenza – la sanzione potrebbe essere evitata o ridimensionata. Ma Elon, si sa, non è esattamente tipo da compromessi.
E mentre l’UE costruisce un secondo dossier ancora più esplosivo, che accusa la piattaforma di essere strutturalmente dannosa per la democrazia, Musk ribadisce la sua posizione: pronto a sfidare l’Europa in tribunale e in pubblico, anche a costo di uno scontro istituzionale senza precedenti.
Una cosa è certa: con o senza dazi, censure o meme, questa guerra digitale è appena iniziata. E promette fuochi d’artificio.
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